Valore dell’etica.

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Valore dell’etica, valore della fenomenologia

1. Il filo con­dut­to­re

Con­di­vi­do con Jac­que­li­ne Russ1 il fatto che stia­mo en­tran­do in un pe­rio­do in cui la ‘scien­za della libertà’, che Kant aveva bat­tez­za­to come ‘eti­ca’2 tende a con­fi­gu­rar­si come ‘con­trol­lo di con­trol­lo’ e come ‘po­te­re sul po­te­re’; per con­tro il pen­sie­ro etico con­tem­po­ra­neo do­vreb­be ten­de­re verso un’e­si­gen­za di sag­gez­za ov­ve­ro ad una ri­con­qui­sta di una ra­gio­ne pra­ti­ca di tipo ine­di­to, ga­ran­ti­ta dal più ampio con­sen­so ba­sa­to sulla capacità di dia­lo­go e di ascol­to, in di­re­zio­ne di un’e­ti­ca che gia Ha­ber­mas e Rawls, pe­ral­tro, ave­va­no teo­riz­za­to, e di ‘un prin­ci­pio di responsabilità uni­ver­sa­le’, e di autoresponsabilità, che non esclu­da la reciprocità, così come Jonas per un verso, e Hus­serl per un altro, pro­po­ne­va­no a gran voce già molti anni fa.3

La ri­cer­ca di un’e­ti­ca va­li­da per l’umanità nel suo in­sie­me, com­pre­so il ge­ne­re umano fu­tu­ro da­to­ci in af­fi­da­men­to, do­vreb­be quin­di al­me­no il­lu­mi­na­re l’or­di­ne etico con­tem­po­ra­neo; la fi­lo­so­fia pra­ti­ca, già Kant sot­to­li­nea­va, non si fonda su ciò che è ma su ciò che ‘deve es­se­re’, non tanto una con­sta­ta­zio­ne sto­ri­ca del­l’av­ve­nu­to ma uno sguar­do su ciò che ‘deve suc­ce­de­re’; un di­ve­ni­re di una società in con­ti­nua tra­sfor­ma­zio­ne dove l’e­ti­ca è da in­ten­der­si come uno dei com­pi­ti ul­ti­mi nel men­tre si rea­liz­zi un ten­ta­ti­vo di ri­com­po­si­zio­ne del­l’o­riz­zon­te ideo­lo­gi­co (mai così aper­to, direi fram­men­ta­to) fatto di mol­te­pli­ci dif­fe­ren­ze ed in­sie­me anche di mol­te­pli­ci frain­ten­di­men­ti, di chiu­su­re e bar­ba­rie; oriz­zon­te che ra­di­ca la no­stra stes­sa responsabilità nel cuore delle tra­sfor­ma­zio­ni odier­ne.

Ciò che ci condurrà quin­di at­tra­ver­so le no­stre ri­fles­sio­ni, verso l’e­ti­ca fe­no­me­no­lo­gia, è una do­man­da che è do­ve­ro­so porsi nuo­va­men­te nella si­tua­zio­ne sto­ri­ca at­tua­le, ov­ve­ro: che cosa ha da dirci la fi­lo­so­fia oggi, e ancor più la fe­no­me­no­lo­gia? Quale ne è lo scopo? La sua ‘utilità’?

Ten­tia­mo di ri­spon­de­re ini­zian­do da ciò che Hus­serl scris­se a pro­po­si­to del­l’VIII Con­gres­so In­ter­na­zio­na­le di Fi­lo­so­fia, che si svol­se nel 1934 a Praga, in una let­te­ra a Radl:

La fi­lo­so­fia è l’or­ga­non di una nuova forma di esi­sten­za (Da­seins) sto­ri­ca dell’umanità, un’e­si­sten­za che si espri­me nel suo spi­ri­to di au­to­no­mia […] . L’autoresponsabilità fi­lo­so­fi­ca si rea­liz­za ne­ces­sa­ria­men­te nella comunità di co­lo­ro che fi­lo­so­fa­no. Con­si­de­ran­do tutto ciò come prin­ci­pio, la comunità fi­lo­so­fi­ca e la fi­lo­so­fia sono il fe­no­me­no ori­gi­na­rio e allo stes­so tempo la forza viva ope­ran­te […] la quale, par­ten­do dalla mera intenzionalità at­tra­ver­so la sua forza (Macht) ha crea­to e col­ti­va un’intenzionalità del tutto nuova, ov­ve­ro un’u­nio­ne me­dian­te lo spi­ri­to di au­to­no­mia.4

Ciò che Hus­serl pro­po­ne­va, con ri­fe­ri­men­to alla fun­zio­ne della fi­lo­so­fia nel 1934, coin­ci­de con la sua tesi, pe­ral­tro già co­no­sciu­ta, in ri­fe­ri­men­to al pro­ces­so di ‘po­si­ti­viz­za­zio­ne’ della scien­za in re­la­zio­ne con la crisi della cul­tu­ra; po­si­ti­viz­za­zio­ne che ha con­dot­to ad un oc­cul­ta­men­to del ‘mondo della vita’ ed al­l’o­blio della soggettività.5

De­plo­ran­do la per­di­ta di va­lo­re vi­ta­le, cau­sa­ta dal­l’a­spi­ra­zio­ne in­ces­san­te a ri­dur­re tutto ciò che si dà ad una na­tu­ra cal­co­la­bi­le, Hus­serl rav­vi­sa il pe­ri­co­lo di una vi­sio­ne ‘ge­ne­ra­le’ del mondo che do­mi­ni la cul­tu­ra e porti alla di­sper­sio­ne della stes­sa fi­lo­so­fia «Que­sta è una que­stio­ne pra­ti­ca» — sot­to­li­nea il No­stro — «Dun­que la no­stra in­fluen­za sto­ri­ca, e in­sie­me la stes­sa no­stra responsabilità etica, si esten­de per­fi­no alla più re­mo­ta lon­ta­nan­za dal­l’i­dea­le etico».6 Ed è nel trat­ta­re il rap­por­to tra on­to­lo­gia e fe­no­me­no­lo­gia che Hus­serl sviluppò un’e­ti­ca fe­no­me­no­lo­gi­ca se­guen­do pro­prio il suo stes­so mo­del­lo on­to­lo­gi­co.

Bre­ve­men­te ri­cor­dia­mo che nella prima parte della sua ri­fles­sio­ne etica, egli si occupò della re­fu­ta­zio­ne dello scet­ti­ci­smo che si ma­ni­fe­sta so­prat­tut­to nello psi­co­lo­gi­smo, al quale egli op­po­se l’u­ni­ca al­ter­na­ti­va pos­si­bi­le ov­ve­ro la fi­lo­so­fia fe­no­me­no­lo­gi­ca. La ri­spo­sta allo scet­ti­ci­smo con­si­ste in­fat­ti nel ri­co­no­sce­re prima di tutto la validità, anche nel­l’e­ti­ca, della ri­ven­di­ca­zio­ne del si­gni­fi­ca­to dei sen­ti­men­ti mo­ra­li, per di­mo­stra­re dopo, si­ste­ma­ti­ca­men­te, la possibilità di un ruolo ‘obiet­ti­vo’ del­l’e­ti­ca stes­sa; si trat­ta di una teo­ria for­ma­le dei va­lo­ri che sarà ri­per­sa nelle sue le­zio­ni del 1920.7

Egli sviluppò quin­di ini­zial­men­te un mo­del­lo etico par­ten­do dal pre­sup­po­sto che tra la ra­gio­ne lo­gi­co-​teo­re­ti­ca e la ra­gio­ne as­sio­lo­gi­co-​pra­ti­ca, ov­ve­ro tra l’i­dea della Verità e quel­la del Bene, esi­sta un’a­na­lo­gia;8 e sarà solo in un se­con­do mo­men­to che ad essa si col­le­ghe­ran­no le ri­cer­che sulla cul­tu­ra e sulla sto­ria, frut­to anche del pe­rio­do di tran­si­zio­ne ine­ren­te alla Prima Guer­ra Mon­dia­le; tran­si­zio­ne che con­si­ste nel com­pa­ra­re cri­ti­ca­men­te quell’attualità ‘priva di sen­so’ con la pre­te­sa razionalità di una cul­tu­ra fi­lo­so­fi­ca del pe­rio­do, in con­trap­po­si­zio­ne ad una mo­ti­va­zio­ne che possa ele­va­re al prin­ci­pio di responsabilità come con­di­zio­ne di possibilità di un ‘rin­no­va­men­to’ (Er­neue­rung) della vita in­di­vi­dua­le, e di una cul­tu­ra in ge­ne­ra­le, a par­ti­re da un im­pian­to te­leo­lo­gi­co dell’intenzionalità e della sto­ria.9

Ne risulterà che il sog­get­to tra­scen­den­ta­le non deve so­la­men­te ‘pre­ser­va­re’ il mondo da uno stato di caoticità, ma anche dare ‘for­ma’ al­l’e­si­sten­za se­con­do le su­pre­me idee della ra­gio­ne, di­fen­den­do così la vita dal caos che si pre­sen­ta non ap­pe­na la ra­gio­ne si ri­trae.

