Medialità condivisa: Costellazioni Familiari mediali di Bert Hellinger

Sappiamo e sentiamo di essere legati a qualcosa di più grande al di là dei nostri genitori,
e da questo qualcosa di più grande traiamo forza.

Bert Hellinger

Non è facile leggere o sentire spiegazioni o commenti su questo metodo di lavoro helligeriano, questo perché, come Hellinger stesso affermava, questa rivelazione mediale (la medianità insita nel mediale viene intesa qui come l’esser mezzo consapevole al servizio di una comunicazione altra) che lo ha raggiunto come una rivelazione importante del suo lavoro, è stata confinata, soprattutto da chi collega le costellazioni alla psicoterapia, come un ‘altro metodo’, quindi diversamente collegata e difficilmente rappresentabile.

Nel 2003 a Bolzano, durante un importante seminario in presenza, Bert Hellinger, parla di costellazioni mediali; parla e dimostra questa modalità molto complessa, e nell’insieme essenziale, di come si possano aprire ‘nuovi spazi’, mondi al di là delle dimensioni note e della consapevolezza quotidiana; possibilità che ci conducono verso una comprensione e un’azione creatrice, che ci consentono di superare le nostre idee ristrette e i nostri normali limiti.

Bert stesso afferma nella sua biografia, che alcuni degli scritti da lui redatti negli ultimi anni sono ’canalizzati’, messaggi compiuti da fissare sulla carta, ne nascono libri non facili ma importanti da leggere, dove si mescolano filosofia, religione, e in definitiva tutti collegati ai movimenti mediali che sottendono alla vita delle persone e che possiamo riconoscere anche in risposte veloci, frasi repentine, dirette, di guarigione, che sono frutto del potenziale di concentrazione e capacità di farsi canale, dove l’ego tace, che Bert manifesta entrando direttamente in medianità. Di fatto chi cerca di soddisfare il desiderio del cliente, siano i rappresentanti che i costellatori, ricercando a tutti i costi una soluzione, non può restare collegato al campo costellativo e tanto meno a quello mediale, mancando della dimensione dell’ascolto/azione non finalizzato ad una soluzione preordinata (argomento ampio al quale dedicherò uno spazio a breve).

Fin dall’inizio, in ogni mia sessione, ma in generale (anche noi costellatori ci siamo ampiamente passati durante il lungo e impegnativo percorso di formazione alla HellingerSchule), ciò che risulta incomprensibili alle persone che si avvicinano alle costellazioni familiari, e nell’essere rappresentanti, è il sentirsi subito come delle ‘persone altre’, ovvero quelle rappresentate, e questo senza saper assolutamente nulla di loro. Un ‘miracolo’ che all’inizio crea diverse reazioni; spesso è difficile riportare le persone (a volte anche alcuni terapeuti) ad una dimensione di consapevolezza di essere solo all’umile servizio di qualche cosa di più grande, al silenzio rispettoso di quanto lavorato, alla consapevolezza che siamo tutti al servizio.  Questo perché pur restando nei nostri limiti possiamo essere coinvolti da forze appartenenti a un mondo che va oltre quello quotidiano.

Io sono li, in mezzo ad uno spazio creato dal gruppo che partecipa e improvvisamente vengo presa e trasportata, fisicamente trasportata, in un’altra dimensione, ballo, urlo, piango vedo e sento la vita di altri, assumo altre espressioni con una precisone impressionante, chi e cosa mi passano attraverso? E com’è possibile?

All’inizio diventa difficile lasciarsi trasportare e permettersi di sentire, solo lentamente, con fiducia e abbandono, accade completamente il miracolo. La letteratura in merito e moltissima ma non ci serve in quel preciso momento in cui siamo presi da ‘altro’, serve solo stare, essere, muoversi, sentire, sicuri che ogni sensazione che ci passa attraverso pur appartenendo ad altri spazi e storie, alla fine riguarda  anche noi, infatti (altra ‘ magia del campo’), è questo farsi uno e molti insieme del gruppo, in ogni domanda di altri, si esprime anche una nostra domanda e ad ogni risposta arriva un pensiero che riguarda il nostro problema, come una rete invisibile sempre connessa che riguarda tutti noi, un’onda comune che ci muove.

