Flessibilità contigua.

Condividere per capire; un’esperienza della quale beneficiare soprattutto in un momento dove ci sentiamo spesso ‘fuoriluogo’, spaesati, a disagio, disorientati, in seguito a difficoltà d’ambientamento, in un ‘ambiente’ che sta perdendo una fisonomia conosciuta, ci troviamo in una sorta di terra di mezzo di tolkiana memoria. DI FATTO c’è un nuovo mondo che sta emergendo, del quale ancora non conosciamo la chiave, né il codice, sappiamo solo che non sarà come quello passato. Se pensato fino in fondo questo concetto di certo non rasserena, ma è inevitabilmente cosi; ed in ogni scelta che facciamo lo determiniamo passo passo, ed insieme inevitabilmente lo condividiamo.

Troveremo modi diversi di collaborare che si distaccano in continuità da quelli che crediamo essere i ‘migliori’ in questo momento (esempio il fallimento psicologico dello smart working).

L’esperienza sta insegnando quanto sia importante la reciprocità, la comunità, le connessioni umane, non esclusivamente virtuali. Si disegnano conflitti per stati emozionali che interrotti ci rendono più fragili, annaspanti negli affetti, nella vita di tutti i giorni.

Ora dobbiamo fare solo ciò che funziona e il valore emergente è la capacità di prenderci cura di noi e del prossimo. Connettersi non è un messaggio sui social, siamo un mondo in lutto emotivo, sofferente e slegato. Stiamo, seppur silenti, soffrendo per la perdita di uno stile di vita; questa forma di lutto è senza dubbio una contrazione, una contrazione sociale diffusa.

Come uscirne?  Consapevoli, chiari, coscienti.

Corpo e psiche sono nelle condizioni di fare ciò per cui sono stati ‘progettati’ (gettare avanti verso il futuro) e in questo tempo di difficoltà, se restiamo chiari e presenti, ci renderemo conto che stiamo attraversando una sorta di tunnel emotivo e fisico. Usciremo tutti? Forse, ma chi sarà dall’altra parte vedrà un nuovo mondo che sta per emergere (e insieme ne facciamo già parte). La chiave per uscire da questa melmosità psicologica, per non restare intrappolati in una delle fasi di elaborazione del nostro lutto personale/collettivo, inizia con il chiedersi onestamente a che punto siamo:

  • negazione dell’accaduto,
  • rabbia per l’accaduto,
  • depressione per l’accaduto,
  • nuova reale organizzazione della vita
  • accettazione e visone del futuro,

E la nostra società in quale di queste fasi è realmente, secondo noi, al di là degli slogan (‘andrà tutto bene’!?)? Guardare in avanti verso il futuro non vuol dire non esser consapevoli del presente, di ciò che esiste da tempo, non vuol dire sprecare energie preziose in una ‘rimugina- azione’ continua o in un’isterica visone del domani senza oggi; ogni volta che lo faccio perdo di vista che sono io a vivere tutto ciò, insieme all’altro e io senza l’altro avrei un’esistenza a metà, l’essenza delle relazioni è l’essenza dello stare su questo pianeta.

Il noi viene prima dell’io, Il valore dell’innovazione sta nel visone del noi come un collettivo fatto di singoli, quindi cosa dobbiamo fare? Sostenere le persone e coltivare nuove visioni del mondo che verrà, essere illuminati, sfrenati, immaginifici, verso una realtà che è già qui, anticipare il futuro nella nostra consuetudine, quindi pre-vedere, non essere più solo esperti del metodo, dell’organizzare, questo è importante ma non è più sufficiente.

Che strumenti ci servono per fare questo? Siamo un documento vuoto verso il nuovo? Pronti solo per una digitalizzazione corale? Lasciando senza espressione l’irrisolto? Figura semantica molto potente, l’irrisolto lega generazioni alla ricerca di soluzioni spesso tardive. Alla ricerca della sicurezza dell’appartenenza, per la quale siamo capaci di fare molto e non sempre bene. Il voler restare istericamente dentro la bolla speudosicura, non aiuta la creazione del nuovo, del fuori, ma incrementa le paure.

Capovolgiamo la prospettiva, andiamo incontro ad una flessibilità cognitiva del tutto e squisitamente umana, incontro al futuro!

 

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