Hus­serl svilupperà nei suoi ul­ti­mi scrit­ti una con­ce­zio­ne pra­ti­ca della fe­no­me­no­lo­gia, nel senso in cui essa si ri­ve­la una ri­fles­sio­ne che si con­for­ma in un ethos’, tra­mi­te il quale si co­sti­tui­sce una comunità, quel­la dei ‘fun­zio­na­ri dell’umanità’, ov­ve­ro dei fi­lo­so­fi, che vive dello spi­ri­to di au­to­no­mia ed in­di­pen­den­za ti­pi­co della fi­lo­so­fia, il cui com­pi­to non si esau­ri­sce nel­l’es­se­re un grup­po di per­so­ne ap­par­te­nen­ti ad una de­ter­mi­na­ta cul­tu­ra, ma di­vie­ne un com­pi­to in­fi­ni­to di ten­sio­ne verso la ‘Verità’.

Que­sto im­pe­gno etico, se­gna­la Hus­serl, che è in­sie­me una nuova con­ce­zio­ne della temporalità, in quan­to l’autoresponsabilità del sog­get­to etico, co­sti­tui­sce la fe­no­me­no­lo­gia in una fi­lo­so­fia del pre­sen­te, par­ten­do da una tra­di­zio­ne fon­da­tri­ce, in un oriz­zon­te di un la­vo­ro in­fi­ni­to da rea­liz­zar­si in ogni mo­men­to sto­ri­co.

La fe­no­me­no­lo­gia ci aiuta ad ap­pro­fon­di­re il si­gni­fi­ca­to della pro­po­sta di come il sen­ti­men­to mo­ra­le, quale punto di par­ten­za del di­scor­so etico, non solo non è una ca­du­ta nel re­la­ti­vi­smo, pro­prio dello scet­ti­ci­smo, ma al con­tra­rio per­met­te di su­pe­rar­lo fino a ri­co­no­sce­re la sua stes­sa verità. Ri­cor­dia­mo che nel­l’ar­go­men­ta­zio­ne di Hus­serl con­tro lo psi­co­lo­gi­smo, in­te­so come la forma più pe­ri­co­lo­sa dello scet­ti­ci­smo, ov­ve­ro con­tro quel ver­det­to di con­dan­na sulla co­no­scen­za e sulla lo­gi­ca che nega la possibilità stes­sa che esita una verità tanto nella lo­gi­ca come nella mo­ra­le, oc­cu­pa un luogo im­por­tan­te la cri­ti­ca a Kant e al ra­zio­na­li­smo. Il for­ma­li­smo kan­tia­no non ri­co­no­sce il si­gni­fi­ca­to ‘si­tua­ti­vo’ del sen­ti­re e del­l’at­to del vi­ve­re, ele­men­ti di un’affettività in­ve­ce ri­chie­sta dalla fe­no­me­no­lo­gia. Per Kant solo la retta in­ten­zio­ne ha un si­gni­fi­ca­to mo­ra­le men­tre sen­ti­men­ti quali la gioia in­ti­ma­men­te vis­su­ta, è estra­nea al me­ri­to; tut­t’al più può es­se­re con­for­me alla mo­ra­le e può ri­con­dur­vi­si per ciò che in essa si ri­spec­chia del­l’im­ma­nen­te razionalità. Quin­di la con­trad­di­zio­ne dello scet­ti­ci­smo lo­gi­co trova così un ana­lo­gon’ nel con­tro­sen­so pra­ti­co in cui si di­bat­te ogni pro­po­si­zio­ne im­pe­ra­ti­va che ci in­vi­ti a con­si­de­ra­re il­le­git­ti­ma, dal punto di vista ra­zio­na­le, la pre­te­sa rac­chiu­sa in un qual­sia­si gesto di co­man­do.

Per Hus­serl ap­pa­re chia­ro che solo la fi­lo­so­fia può vin­ce­re lo scet­ti­ci­smo in tutte le sue forme, quali lo psi­co­lo­gi­smo, il na­tu­ra­li­smo e in­sie­me il po­si­ti­vi­smo scien­ti­fi­co in quan­to ini­bi­to­ri, nella loro vi­sio­ne uni­la­te­ra­le, di un di­ver­so sfor­zo di com­pren­sio­ne in­si­to nella fi­lo­so­fia stes­sa, così come egli for­te­men­te sot­to­li­nea pro­prio nella sua con­fe­ren­za di Praga. Si trat­ta del ‘tra­gi­co della scien­za po­si­ti­va’, che si espli­ca nella di­sper­sio­ne, data dalla mas­si­va spe­cia­liz­za­zio­ne delle scien­ze na­tu­ra­li.

2. De­pre­ca­to po­si­ti­vi­smo

L’i­per­spe­cia­liz­za­zio­ne delle scien­ze, la loro tec­ni­ciz­za­zio­ne sem­pre più mas­si­va, si scon­tra con un sen­ti­re più pro­fon­do ed in­glo­ban­te, ti­pi­co del­l’uo­mo, che si espri­me nel­l’u­ni­ver­so fi­lo­so­fi­co, por­tan­do­lo verso la de­ca­den­za. Così fa­cen­do si de­for­ma il con­cet­to stes­so di scien­za; la tec­ni­ciz­za­zio­ne e iper­spe­cia­liz­za­zio­ne por­ta­no ad un ri­sul­ta­to che, al di là delle sue po­si­ti­ve sco­per­te, che non sono certo de­pre­ca­te da Hus­serl, il fe­no­me­no­lo­go è teso per lo più con­tro una su­per­fi­cia­le ar­ro­gan­za data dal ‘fin­to’ po­te­re della ‘mac­chi­na’ sul­l’uo­mo e non vi­ce­ver­sa; lo scet­ti­ci­smo quin­di nella sua forma fon­da­men­ta­le, che col­ti­va una sorta di dif­fi­den­za in ri­fe­ri­men­to alla stes­sa fi­lo­so­fia, ter­mi­na per es­se­re l’og­get­to della cri­ti­ca, la quale a sua volta mo­ti­va il si­gni­fi­ca­to ra­di­ca­le del com­pro­mes­so etico della fe­no­me­no­lo­gia.

Come sot­to­li­nea Ull­rich Melle nella sua In­tro­du­zio­ne’ alle Vor­le­sun­gen ueber Ethik,10 Hus­serl segue ini­zial­men­te, nelle sue prime le­zio­ni sul­l’e­ti­ca, lo stes­so cam­mi­no del suo mae­stro Franz Bren­ta­no e delle sue le­zio­ni sulla fi­lo­so­fia pra­ti­ca. Anche per Bren­ta­no si trat­ta di chia­ri­re come è pos­si­bi­le una con­si­de­ra­zio­ne dei sen­ti­men­ti nel pro­ces­so di fon­da­zio­ne etica, senza per que­sto ca­de­re nel re­la­ti­vi­smo o nello scet­ti­ci­smo etico. Cer­ta­men­te l’e­ti­ca trat­ta del sen­ti­men­to mo­ra­le, però non si chia­ri­sce sul sen­ti­men­to così come fa con il giu­di­zio. Kant, per esem­pio, sot­to­li­nea Bren­ta­no, per ar­ri­va­re alle sue con­clu­sio­ni sulla mo­ra­le de­ter­mi­na il si­gni­fi­ca­to ul­ti­mo e la validità della mo­ra­le stes­sa nella formalità dei prin­ci­pi, ri­fiu­tan­do tutta la par­te­ci­pa­zio­ne del sen­ti­men­to e del­l’e­spe­rien­za nel pro­ces­so della co­no­scen­za e della mo­ti­va­zio­ne del­l’a­zio­ne mo­ra­le. Al­l’al­tro estre­mo, l’em­pi­ri­smo ri­co­no­sce tutta la forza mo­ra­le pro­pria dei sen­ti­men­ti; il prin­ci­pio nel quale però essi con­clu­do­no non su­pe­ra il li­vel­lo di generalità di verità che in verità può darsi con l’in­du­zio­ne e con l’a­bi­tu­di­ne.