Nel tempo continuando a sperimentare, studiare e lavorare con Bert, divenne chiaro che dietro ogni costellazione dello spirito appare un processo mediale, attraverso il quale i rappresentanti e il costellatore sono al servizio di altre forze, questo a condizione di abbandonarsi con fiducia a questa grandezza e lasciarsi guidare. Vi è qualche cosa di creativo che si nasconde dietro tutto e tutti, queste costellazioni sono passi nel buio, e in quel vuoto, che è un vero e proprio spazio di accoglienza, si palesano delle informazioni fulminee e dirette, che si esprimono attraverso parole che giungono al costellatore ormai medio e strumento consapevole. Chiudendo gli occhi, in raccoglimento profondo si attende quel suggerimento che viene da altre dimensioni, parola cosi pregne di significato che una volta pronunciate interiormente vanno subito lasciate andare affiche possano agire nell’anima con il loro riverbero pluridimensionale, dinamico, spaziale.

Come si volgono queste costellazioni al limite? Molto semplicemente le persone si siedono vicino al costellatore e spesso ma non sempre non servono parole, meno il costellatore sa del tema più lo spirito lavora per questo non conoscendo lo scopo, il tema o al massimo con pochissime parole, tutto il lavoro è sull’essenziale. Poi nella fiducia al costellatore arriva una parola, una suggestione, che viene detta inviando il cliente a ripeterla dentro di sé, e insieme tutto il gruppo viene preso da questo movimento e li conduce, senso e significato scompaio per un attimo tutto si svolge su altri piani, meno frequente è una rappresentazione, seppur minimale, ed essenziale del tema. In questo breve a intensissimo frangente si innesca un meccanismo importante che a cascata coinvolge tutto il sistema.

Silenzio e concentrazione sono i termini che superano i contrasti e cosi ni bisogni e nella partecipazione accade che un suggerimento medianico tocca tutti i partecipanti, ci conduce altrove verso una medianità condivisa, (che non va assolutamente commentato né giudicato pena la perdita di tutta la forza che produce.). Improvvisamente i movimenti coinvolgono tutti i membri del gruppo con la consapevolezza che operano mondi diversi, movimenti che portano alla pace alla luce dello spirito. Il nostro spirito si muove in un altro ambito dove tutto esite contemporaneamente passato e futuro e si manifesta a noi quando ci porta con sé in questo ambito e nella sua vastità. Ma solo se ci apriamo ad esso.

Il tempo così prende un altro valore, l’essenziale è breve, tutto ciò che ci raggiunge da altri spazi e ci incita ad agire arriva immediato, diretto, arriva subito al punto, l’essenziale richiede una profonda concentrazione, il passo da fare, un solo passo, è già cambiamento, le conseguenze hanno il fiato lungo e a volte durano per sempre; raccolti attendiamo che in armonia il messaggio si manifesti attendiamo il prossimo passo.

I.A. Bianchi

Riferimenti bibliografici utili si veda:

Bert Hellinger,:

Verso nuovi spazi’, 2013, Tecniche Nuove ed

 Guardare nell’anima dei bambini’ 2014. Tecniche Nuove ed.

 

I nostri incontri costellativi/maggio 2025

I nostri #incontri

Domenica 18 #Maggio affrontiamo il tema della #guarigione

Ciriè presso Ass. Macapa

Dove guardiamo per prima cosa quando abbiamo bisogno di guarigione? Guardiamo al nostro corpo. Attendiamo soprattutto sollievo nel corpo. Oltre al corpo però, l’#anima e lo #spirito giocano un ruolo fondamentale nella guarigione. Anch’essi devono essere curati. Spesso il dolore dell’anima è persino più intenso del dolore fisico   Come sentire che la guarigione è profonda e reale?  A chi obbedisce l’anima? Da dove trae la fiducia per una guarigione che consente di vivere la vita pienamente? Dall’#amore, un amore che va molto al di là dell’amore che fa ammalare, dapprima nell’anima e poi nel corpo. L’amore che guarisce è un amore dello spirito. La #salute è aumento della capacità di amare e della presa di #coscienza dell’importanza dell’amore come fattore di guarigione per noi stessi e per l’altro.

