I “permessi” dell’autorealizzazione

Ognuno di noi ha una sua intima natura, una propria ambizione, un’aspirazione e le necessità interiore di soddisfare i bisogni superiori di stima a autorealizzazione.

Eppure spesso subentrano dei limiti e viriamo la nostra energia verso il fallimento. Cosa entra in gioco? L’educazione, la società, le convenzioni, come una sorta di ‘mandato storico’ che ogni gruppo o famiglia si tramanda relativamente alla propria storia.

La domanda diventa: abbiamo o meno il permesso di soddisfare alcuni bisogni o desideri? Ogni uno di noi eredita dalla propria famiglia la percezione dei limiti entro i quali poter esprimere la propria personalità e dirigere la propria vita affettiva e lavorativa, il suo successo personale e professionale. Questi limiti da dove provengono?

Divieti, carenze, traumi, appartenenti alla storia della propria famiglia oppure alla collettività di riferimento, insieme alle avversità che hanno dovuto affrontare, come ingiustizie sociali, privazioni e costrizioni di vario genere, innescano una sorta di meccanismo ‘biologico’ di conservazione della specie che spinge a contrarre le soddisfazioni dei bisogni di autorealizzazione ed espansione spirituale a favore di quelli fondamentali legati alla pura sopravvivenza.

Le conseguenze di questa situazione, ovvero la contrazione e non l’espansione di noi stessi e della vita, non si esauriscono in una generazione, ma influenzano tutti gli appartenenti al sistema famigliare e alla comunità per molto tempo.

La percezione di essere amati, il diritto ad andare verso il meglio, di realizzarsi e prosperare, vengono bannati, quasi ‘vietati’ e puniti, si innescano veri processi di auto sabotaggio verso la nostra riuscita.

Possiamo superare tutto questo? Senza dubbio si, rendendoci consapevoli di ciò che ci circonda e della nostra storia personale e famigliare, dei blocchi e dei limiti imposti e facendo si che chi ci ha preceduto diventi un vero serbatoio di energia e uno stimolo a cresce e migliorare, allenandoci a vedere con occhi limpidi la realtà che ci circonda e la nostra storia.

Non a caso Kasparov, mitico campione mondiale di scacchi, sosteneva che “il maestro di scacchi non cerca la mossa migliore: la vede”. Una visione improvvisa che andrà poi calcolata, studiata, data senza dubbio dalla preparazione, ma comunque sempre una visione “alla cieca”, che incontra il coraggio di focalizzare ed eliminare i fantasmi che si materializzano negli interstizi dei nostri limiti imposti dalla ‘storia famigliare’, creando la forza dell’autoaffermazione in quella tensione conflittuale ma vincente che racchiude ogni importante partita, rendendola unica.

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