Hus­serl argomenterà con­tro am­be­due le po­si­zio­ni; en­tram­be per un verso uni­la­te­ra­li, sot­to­li­nean­do però che l’em­pi­ri­smo ha ra­gio­ne ad ini­zia­re le sue ana­li­si dai sen­ti­men­ti e nel de­ci­der­si per l’e­spe­rien­za viva nella quale si dà a noi il fe­no­me­no mo­ra­le; ma è ne­ces­sa­rio ac­ce­de­re ad un’a­na­li­si in­ten­zio­na­le di que­sta espe­rien­za viva del sen­ti­men­to per po­ter­lo in­clu­de­re nel­l’in­tui­zio­ne del va­lo­re e non sem­pli­ce­men­te in­ter­pre­tar­lo come se si trat­tas­se di un dato na­tu­ra­le del­l’e­spe­rien­za in­ter­na.11 Come per la lo­gi­ca anche per l’e­ti­ca vale af­fer­ma­re che gli em­pi­ri­sti sco­pren­do l’intenzionalità nella loro ana­li­si del­l’e­spe­rien­za in­ter­na, fu­ro­no però cie­chi rav­vi­san­do in essa solo il luogo della forma e della ge­ne­si in modo na­tu­ra­li­sti­co, non ne in­te­se­ro perciò il senso del tra­scen­de­re del con­cet­to di intenzionalità, del con­cet­to stes­so e del giu­di­zio; ed è in que­sto senso che anche Kant in­ter­pre­ta il sen­ti­re, come lo stes­so em­pi­ri­smo, ca­rat­te­riz­zan­do le sue ana­li­si al modo di una spe­cie di fi­sio­lo­gia na­tu­ra­li­sta del co­no­sce­re umano.12

Alla fine però né Kant (nella de­du­zio­ne tra­scen­den­ta­le della prima edi­zio­ne) né gli em­pi­ri­sti, fu­ro­no ca­pa­ci, per Hus­serl, di espli­ca­re e spie­ga­re le sco­per­te dell’intenzionalità della co­scien­za per ri­tro­va­re in quel­la forma la strut­tu­ra del sen­ti­men­to, pie­na­men­te ‘vit­ti­me’ ap­pun­to del pre­giu­di­zio psi­co­lo­gi­sta che guar­da al sen­ti­men­to solo come ‘dato’ na­tu­ra­le del­l’e­spe­rien­za in­ter­na.

Nel­l’a­na­li­si in­ten­zio­na­le del vi­ven­te, si evi­den­zia­no nella loro originarietà i fe­no­me­ni mo­ra­li come co­scien­za della si­tua­zio­ne di­scer­ni­bi­le dal punto di vista mo­ra­le, il che per­met­te ad Hus­serl di di­stin­gue­re, clas­si­fi­ca­re e si­ste­ma­tiz­za­re, tutti que­gli atti che con­fer­ma­no una ‘fe­no­me­no­lo­gia della mo­ra­le’. In que­sto aspet­to più ana­li­ti­co che tra­scen­den­ta­le del­l’e­ti­ca fe­no­me­no­lo­gi­ca si può cer­ta­men­te ac­cet­ta­re che Hus­serl sia su­pe­ra­to da Max Sche­ler.13 Come già si è ten­ta­to di dire, il punto cru­cia­le del­l’e­ti­ca fe­no­me­no­lo­gi­ca, si situa però non tanto nel­l’a­na­li­si etico-​lo­gi­ca, quan­to nel pas­sag­gio dal­l’a­na­li­si in­ten­zio­na­le dei va­lo­ri all’intenzionalità, in­te­sa come responsabilità, e da qui al­l’e­ti­ca come co­scien­za sto­ri­ca e cul­tu­ra­le tanto del­l’in­di­vi­duo come della società.

In ef­fet­ti, Hus­serl stes­so am­met­te che la di­men­sio­ne for­ma­le del­l’e­ti­ca non coin­ci­de con l’e­ti­ca stes­sa e il fi­lo­so­fo non avreb­be an­co­ra as­sol­to al suo com­pi­to quan­do aves­se de­li­nea­to in modo esau­sti­vo il si­ste­ma delle leggi for­ma­li della ra­gio­ne pra­ti­ca; alla di­men­sio­ne for­ma­le deve af­fian­car­si dun­que una di­men­sio­ne ma­te­ria­le del­l’e­ti­ca.14 In­fat­ti le sue le­zio­ni sul­l’e­ti­ca del 1914 si con­clu­de­va­no con una quar­ta parte de­di­ca­ta alla ‘Pra­ti­ca for­ma­le’ di cui l’ul­ti­mo pa­ra­gra­fo si in­ti­to­la Obiettività delle possibilità pra­ti­che e la loro relatività al sog­get­to’.15 In que­sto pa­ra­gra­fo si te­ma­tiz­za l’as­sun­to della mo­ra­le in re­la­zio­ne al sog­get­to del­l’a­zio­ne ve­nen­do così ad in­fran­ge­re una certa forma ana­lo­gi­ca tra l’a­na­li­si in­ten­zio­na­le della mo­ra­le con l’am­bi­to lo­gi­co, così come Hus­serl stes­so scri­ve: «D’al­tro canto a una soggettività non può es­se­re a prio­ri ri­chie­sto nulla che non sia poi in suo po­te­re rag­giun­ge­re»,16 e più avan­ti ag­giun­ge:

Le no­stre con­si­de­ra­zio­ni […] ci mo­stra­no che […] non è pos­si­bi­le ca­de­re nel­l’er­ro­re di voler pre-​de­li­nea­re con il so­li­to aiuto di un im­pe­ra­ti­vo ca­te­go­ri­co, privo di con­te­nu­to, che cosa sia pra­ti­ca­men­te ri­chie­sto e che cosa sia dun­que as­so­lu­ta­men­te do­vu­to nella si­tua­zio­ne de­ter­mi­na­ta di volta in volta pre­sen­te. La lo­gi­ca for­ma­le con tutte le sue leggi non può met­ter­ci nella con­di­zio­ne di de­dur­re la più pic­co­la verità fat­tua­le. Essa ab­brac­cia […] solo le verità for­ma­li. […] Lo stes­so si può dire del­l’as­sio­lo­gia e della pra­ti­ca for­ma­li. […] Sa­reb­be­ro ora da de­fi­ni­re le clas­si fon­da­men­ta­li dei va­lo­ri e dei beni pra­ti­ci per poi ren­de­re og­get­to di in­da­gi­ne le leggi della pre­fe­ren­za. […] Che cosa dire dun­que della va­lu­ta­zio­ne di una per­so­na in quan­to es­se­re ra­zio­na­le? […] Di qui dun­que muo­vo­no le linee che ci con­du­co­no verso l’e­ti­ca in senso pro­prio, verso l’e­ti­ca in­di­vi­dua­le e so­cia­le.17

Che cosa si­gni­fi­ca per l’e­ti­ca que­sto am­plia­men­to di ana­li­si da parte di Hus­serl gra­zie al quale si sco­pre una nuova fun­zio­ne della soggettività? Che cosa mo­ti­va il cam­bio di pro­spet­ti­va nella sua ri­fles­sio­ne etica, ov­ve­ro il pas­sa­re da un’a­na­li­si fe­no­me­no­lo­gi­ca co­sti­tu­ti­va del va­lo­re ad una ri­fles­sio­ne sul sog­get­to che va­lo­riz­za e che agi­sce sino a con­ver­tir­si in una ‘fi­lo­so­fia del pre­sen­te’, così come il fe­no­me­no­lo­go stes­so la re­cla­ma alla fine della sua vita? Ten­tia­mo di ri­spon­de­re a que­ste do­man­de ana­liz­zan­do il pen­sie­ro di Hus­serl degli anni venti.18

3. La forza dell’autoresponsabilità

La par­ti­co­la­re e tra­gi­ca con­giun­tu­ra sto­ri­ca pre­sen­te in Ger­ma­nia nel pe­rio­do della prima guer­ra mon­dia­le entra di­ret­ta­men­te a far parte del­l’e­vo­lu­zio­ne del ‘sen­ti­re’ etico da parte di Hus­serl tanto da pro­muo­ve­re una serie di tre le­zio­ni per i sol­da­ti che ri­tor­na­va­no dal campo di bat­ta­glia. La se­con­da è in­ti­to­la­ta: L’or­di­ne etico del mondo come prin­ci­pio crea­to­re del mondo19

Punto di par­ten­za della le­zio­ne è la ormai nota dia­gno­si di Hus­serl in ri­fe­ri­men­to al­l’o­blio della tra­di­zio­ne fi­lo­so­fi­ca a causa del po­si­ti­vi­smo. Que­sta ri­mo­zio­ne della fi­lo­so­fia in fa­vo­re della scien­za esat­ta farà escla­ma­re ad Hus­serl che l’au­to­giu­sti­fi­ca­zio­ne fa­ri­sai­ca della scien­za è quan­to mai inop­por­tu­na senza con­ta­re l’in­giu­sti­fi­ca­ta de­pre­ca­zio­ne da parte della fi­lo­so­fia per parte di co­lo­ro che sono edu­ca­ti alle scien­ze esat­te e ri­go­ro­se del tempo in cui vi­via­mo. Per que­sto anche la stes­sa guer­ra può es­se­re in­te­sa come un tempo di rin­no­va­men­to sin dalla fonte di tutti gli idea­li di forza, che flui­sce verso il po­po­lo stes­so con­ser­van­do­ne tutta la forza sal­va­tri­ce. La ca­rat­te­ri­sti­ca di que­sta forza della fi­lo­so­fia sta nel suo de­ter­mi­na­re il sen­ti­re della vita:

«che può esser de­fi­ni­ta in fun­zio­ne di un fine su­pe­rio­re della vita per­so­na­le».20 Ed è solo que­sta te­leo­lo­gia pro­pria della fi­lo­so­fia, ed in­trin­se­ca nella stes­sa soggettività, che si pre­sen­ta come il fine etico su­pe­rio­re. Si trat­ta per­tan­to di una fi­lo­so­fia (e del sen­ti­re di una nuova me­ta­fi­si­ca) che tra­sfor­ma eti­ca­men­te l’umanità, dove la per­so­na di­vie­ne li­be­ra di agire, li­be­ra nel ‘sa­pe­re’ li­be­ro, fa­cen­te parte di una società a sua volta li­be­ra. Hus­serl non si in­cli­na quin­di verso una cri­ti­ca delle guer­ra ma cri­ti­ca am­pia­men­te la ‘re­to­ri­ca bel­li­ca’ pun­tan­do ad una po­si­zio­ne mo­ra­le uni­ver­sa­li­sti­ca, così come scri­ve­va a In­gar­den nel 1917: «l’e­ti­ca come tale è una forma trans­per­so­na­le […] come la stes­sa lo­gi­ca, tanto che il ma­te­ria­le della no­stra po­si­zio­ne etico-​po­li­ti­ca evi­den­te­men­te non ne è poi tanto di­stan­te».21

Ma già alla fine della guer­ra il mo­ti­vo etico si ra­di­ca­liz­za più verso il ver­san­te della cri­ti­ca alla cul­tu­ra e alle sue di­ver­se ma­ni­fe­sta­zio­ni dove pos­sia­mo com­pren­de­re l’at­ti­tu­di­ne ra­di­ca­le della fe­no­me­no­lo­gia:

come una de­ci­sio­ne che mira ad ele­va­re la vita da un mero fatto di scam­bio e di pro­du­zio­ne, at­ti­tu­di­ne che di­vie­ne una ne­mi­ca mor­ta­le del ca­pi­ta­li­smo e di tutto un modo del tutto egoi­sti­co di ac­cu­mu­la­re dei beni che non hanno a che fare con l’e­le­va­zio­ne mo­ra­le della per­so­na.22

Alla fine co­mun­que la va­lu­ta­zio­ne della guer­ra, da parte di Hus­serl, non po­treb­be es­se­re più ne­ga­ti­va. Il fe­no­me­no­lo­go sot­to­li­nea for­te­men­te come que­sta metta allo sco­per­to un’in­de­scri­vi­bi­le mi­se­ria mo­ra­le, re­li­gio­sa ed in­sie­me fi­lo­so­fi­ca dell’umanità. Tutto que­sto tra­sfor­ma tutti i va­lo­ri:

la scien­za, l’ar­te e tutto ciò che sin ora si po­te­va con­si­de­ra­re un bene spi­ri­tua­le as­so­lu­to, in og­get­to di apo­lo­ge­ti­ca e na­zio­na­li­sta, di mer­ci­fi­ca­zio­ne, […] uno stru­men­to di po­te­re.23 L’ef­fet­to ideo­lo­gi­co di que­sta tra­smu­ta­zio­ne di va­lo­ri è pa­le­se: […] . La fra­seo­lo­gia e le ar­go­men­ta­zio­ni po­li­ti­che, na­zio­na­li­ste e so­cia­li­ste hanno po­te­re sulla massa più delle ar­go­men­ta­zio­ni della ‘sa­pien­za uma­ni­ta­ria’.24

A que­sta cri­ti­ca cor­ri­spon­de per altro, pur­trop­po, l’en­tu­sia­smo per­ce­pi­to da Hus­serl da parte dei gio­va­ni di ri­tor­no della guer­ra verso que­sta stes­sa re­to­ri­ca ed una ma­ni­po­la­zio­ne pro­pa­gan­di­sti­ca degli idea­li fi­lo­so­fi­ci e re­li­gio­si e na­zio­na­li­sti che mi­na­no l’au­to­no­mia del la­vo­ro ac­ca­de­mi­co, che do­vreb­be fon­dar­si in un idea­le di un sa­pe­re fon­da­men­ta­le ed au­ten­ti­co. Con que­ste os­ser­va­zio­ni, quali segno del tempo sto­ri­co vis­su­to, Hus­serl pen­sa­va inol­tre di ini­zia­re il primo di una serie di ar­ti­co­li per la ri­vi­sta giap­po­ne­se The Kaizo’, alla fine però pre­fe­ri­sce ta­ce­re cer­can­do di stac­car­si dalla po­le­mi­ca, sot­to­li­nean­do in altro modo il sen­ti­re tra­gi­co della si­tua­zio­ne.

Hus­serl ini­zia i suoi ar­ti­co­li ap­pel­lan­do­si al rin­no­va­men­to come unica possibilità di fuo­ru­sci­ta dal tra­gi­co e tor­men­ta­to mo­men­to sto­ri­co. La guer­ra che dal 1914 ha de­va­sta­to l’Eu­ro­pa e che dal 1918 non ha fatto che so­sti­tui­re i mezzi di coer­ci­zio­ne mi­li­ta­re con quel­li più raf­fi­na­ti della tor­tu­ra psi­co­lo­gi­ca e del­l’in­di­gen­za eco­no­mi­ca, non meno de­pra­va­ta dal punto di vista mo­ra­le, ha ri­ve­la­to l’in­ti­ma non verità ed in­sen­sa­tez­za di tale cul­tu­ra. Pro­prio que­sta ri­ve­la­zio­ne però fi­ni­sce per im­pe­di­re che essa di­spie­ghi ap­pie­no la sua au­ten­ti­ca forza.25 Non è per­tan­to solo l’eco sto­ri­ca del­l’ac­ca­de­re che mo­ti­va la ri­fles­sio­ne fi­lo­so­fi­ca su di una de­ter­mi­na­ta azio­ne ma la sua in­ter­pre­ta­zio­ne cul­tu­ra­le; in­fat­ti una na­zio­ne, sot­to­li­nea Hus­serl, un’umanità, vive e opera nella pie­nez­za delle forze sol­tan­to se sor­ret­ta nel suo slan­cio da una fede in se stes­sa e nella bel­lez­za e bontà della vita della pro­pria cul­tu­ra.

Ver­reb­be da chie­der­si come sia pos­si­bi­le in verità pen­sa­re al rin­no­va­men­to di fron­te ad una falsità del sen­ti­re, ad una stan­chez­za cul­tu­ra­le così pro­fon­da; e la fi­lo­so­fia che tipo di com­pe­ten­ze avreb­be do­vu­to avere in un mo­men­to sto­ri­co così cupo?

Dia­gno­sti­ca­re la crisi per Hus­serl in­fat­ti non è suf­fi­cien­te bi­so­gna cer­ca­re anche una so­lu­zio­ne. Nei ma­no­scrit­ti sulle le­zio­ni eti­che degli anni venti, Hus­serl si pone que­sto pro­ble­ma ed in­sie­me ana­liz­za anche la dif­fe­ren­za tra mondo dello spi­ri­to e mondo della na­tu­ra.26 La di­stin­zio­ne tra le due dif­fe­ren­ti ‘re­gio­ni’, ri­guar­dan­ti am­be­due in ef­fet­ti il ‘mondo della vita’, per­met­te di ca­rat­te­riz­za­re in ma­nie­ra ri­go­ro­sa (in op­po­si­zio­ne al mero prin­ci­pio di causalità), il sen­ti­re pro­fon­do della mo­ti­va­zio­ne quale perno per il regno uni­ver­sa­le dei fini che non è altro che lo stes­so ‘mondo della vita’ nel quale ri­co­no­scia­mo la soggettività nel suo es­se­re at­ti­va da un punto di vista della comunità.27 Da qui i va­lo­ri po­si­ti­vi si vanno de­ter­mi­nan­do a par­ti­re dal­l’au­to­co­scien­za, nella quale si ma­ni­fe­sta la possibilità in­fi­ni­ta del­l’es­se­re umano non solo come in­di­vi­duo ma come mem­bro di un’unità cul­tu­ra­le, dato che in essa si obiet­ti­va l’unità della vita at­ti­va, della quale l’umanità di un’e­po­ca e di una na­zio­ne ne di­vie­ne una sorta di sog­get­to. Per Hus­serl la mo­ti­va­zio­ne mo­ra­le ul­ti­ma, la quale ac­cor­da al sen­ti­men­to un’autoresponsabilità ra­di­ca­le, forma parte della fe­no­me­no­lo­gia stes­sa che si in­scri­ve in un par­ti­co­la­re sen­ti­re cul­tu­ra­le, da­van­ti al quale il fi­lo­so­fo non può re­sta­re in­dif­fe­ren­te sin tanto che vuole au­to­com­pren­der­si come ‘fun­zio­na­rio dell’umanità’.28

4. Fi­lo­so­fia ed etica in­di­vi­dua­le

Ma che cosa in­ten­de Hus­serl con l’uso della pa­ro­la cul­tu­ra o me­glio di ‘unità cul­tu­ra­le’?