Ciò che accade, accade per Amore e ciò che grazie all’Amore viene mantenuto può essere sciolto e annullato solo nell’Amore. C’è un futuro solo per chi è in sintonia con il passato.

 

 

Impresa: un valore collettivo per la vita

L’impresa è un sistema organizzativo da cui dipendono i destini di numerosi individui e, in questo senso, essa è una comunità di destini e il suo valore è dunque collettivo.  L’azienda cresce o decresce insieme a tutti i suoi componenti dal Ceo, il management, i dipendenti, i collaboratori, i soci, gli azionisti, tutti condividono lo stesso destino. Dunque consideriamo l’impresa come un movimento della vita che, deve essere, per fiorire, al servizio della vita stessa. Grazie proprio all’approccio fenomenologico, il Prof Hellinger che ha iniziato a intuire quali fossero le leggi del successo e dell’insuccesso nel lavoro, nella professione e nelle organizzazioni e nelle imprese possiamo oggi avvalerci di un metodo straordinario di consulenza molto particolare che si differenzia da tutte le consulenze fin ora disponibili. Un’impresa è un sistema composto di persone, con il proprio vissuto e la propria storia e questo ci porta a dedurre come la vita personale e la vita professionale non siano separate, ma intrinsecamente connesse e come, al tempo stesso, nella struttura di una organizzazione possano ricrearsi dinamiche appartenenti alle famiglie di origine dei soggetti che vi operano. Le aziende non sono quindi entità materiali, esse sono piuttosto entità spirituali e creative, regolate da leggi spirituali, le stesse esistenti alla base dello sviluppo e del fluire della vita. L’approccio fenomenologico ci mostra come ci siano dei veri “ordini del successo” che determinano l’andamento di un’impresa o di una organizzazione lavorativa, e che il rispetto di tali leggi è fondamentale affinché il flusso vitale possa scorrere e sostenere la massima espressione del potenziale di un’azienda e di tutti i suoi componenti. Grazie alle Costellazioni aziendali e organizzative si è potuto constate che quando un’azienda non cresce, si chiude in sé stessa o va verso il fallimento, alla base i principi su cui si basano gli ordini del successo non sono stati rispettati e questo si riflette sui leader che non sono in grado di gestire la loro posizione e conseguentemente i ruoli e il lavoro dei collaboratori che non hanno una direzione. I collaboratori avranno relazioni disfunzionali, oppure perdono di vista il compito ultimo del loro operato, non perseguono gli obiettivi con la solerzia dovuta e i clienti non vengono seguiti e si allontanano.  Nel lavoro svolto in questi anni e nell’incontro con molti imprenditrici e imprenditori e le loro aziende quello che è emerso è come il successo sia il riflesso del rapporto con i propri genitori, in primis con la madre: trovare la strada verso nostra madre e accogliere nel nostro animo nostra madre così com’è, con rispetto e gratitudine, ci permette di essere profondamente connessi con il successo. Come sempre sosteneva Hellinger Il successo ha sempre il volto della madre. Le qualità che il successo ci chiede di sviluppare, sono le stesse che troviamo guardando nostra madre che si messa al servizio della vita dandoci la vita. Mentre sarà il movimento dell’anima verso il padre a farci trovare un posto nel modo, cosi sviluppiamo una leadership autorevole, impariamo a mettere dei limiti dicendo di no ed a salvaguardarci dal burnout, a rimanere nella forza necessaria per imporci sul mercato ad ogni livello. Il successo quindi esula in parte dalla nostra volontà ma viene determinato da una forza superiore che determina la nostra consapevolezza dandoci le basi per esser davvero al servizio della vita

Riflessione filosofica per iniziare bene il Nuovo Anno : Valore dell’etica

Il filo conduttore.

Condivido con Jacqueline #Russ il fatto che stiamo entrando in un periodo in cui la ‘scienza della libertà’, che Kant aveva battezzato come ‘etica’, tende a configurarsi come ‘controllo di #controllo’ e come ‘potere sul #potere’; per contro il pensiero etico contemporaneo dovrebbe tendere verso un’esigenza di saggezza ovvero ad una riconquista di una ragione pratica garantita dal più ampio consenso basato sulla capacità di dialogo e di ascolto, in direzione di un’etica (che gia #Habermas e #Rawls, peraltro, avevano teorizzato) e di ‘un principio di responsabilità universale’,  di #autoresponsabilità, che non escluda la reciprocità (così come #Jonas per un verso, e #Husserl per un altro, proponevano a gran voce già molti anni fà).

La ricerca di un’etica valida per l’#umanità nel suo insieme, compreso il genere umano futuro datoci in affidamento, dovrebbe quindi almeno illuminare l’ordine etico contemporaneo; la filosofia pratica, già Kant sottolineava, non si fonda su ciò che è ma su ciò che ‘deve essere’, non tanto una constatazione storica dell’avvenuto ma uno sguardo su ciò che ‘deve succedere’; un divenire di una società in continua trasformazione dove l’etica è da intendersi come uno dei compiti ultimi nel mentre si realizzi un tentativo di ricomposizione dell’orizzonte ideologico (mai così aperto, direi frammentato) fatto di molteplici differenze ed insieme anche di molteplici fraintendimenti, di chiusure e barbarie; orizzonte che radica la nostra stessa responsabilità nel cuore delle trasformazioni odierne.

Ciò che ci condurrà attraverso le nostre riflessioni è una domanda, ovvero: Che cosa ha da dirci la #filosofia oggi (e ancor più la fenomenologia)? Quale ne è lo #scopo? La sua ‘#utilita’?

Tentiamo di rispondere iniziando da ciò che Husserl scrisse a proposito dell’VIII Congresso Internazionale di Filosofia, che si svolse nel 1934 a Praga, in una lettera a Radl: La filosofia è l’organon di una nuova forma di esistenza (Daseins) storica dell’umanità, un’esistenza che si esprime nel suo spirito di autonomia (…). L’autoresponsabilità filosofica si realizza necessariamente nella comunità di coloro che filosofano. Considerando tutto ciò come principio, la comunità filosofica e la filosofia sono il fenomeno originario e allo stesso tempo la forza viva operante (…) la quale, partendo dalla mera intenzionalità attraverso la sua forza (Macht) ha creato e coltiva un’intenzionalità del tutto nuova, ovvero un’unione mediante lo spirito di autonomia.

Ciò che #Husserl proponeva, con riferimento alla funzione della filosofia nel 1934, coincide con la sua tesi, peraltro già conosciuta, in riferimento al processo di ‘positivizzazione’ della scienza in relazione con la crisi della cultura; positivizzazione che ha condotto ad un occultamento del ‘mondo della vita’ ed all’oblio della soggettività . Deplorando la perdita di valore vitale, causata dall’aspirazione incessante a ridurre tutto ciò che si dà ad una natura calcolabile, Husserl ravvisa il pericolo di una visione ‘generale’ del mondo che domini la cultura e porti alla dispersione della stessa filosofia «Questa è una questione pratica» – sottolinea il Nostro – «Dunque la nostra influenza storica, e insieme la stessa nostra responsabilità etica, si estende perfino alla più remota lontananza dall’ideale etico» Ed è nel trattare il rapporto tra ontologia e fenomenologia che Husserl sviluppò un’etica fenomenologica seguendo proprio il suo stesso modello ontologico. Brevemente ricordiamo che nella prima parte della sua riflessione etica, egli si occupò della refutazione dello scetticismo che si manifesta soprattutto nello psicologismo, al quale egli oppose l’unica alternativa possibile ovvero la filosofia fenomenologica.