Per cul­tu­ra — scri­ve nel 1923 — non in­ten­do nien­t’al­tro che l’in­sie­me delle azio­ni e ope­ra­zio­ni messe in atto da uo­mi­ni ac­co­mu­na­ti nelle loro con­ti­nue attività, ope­ra­zio­ni che esi­sto­no e per­du­ra­no spi­ri­tual­men­te nell’unità della co­scien­za della comunità e della sua tra­di­zio­ne man­te­nu­ta sem­pre viva.29

La cul­tu­ra quin­di, che si espri­me anche nel­l’e­spres­sio­ne fat­ti­va della creatività del sin­go­lo, e che può sem­pre di nuovo es­se­re fonte di ispi­ra­zio­ne frui­ti­vo-​crea­ti­va, dando così senso ad una continuità sto­ri­ca del farsi della cul­tu­ra stes­sa, tra­scen­de la singolarità nella comunità pur crean­do della comunità un’unità di mem­bri le­ga­ti tra loro, in­trec­cia­ti da atti so­cia­li com­ples­si, che uni­sco­no spi­ri­tual­men­te una per­so­na al­l’al­tra. In que­st’am­bi­to ap­pa­re chia­ro che l’e­ti­ca in­di­vi­dua­le trova il suo senso in un’e­ti­ca so­cia­le; così come l’in­vo­ca­to ‘rin­no­va­men­to’ del­l’uo­mo si rea­liz­za nel con­si­de­ra­re l’in­di­vi­duo come parte in­te­gran­te dell’umanità che di­vie­ne così il tema cen­tra­le del­l’e­ti­ca stes­sa.

Que­sta con­ce­zio­ne del­l’e­ti­ca si­gni­fi­ca che la fi­lo­so­fia mo­ra­le può es­ser­ne solo una parte; men­tre la mo­ra­le re­go­la il com­por­ta­men­to pra­ti­co, buono, ra­zio­na­le, del­l’uo­mo in re­la­zio­ne al­l’al­tro, l’e­ti­ca deve es­se­re con­ce­pi­ta ne­ces­sa­ria­men­te come la scien­za della vita at­ti­va, to­ta­le, della soggettività ra­zio­na­le, dal punto di vista della ra­gio­ne, di­ri­gen­do uni­ta­ria­men­te vita e totalità; per­tan­to il ti­to­lo di ra­gio­ne deve, per Hus­serl, com­pren­de­re un sen­ti­re ge­ne­ra­le, di con­se­guen­za: «la vita at­ti­va di una comunità di un’in­te­ra comunità — quand’an­che non fosse com­par­sa nes­su­na realtà sto­ri­ca — può as­su­me­re la forma uni­ta­ria della ra­gio­ne pra­ti­ca, la forma di una vita etica»30

Per spe­ci­fi­ca­re mag­gior­men­te e qua­li­fi­ca­re que­sto suo sen­ti­re etico Hus­serl, nel terzo dei suoi ar­ti­co­li per il The Kaizo, si pone il pro­ble­ma, forse più im­por­tan­te del­l’in­te­ra ri­fles­sio­ne, ov­ve­ro: che cosa in­ten­dia­mo quan­do par­lia­mo di sog­get­to in­te­so come ‘per­so­na li­be­ra’? Il punto di par­ten­za per una così com­ples­sa ma es­sen­zia­le ana­li­si è la facoltà del­l’es­se­re umano, che ap­par­tie­ne alla sua stes­sa es­sen­za, di avere un’au­to­co­scien­za, ov­ve­ro un sen­ti­re pre­ci­so del­l’in­tro­spe­zio­ne (in­spec­tio sui) e della facoltà di pren­de­re po­si­zio­ne e di agire; atti per­so­na­li che si ri­fe­ri­sco­no ri­fles­si­va­men­te alla pro­pria vita e a se stes­si; per­tan­to sem­bra chia­ro che l’es­sen­za stes­sa del­l’uo­mo si in­cen­tri sulle capacità di rap­pre­sen­ta­zio­ne, pen­sie­ro e di av­va­lo­ra­men­to, in quan­to atti sin­go­la­ri e va­lu­ta­zio­ne dei pro­pri atti, mo­ti­va­zio­ni e scopi, pos­si­bi­li o reali che siano. L’es­se­re umano può quin­di pas­sa­re da una di­men­sio­ne par­ti­co­la­re ad un’u­ni­ver­sa­le, dalla forma del­l’as­so­lu­to a quel­la del ge­ne­ra­le; egli può far pre­ce­de­re ad ogni attività una va­lu­ta­zio­ne e una libertà di scel­ta che nes­sun altro es­se­re può eser­ci­ta­re. Di più, l’uo­mo ha la facoltà di ini­bi­re gli ef­fet­ti delle pro­prie pul­sio­ni e delle af­fe­zio­ni ‘pas­si­ve’, di met­ter­le in que­stio­ne, di esa­mi­nar­le; esso di­vie­ne così, in senso pre­gnan­te, sog­get­to di volontà che non segue il corso degli even­ti ma pren­de da sé (e su di sé) le pro­prie de­ci­sio­ni.

Una li­be­ra volontà che per Hus­serl si eleva nel mo­men­to che il sog­get­to può far va­le­re que­sta possibilità nel con­fron­to tra altri atti li­be­ri, dove porre una po­si­zio­ne cri­ti­ca ed esa­mi­na­re l’in­te­ra que­stio­ne ri­con­fer­man­do un’e­ven­tua­le presa di po­si­zio­ne, op­pu­re ri­fiu­tan­do­la, e que­sto in un pos­si­bi­le con­ti­nuo Immer wie­der che mi per­met­te di li­be­rar­mi da ca­te­ne cau­sa­li ne­ga­ti­ve e di ‘ri-​co­min­cia­re’ ogni volta alla luce della ra­gio­ne. Non posso re­vo­ca­re l’e­ven­to gia ac­ca­du­to ma posso nel corso ul­te­rio­re della vita, a se­con­da dei casi, re­vo­ca­re, ri­ve­de­re, ri­va­lu­ta­re, i miei atti di volontà.31

Al­l’es­sen­za della vita umana ap­par­tie­ne inol­tre lo svol­ger­si co­stan­te­men­te nella forma del­l’a­spi­ra­zio­ne: «e alla fine que­sta as­su­me la forma del­l’a­spi­ra­zio­ne po­si­ti­va e che perciò è ab­bi­na­ta al con­se­gui­men­to dei va­lo­ri po­si­ti­vi».32 Que­sta ‘ten­den­za’ (Stre­ben), che Hus­serl sem­bra ri­pren­de­re dal pen­sie­ro fi­ch­tia­no, è la ti­pi­ca te­leo­lo­gia dell’intenzionalità, che alla fine non è altro se non la ra­gio­ne stes­sa, nella quale l’au­to­re­go­la­zio­ne del sog­get­to trova la sua ge­ne­si pre-​ri­fles­si­va e il suo pieno si­gni­fi­ca­to come responsabilità per­so­na­le e so­cia­le. Que­sta ca­rat­te­ri­sti­ca del­l’uo­mo, con­qui­sta­ta con la de­scri­zio­ne fe­no­me­no­lo­gi­ca, a par­ti­re dal con­cet­to di in­spec­tio sui, può es­se­re am­plia­ta sia in ri­fe­ri­men­to al­l’au­to-​ri­fles­sio­ne, il che si­gni­fi­ca ‘auto-​referenzialità’ come strut­tu­ra for­ma­le del sog­get­to, che all’attività li­be­ra come prin­ci­pio per­so­na­le oltreché alla ten­den­za come sua di­na­mi­ca ma­te­ria­le e in­fi­ne alla razionalità come Telos’ uni­ver­sa­le; tutte que­ste ca­rat­te­ri­sti­che co­niu­gan­do­si co­sti­tui­sco­no, se­con­do Hus­serl, le com­pe­ten­ze eti­che del sog­get­to.

Da­van­ti ad un’e­ti­ca del pia­ce­re, della ten­den­za ma­te­ria­le, si op­po­ne un’e­ti­ca della ra­gio­ne, in­di­pen­den­te da tutte le ten­den­ze ma­te­ria­li; l’uo­mo può così li­be­rar­si da de­ter­mi­na­zio­ni ete­ro­no­me per poter ‘auto-​de­ter­mi­nar­si’ al fine di evol­ver­si po­si­ti­va­men­te. Que­sta capacità etica la si com­pren­de poi come ‘auto- mo­ti­va­zio­ne’, la quale a sua volta si re­la­zio­na con la ra­gio­ne pra­ti­ca. Una re­la­zio­ne che co­sti­tui­sce la possibilità di as­su­me­re l’im­pe­ra­ti­vo ca­te­go­ri­co di ‘es­se­re un uomo au­ten­ti­co’, nel senso di com­pie­re il ‘me­glio pos­si­bi­le’, di vi­ve­re una vita della quale si possa es­se­re sem­pre auto-​re­spon­sa­bi­li; una vita alla luce della ra­gio­ne pra­ti­ca il che si­gni­fi­ca ‘vo­le­re il mio do­ve­re’.33

In que­sta forma pos­sia­mo ar­gui­re che il primo suc­ces­so della fe­no­me­no­lo­gia, nello spo­sta­re la ri­fles­sio­ne sul modo di darsi dei va­lo­ri e degli atti della volontà al sog­get­to della va­lo­riz­za­zio­ne e del­l’a­zio­ne, con­si­ste nel ri­scat­to della per­so­na mo­ra­le, della sua at­ti­tu­di­ne etica, nel suo es­se­re ‘buona mo­ral­men­te’. Ri­ma­ne però da ri­sol­ve­re la que­stio­ne del­l’e­ti­ca in­di­vi­dua­le che deve es­se­re in fondo un’e­ti­ca so­cia­le e cul­tu­ra­le, quale la­vo­ro co­mu­ne che si co­sti­tui­sce in una forza cul­tu­ra­le, che in­ci­de alla fine nel par­ti­co­la­re stes­so. A tal fine è ne­ces­sa­rio, prima di tutto, ri­co­no­sce­re il si­gni­fi­ca­to del­l’ap­par­te­nen­za di cia­scun uomo a una società, dato che ogni cir­co­stan­za della sua vita, in­ter­gra­ta in una vita co­mu­ni­ta­ria, ha una sua con­se­guen­za, con­se­guen­za che de­ter­mi­na così prin­ci­pal­men­te il suo com­por­ta­men­to etico, che lo ca­rat­te­riz­za for­mal­men­te. In ef­fet­ti il fatto di ap­par­te­ne­re ad una società, non solo mi per­met­te di va­lu­ta­re gli altri come fa­cen­ti parte del mio ‘mondo della vita’, por­ta­to­ri di un va­lo­re par­ti­co­la­re ri­co­no­sciu­to so­cial­men­te, un va­lo­re in sé che nulla ha a che fare con l’u­ti­le, un puro in­te­res­se etico, ma in­sie­me come va­lo­re in ri­fe­ri­men­to alla società stes­sa, per que­sto la mia volontà etica deve es­se­re di­ret­ta nel fare il pos­si­bi­le perché si rea­liz­zi­no i beni veri, au­ten­ti­ci, in ogni cir­co­stan­za e nel­l’in­te­ra vita in un ef­fet­ti­vo im­pe­gno di volontà etica. Con­se­guen­te­men­te do­vreb­be es­se­re pro­prio della mia esi­sten­za non solo lo sfor­zar­mi per es­se­re più buono ma ar­ri­va­re a de­si­de­ra­re che anche l’al­tro lo sia per far sì che in modo con­cor­de si possa con­for­ma­re una società buona.

Que­sto im­pli­ca però che nella vita so­cia­le si pre­sen­ti­no, come del resto suc­ce­de, dei con­flit­ti; con­flit­ti che Hus­serl crede di poter scio­glie­re tra­mi­te un mutuo in­ten­di­men­to etico che per­met­ta so­lu­zio­ni ‘mi­glio­ri pos­si­bi­li’; e ciò nel co­sti­tuir­si, alla luce di un tale in­ten­di­men­to, di un’or­ga­niz­za­zio­ne etica della vita at­ti­va, nella quale le per­so­ne siano una di fron­te al­l’al­tra, in con­ti­nuo rap­por­to, sino a poter par­la­re di una ‘comunità della volontà’ che abbia un mutuo co­mu­ne in­ten­di­men­to vo­lon­ta­rio. Per giun­ge­re alla con­for­ma­zio­ne di que­sta comunità dob­bia­mo sì pen­sa­re al­l’im­por­tan­za del punto di vista per­so­na­le, ma evi­ta­re una ri­stret­tez­za che non per­met­te­reb­be di pro­cu­ra­re che i va­lo­ri della società siano un obiet­ti­vo co­mu­ne di co­lo­ro che la for­ma­no.

In ef­fet­ti l’ap­par­te­ne­re ad una società non solo mi per­met­te di ap­prez­za­re l’al­tro come parte in­te­gran­te della mia stes­sa Le­ben­swelt’ (for­ni­to quin­di di un par­ti­co­la­re va­lo­re), ma anche come, in­sie­me a me, fa­cen­te parte dello stes­so va­lo­re so­cia­le li­be­ro da ogni uti­li­ta­ri­smo, va­li­do quin­di come ‘va­lo­re in sé’; per que­sto è im­por­tan­te per me che anche l’al­tro rea­liz­zi la sua vita il più cor­ret­ta­men­te pos­si­bi­le con un forte im­pe­gno di volontà etica.34

A que­sto punto l’in­te­ro li­vel­lo di va­lo­re dato dal sin­go­lo di­pen­de da quel­lo della comunità e cor­re­la­ti­va­men­te la stes­sa comunità ha un va­lo­re che, pure es­sen­do mu­te­vo­le, ed even­tual­men­te ac­cre­sci­bi­le in virtù della mu­te­vo­lez­za e del­l’ac­cre­sci­men­to del va­lo­re del sin­go­lo, via via ac­cre­scen­do­si dei sin­go­li do­ta­ti di va­lo­re, abbia

un va­lo­re come unità di una comunità di cul­tu­ra e come am­bi­to di va­lo­ri fon­da­ti che non si ri­sol­vo­no nei sin­go­li va­lo­ri, ma sono fon­da­ti dal la­vo­ro dei sin­go­li, in tutti i va­lo­ri le­ga­ti alla loro singolarità e a que­sti con­fe­ri­sca­no un va­lo­re più ele­va­to, anzi in­com­pa­ra­bil­men­te più ele­va­to.35

La re­la­zio­ne di fon­da­zio­ne è così com­ple­ta. Il fon­da­to si co­sti­tui­sce a par­ti­re dal­l’at­to del quale è fon­da­men­to, e la nuova realtà fon­da­ta non è sem­pli­ce­men­te un ri­sul­ta­to ad­di­zio­na­le, som­ma­to­rio, di una serie di at­ti­tu­di­ni va­lo­ri o azio­ni. La società ac­qui­si­sce un sen­ti­re nuovo ed espli­ci­ta­men­te di­stin­to dal mero in­te­grar­si e con­for­mar­si alla re­go­la. L’im­por­tan­te si­gni­fi­ca­to che qui si vuole sot­to­li­nea­re è che la società non è sem­pli­ce­men­te un in­sie­me di sin­go­li in­di­vi­dui (così come la vita e l’a­gi­re co­mu­ni non sono un mero col­let­ti­vo di vite e di azio­ni in­di­vi­dua­li), ma ogni sin­go­lo es­se­re, ogni sin­go­la vita, sono ‘at­tra­ver­sa­ti’ da un’unità di vita. Seb­be­ne que­sta stes­sa unità ri­man­ga fon­da­ta sulla sin­go­la vita, tra­scen­den­do il mondo cir­co­stan­te di ognu­no di noi, e co­sti­tuen­do­si in re­la­zio­ne co­stan­te con que­sto stes­so mondo, la società emer­ge quin­di come re­la­zio­ne. Resta per­tan­to chia­ro lo spe­ci­fi­co di una società fon­da­ta nel modo d’es­se­re di dif­fe­ren­ti per­so­ne, nei loro pro­get­ti e nelle loro at­ti­tu­di­ni; ed anche il modo di es­se­re della comunità, come co­sti­tui­ta e fon­da­ta a par­ti­re dalle per­so­ne stes­se, in­flui­sce a sua volta sul sin­go­lo, e ciò ca­rat­te­riz­za il senso del­l’ap­par­te­nen­za so­cia­le. Si apre così una re­la­zio­ne biu­ni­vo­ca tra il sin­go­lo, eti­ca­men­te orien­ta­to e la comunità stes­sa, che orien­tan­do­si eti­ca­men­te su se stes­sa, in quan­to comunità etica, si orien­ta sul sin­go­lo che ne è parte in­te­gran­te. Inol­tre è es­sen­zia­le che tutte que­ste ri­fles­sio­ni si ‘so­cia­liz­zi­no’, che pro­du­ca­no dei ‘mo­vi­men­ti so­cia­li’ e che mo­ti­vi e azio­ni so­cia­li, cor­ri­spon­den­ti al com­pro­mes­so etico degli as­so­cia­ti, siano orien­ta­ti alla con­for­ma­zio­ne e rin­no­va­men­to della società au­ten­ti­ca­men­te etica co­sti­tui­ta perché «una di­re­zio­ne della volontà che è tale in quan­to pro­pria della comunità stes­sa, e non è mera somma delle volontà dei sin­go­li che la fon­da­no».36

In que­sto com­ples­so in­trec­cio re­la­zio­na­le si in­se­ri­sce così quel rin­no­va­men­to etico in­di­vi­dua­le, in­sie­me a quel­lo cul­tu­ra­le, fon­dan­te­si sulla per­so­na. In que­sto modo via via pro­gre­di­sce sia lo svi­lup­po cul­tu­ra­le della società come di chi la com­po­ne. Il si­gni­fi­ca­to etico della comunità in­flui­sce in modo so­stan­zia­le nel com­por­ta­men­to del­l’in­di­vi­duo, perciò l’eticità di un po­po­lo deve es­se­re pre­oc­cu­pa­zio­ne della per­so­na se que­sta nel suo pro­prio com­por­ta­men­to tiene ad una certa autenticità. Si trat­ta in­fat­ti, come ab­bia­mo visto, di de­scri­ve­re come una società passi dal­l’es­se­re una ‘mera comunità di vita’ per con­ver­tir­si in una ‘comunità di per­so­ne’, è per­tan­to ne­ces­sa­rio che la per­so­na non solo abbia at­ti­tu­di­ne etica ma che si dia in essa un’i­dea della necessità di una cul­tu­ra eti­ca­men­te co­sti­tui­ta.

A par­ti­re da que­sta intenzionalità fon­da­zio­na­le della società etica si ha il com­pi­to for­ma­le di rin­no­va­men­to della comunità verso l’i­dea di un au­ten­ti­ca umanità giu­sta ed equa ra­zio­nal­men­te nei di­ver­si am­bi­ti della vita. La scien­za so­cia­le come forma cul­tu­ra­le deve es­se­re quin­di in­ti­ma­men­te re­la­zio­na­ta con la fi­lo­so­fia quale or­ga­no di ri­fles­sio­ne pro­po­sto al de­sti­no etico di una società.

L’at­teg­gia­men­to da as­su­me­re al fine di ot­te­ne­re que­sta società e cul­tu­ra etica passa at­tra­ver­so la me­dia­zio­ne del­l’e­du­ca­zio­ne. La con­so­li­da­zio­ne di una cul­tu­ra etica in un po­po­lo porta a con­fron­ta­re una comunità che si iden­ti­fi­chi con l’i­dea di ra­gio­ne e con va­lo­riz­za­zio­ni ad essa cor­ri­spon­den­ti. Deve quin­di es­ser­ci co­scien­za di scopi co­mu­ni, del pa­tri­mo­nio co­mu­ne da in­cre­men­ta­re di una volontà to­ta­le della quale tutti si sanno ‘li­be­ri’ fun­zio­na­ri. In una nota al se­con­do ar­ti­co­lo per il The Kaizo’ Hus­serl scri­ve: «Vi è un le­ga­me uni­ver­sa­le di volontà che pro­du­co­no l’unità della volontà, senza che vi sia un’or­ga­niz­za­zio­ne im­pe­ria­li­sta» ed in nota alla pa­gi­na ag­giun­ge: «Qui po­trem­mo par­la­re anche di una unità co­mu­ni­sta della volontà in op­po­si­zio­ne ad una im­pe­ria­li­sta».37 Più avan­ti egli chiarirà l’uso di que­sti ter­mi­ni, che sono in verità estra­nei alla ter­mi­no­lo­gia hus­ser­lia­na, ri­fe­ren­do­si all’autorità del fi­lo­so­fo al­l’in­ter­no della cul­tu­ra an­ti­ca. Se la comunità fi­lo­so­fi­ca era per così dire co­mu­ni­sta ciò non si­gni­fi­ca che l’i­dea di co­mu­ni­sta fosse ma­neg­gia­ta per una par­ti­co­la­re volontà so­cia­le in­glo­ban­te, ma bensì al­lo­ra si in­ten­de­va la comunità cor­ri­spon­den­te dei sa­cer­do­ti o dei fi­lo­so­fi do­mi­na­ti da una volontà uni­ta­ria.38

5. Ri­ca­pi­to­lan­do

Alla fine la pro­po­sta di Hus­serl sem­bra es­se­re per­tan­to una società fon­da­ta e gui­da­ta, per l’i­dea di fi­lo­so­fia e per il senso delle te­leo­lo­gia e del­l’e­ti­ca, dalla responsabilità. In que­sto tipo di società non solo si pro­teg­ge la libertà della per­so­na, ma la si ar­ric­chi­sce gra­zie al ca­rat­te­re etico della società stes­sa nella quale si pro­muo­vo­no i va­lo­ri di una cul­tu­ra ogni volta più umana. Que­sto è il si­gni­fi­ca­to pieno della cul­tu­ra fi­lo­so­fi­ca di una comunità in con­ti­nuo pro­gres­so dove si svi­lup­pa uno spi­ri­to etico co­mu­ne che dà vi­go­re al­l’i­dea etica di comunità e al ca­rat­te­re di un’i­dea te­leo­lo­gi­ca di co­mu­ni­ta­ria. Que­sta forma di ar­go­men­ta­zio­ne si orien­ta dun­que a mo­stra­re come il patto etico del sog­get­to, fon­da­to sulla au­to­ri­fles­sio­ne, è proprietà in­trin­se­ca dell’intenzionalità quale responsabilità, capacità di au­to­no­mia e di au­to­de­ter­mi­na­zio­ne per ‘un im­pe­ra­ti­vo ca­te­go­ri­co’ del ra­gio­nan­te. Per Hus­serl non sem­bra pos­si­bi­le se­pa­ra­re autoresponsabilità e responsabilità sto­ri­ca e cul­tu­ra­le, per ciò la possibilità del sin­go­lo di es­se­re re­spon­sa­bi­le dei fini dell’umanità schiu­de l’o­riz­zon­te del sin­go­lo di­ret­ta­men­te verso un com­pi­to sto­ri­co in re­la­zio­ne con la cul­tu­ra del ‘suo pro­prio po­po­lo’ che è in per­so­na­le re­la­zio­ne con l’al­tro. Que­sto aspet­to della ri­fles­sio­ne si ac­cen­tua molto chia­ra­men­te in un testo del 1924, dove il fe­no­me­no­lo­go lo ri­pe­te e lo chia­ri­sce, così scri­ve:

Io posso as­su­me­re e ri­cer­ca­re un de­sti­no so­cia­le e lo posso com­pie­re in di­ver­si modi, per que­sto de­sti­no io sono re­spon­sa­bi­le. Come la comunità, da un lato, non è una mera ‘se­rie’ di in­di­vi­dui che si rag­grup­pa­no in­sie­me, ma al con­tra­rio una uni­fi­ca­zio­ne di que­sti in­di­vi­dui per opera dell’intenzionalità in­ter­per­so­na­le, un’unità fon­da­ta gra­zie alla vita, al­l’a­zio­ne so­cia­le, di uno nei con­fron­ti del­l’al­tro, così come anche di uno con­tro l’al­tro, allo stes­so modo l’autoresponsabilità, la volontà di autoresponsabilità, la ri­fles­sio­ne ra­zio­na­le del senso e delle vie pos­si­bi­li di que­sta autoresponsabilità, per una comunità, non è una mera somma di varie autoresponsabilità […], ma al con­tra­rio di nuovo una uni­fi­ca­zio­ne che tiene uniti in­ten­zio­nal­men­te, una con l’al­tra, l’autoresponsabilità in­di­vi­dua­le e fonda tra que­ste un’unità in­ter­na.39

La ci­ta­zio­ne ap­par­tie­ne al testo che tanto impressionerà Ha­ber­mas nel mo­men­to di pro­por­re la tra­sfor­ma­zio­ne del suo ini­zia­le mo­del­lo fi­lo­so­fi­co; ov­ve­ro dalla fi­lo­so­fia della co­scien­za alla teo­ria del­l’a­zio­ne co­mu­ni­ca­ti­va, a par­ti­re dal­l’a­na­li­si del ‘mondo della vita’ e dell’intersoggettività in Hus­serl.

Hus­serl — scri­ve Ha­ber­mas — con­clu­de la sua ri­fles­sio­ne guar­dan­do alla vita in­ten­zio­na­le come in con­ti­nua uni­ver­sa­le re­la­zio­ne con la verità, […] verso l’e­si­gen­za pre­ge­vo­le di una autoresponsabilità as­so­lu­ta dell’umanità so­cia­liz­za­ta; Hus­serl non du­bi­ta nel de­si­gna­re que­sta pro­ble­ma­ti­ca come etica e pro­po­ne uno svi­lup­po ra­zio­na­le di que­sta te­ma­ti­ca.40

Di fatto la stes­sa intenzionalità, in­te­sa come ten­den­za verso la ra­gio­ne e verso la verità, che si dà nella sua ‘strut­tu­ra te­leo­lo­gi­ca uni­ver­sa­le’, è la stes­sa ra­gio­ne pra­ti­ca. Ri­ma­ne però aper­ta la do­man­da di come si dia nella soggettività il fe­no­me­no stes­so dell’intersoggettività, a par­ti­re dal quale ap­pun­to si apre e si co­sti­tui­sce ori­gi­na­ria­men­te la ‘re­gio­ne’ del­l’e­ti­co, come Hus­serl scri­ve sem­pre nel 1924:

La do­man­da è — par­lan­do ideal­men­te-​ come può una pluralità di per­so­ne […] in una pos­si­bi­le re­la­zio­ne di com­pren­sio­ne, op­pu­re at­tra­ver­so re­la­zio­ni per­so­na­li, uniti tra loro in collettività, rea­liz­zar­si in una vita di as­so­lu­ta responsabilità e con­dur­re tale vita co­mu­ni­ta­ria, fatta di una comunità di volontà, di­ri­gen­do­si verso que­sta responsabilità; […] una tale pre­mes­sa ci con­du­ce verso la necessità di ri­cer­ca­re l’o­ri­gi­ne di que­sta idea, ov­ve­ro di un’i­dea di scien­za cri­ti­ca ed idea­le che si ori­gi­ni in ogni per­so­na in­sie­me al com­pi­to di con­for­mar­si al­l’i­dea te­leo­lo­gi­ca di comunità.41


  1. J. Russ, L’e­ti­ca con­tem­po­ra­nea, Il Mu­li­no, Bo­lo­gna 1997, p. 99. ↩︎
  2. I. Kant, Pre­fa­zio­ne alla Fon­da­zio­ne della me­ta­fi­si­ca dei co­stu­mi (1785), La­ter­za, Bari, 1993. ↩︎
  3. J. Ha­ber­mas, Etica del di­scor­so, La­ter­za, Roma 2004, J. Rawls, La giu­sti­zia come equità. Saggi (1951-1969), Li­guo­ri, Na­po­li 1995, H. Jonas, La fi­lo­so­fia alle so­glie del Due­mi­la. Una dia­gno­si e una pro­gno­si, Il Nuovo Me­lan­go­lo, Bo­lo­gna 1994. ↩︎
  4. E. Hus­serl, An den Präsidenten der In­ter­na­tio­na­len Phi­lo­so­phen-​Kon­gres­ses in Aufsätz und Vorträge (1922-1937), Klu­wer Acad. Publ., Dor­dre­cht 1989, Hua XXVII, p. 240. ↩︎
  5. Il testo del 1934, in verità non è molto di­ver­so dal­l’ar­ti­co­lo ap­par­so sulla ri­vi­sta Logos del 1911, in­ti­to­la­to La fi­lo­so­fia come scien­za ri­go­ro­sa’, dove Hus­serl si ri­fe­ri­va, molto po­le­mi­ca­men­te, alla dif­fe­ren­za tra la fi­lo­so­fia in­te­sa quale scien­za ri­go­ro­sa e la pre­te­sa vi­so­ne d’in­sie­me della ‘mera scien­za’; tutto que­sto ri­guar­da il de­sti­no stes­so della per­so­na, quale di­ver­so senso dell’umanità e della sto­ria nel senso di un di­ver­so com­pi­to della cul­tu­ra e con: “la possibilità di una rea­liz­za­zio­ne con­ti­nua­men­te pro­gres­si­va del­l’i­dea di eternità dell’umanità ”, in Aufsätz und Vorträge (1911-1921), M. Ni­j­hoff, Den Haag 1986, Hua XXV, p. 116. ↩︎
  6. E. Hus­serl, Die Kri­sis der Europäischen Wis­sen­schaft­ten und die traszen­den­ta­le Phänomenologischen Re­duk­tion, M. Ni­j­hoff, Den Haag 1959, Hua VI, p. 100. ↩︎
  7. E. Hus­serl, Ein­lei­tung in die Ethik. Vor­le­sun­gen Som­mer­se­me­ster 1920 und 1924. Klu­wer Acad. Publ., Dor­dre­cht 2004, Hua XX­X­VII. ↩︎
  8. E. Hus­serl, Vor­le­sun­gen über Ethik und Wer­tleh­re. (1908-1914), Klu­wer Acad. Publ., Den Haag 1988 Hua XX­VIII, p. 29. ↩︎
  9. E. Hus­serl, Aufsätze und Vorträge (1922-1937), Klu­wer Acad. Publ., Den Haag 1989.Hua XXVII. ↩︎
  10. U. Melle, Ein­lei­tug des He­rau­sge­ber, in Hua XX­VIII, op.cit., p. XX. ↩︎
  11. E. Hus­serl, Hua XX­VIII, op. cit., pp. 390-391. ↩︎
  12. E. Hus­serl, Phänomenologische Aufklärung del Dop­pel­sei­ti­g­keit der For­ma­len Logik als For­ma­len Apo­phan­tik und For­ma­ler On­to­lo­gie in For­ma­le und Transzen­den­ta­le Logik, M. Ni­j­hoff, Den Haag, 1974, Hua XVII, op. cit., p. 100 e sgg. ↩︎
  13. M. Sche­ler, Il For­ma­li­smo nel­l’e­ti­ca e l’e­ti­ca ma­te­ria­le dei va­lo­ri, Fra­tel­li Bocca, Mi­la­no, 1944. ↩︎
  14. E. Hus­serl, Hua XX­VIII,op. cit., p. 140. ↩︎
  15. Idem, p. 145 e sgg. ↩︎
  16. Idem, p. 149. ↩︎
  17. Idem, pp. 154-155. ↩︎
  18. Così Hus­serl scri­ve nel 1934: «Chie­dia­mo­ci la fi­lo­so­fia del pre­sen­te, è totalità che, come suc­ce­de con la scien­za po­si­ti­va, col­le­ga tutta la sua ana­li­si in un’unità gra­zie alla sua stes­sa finalità alla cui in­ve­sti­ga­zio­ne, in­te­sa come un pro­gres­so in­fi­ni­to col­la­bo­ra­no tutti i suoi ri­cer­ca­to­ri? C’è nella fi­lo­so­fia un me­to­do uni­ta­rio, un si­ste­ma cre­scen­te di dot­tri­ne, che si uni­fi­chi tutta la teo­ria? Sono tutti i ri­cer­ca­to­ri uniti sotto la stes­sa mo­ti­va­zio­ne, verso la ri­cer­ca in ri­fe­ri­men­to ad un unico fon­da­men­ta­le pro­ble­ma?» in Hua XXVII, op. cit., p. 184. Si veda anche il mio I. A. Bian­chi, Etica hus­ser­lia­na, Fran­coAn­ge­li, Mi­la­no 1999. ↩︎
  19. E. Hus­serl, in Hua XXV, op. cit., p. 267 e sgg. ↩︎
  20. Idem p. 271. ↩︎
  21. E. Hus­serl, Brie­fe an Roman In­gar­den, a cura di R. In­gar­den, M. Ni­j­hoff, Den Haag, 1968, p. XXXI,. ↩︎
  22. Così scri­ve Hus­serl ad Arnod Me­tz­ger; in Brie­fe, op. cit., p. XXX. ↩︎
  23. E. Hus­serl, Bei­la­ge X, Hua XXVII, op. cit., p. 122. ↩︎
  24. Idem, p. 117. ↩︎
  25. E. Hus­serl, Fünf Aufsätze über Erin­ne­rung, Hua XXVII, op. cit., p. 3. ↩︎
  26. Cfr. I. A. Bian­chi, Etica hus­ser­lia­na, op. cit., pp 163-175. ↩︎
  27. E. Hus­serl, Natur und Geist, Klu­wer Acad. Pub., Dor­dre­cht 2001, Hua XXXII ed anche Natur und Geist. Vor­le­sun­gen Som­mer­se­me­ster 1919, Klu­wer Acad. Pub., Dor­de­re­cht 2002, Hus­ser­lia­na Ma­te­ria­lien Bd IV. ↩︎
  28. Guil­ler­mo Hoyo Vásquez, Intentionalität als Ve­rant­vor­tung. Ge­schi­ch­tste­leo­lo­gie und Te­leo­lo­gie der Intentionalität bei Hus­serl., M. Ni­j­hoff, Den Haag, 1975, Phä 67. ↩︎
  29. E. Hus­serl, Er­neue­rung als in­di­vi­dua­le­thi­sches Pro­blem, in Hua XXVII, op, cit., p. 21. ↩︎
  30. Idem, p. 20. ↩︎
  31. In ri­fe­ri­men­to anche I. A. Bian­chi, Au­to­co­scien­za e libertà: le tesi hus­ser­lia­ne sulla per­so­na quali fon­da­men­to del­l’a­gi­re etico, in Etica e per­so­na, Atti con­ve­gno, Ve­ro­na, apri­le 2003, Fran­coAn­ge­li Mi­la­no 2004, (pp.111-133). ↩︎
  32. E. Hus­serl, Er­neue­rung als in­di­vi­dua­le­thi­sches Pro­blem, Hua XXVII, op. cit., p. 25. ↩︎
  33. Idem, p. 36. ↩︎
  34. Ibi­dem. ↩︎
  35. Idem, p. 48. ↩︎
  36. Idem, p. 49. ↩︎
  37. Idem, p. 53 in nota. ↩︎
  38. E. Hus­serl, Die Ent­wic­klung der phi­lo­so­phi­schen Kulturgestät’ in Hua XXVII, op. cit., p. 90. ↩︎
  39. E. Hus­serl, Me­di­ta­tion über die Idee eines In­di­vi­duel­len und Ge­mein­schaf­tsle­bens in Ab­so­lu­ter Selbst­ve­rant­wor­tung, in Erste Phi­lo­sphie (1923/1924), M. Ni­j­hoff, Den Haag 1949, Hua VIII, pp. 197-198. ↩︎
  40. J. Ha­ber­mas, Vor­stu­dien und Ergänzungen zur Theo­rie des kom­mu­ni­ka­ti­ves Han­delns. Suhr­kamp, Frank­furt a. M. 1984, p. 44. ↩︎
  41. E. Hus­serl, Hua VIII, op.cit., p. 199. ↩︎

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