La risposta allo #scetticismo consiste infatti nel riconoscere prima di tutto la validità, anche nell’etica, della rivendicazione del significato dei #sentimenti #morali, per dimostrare dopo, sistematicamente, la possibilità di un ruolo ‘obiettivo’ dell’etica stessa; si tratta di una teoria formale dei valori che sarà ripersa nelle sue lezioni del 1920. Egli sviluppò quindi inizialmente un modello etico partendo dal presupposto che tra la ragione logico-teoretica e la ragione assiologico-pratica, ovvero tra l’idea della #Verità e quella del #Bene, esista un’analogia; e sarà solo in un secondo momento che ad essa si collegheranno le ricerche sulla cultura e sulla storia, frutto anche del periodo di transizione inerente alla Prima Guerra Mondiale; transizione che consiste nel comparare criticamente quell’attualità ‘priva di senso’ con la pretesa razionalità di una cultura filosofica del periodo, in contrapposizione ad una motivazione che possa elevare al principio di responsabilità come condizione di possibilità di un ‘rinnovamento’ (Erneuerung) della vita individuale, e di una cultura in generale, a partire da un impianto teleologico dell’intenzionalità e della storia.

Ne risulterà che il soggetto trascendentale non deve solamente ‘preservare’ il mondo da uno stato di caoticità, ma anche dare ‘forma’ all’esistenza secondo le supreme idee della ragione, difendendo così la vita dal caos che si presenta non appena la ragione si ritrae. Husserl svilupperà nei suoi ultimi scritti una concezione pratica della fenomenologia, nel senso in cui essa si rivela una riflessione che si conforma in un ‘ethos’, tramite il quale si costituisce una comunità, quella dei ‘funzionari dell’umanità’, ovvero dei filosofi, che vive dello spirito di autonomia ed indipendenza tipico della filosofia, il cui compito non si esaurisce nell’essere un gruppo di persone appartenenti ad una determinata cultura, ma diviene un compito infinito di tensione verso la ‘Verità’. Questo impegno etico, segnala Husserl, che è insieme una nuova concezione della temporalità, in quanto l’#autoresponsabilità del soggetto etico, costituisce la fenomenologia in una filosofia del presente, partendo da una tradizione fondatrice, in un orizzonte di un lavoro infinito da realizzarsi in ogni momento storico.

La fenomenologia ci aiuta ad approfondire il significato della proposta di come il sentimento morale, quale punto di partenza del discorso etico, non solo non è una caduta nel relativismo, proprio dello scetticismo, ma al contrario permette di superarlo fino a riconoscere la sua stessa verità. Ricordiamo che nell’argomentazione di Husserl contro lo psicologismo, inteso come la forma più pericolosa dello scetticismo, ovvero contro quel verdetto di condanna sulla conoscenza e sulla logica che nega la possibilità stessa che esita una verità tanto nella logica come nella morale, occupa un luogo importante la critica a Kant e al razionalismo. Il formalismo kantiano non riconosce il significato ‘situativo’ del sentire e dell’atto del vivere, elementi di un’affettività invece richiesta dalla fenomenologia. Per Kant solo la retta intenzione ha un significato morale mentre sentimenti quali la gioia intimamente vissuta, è estranea al merito; tutt’al più può essere conforme alla morale e può ricondurvisi per ciò che in essa si rispecchia dell’immanente razionalità. Quindi la contraddizione dello scetticismo logico trova così un ‘analogon’ nel controsenso pratico in cui si dibatte ogni proposizione imperativa che ci inviti a considerare illegittima, dal punto di vista razionale, la pretesa racchiusa in un qualsiasi gesto di comando. Per Husserl appare chiaro che solo la filosofia può vincere lo scetticismo in tutte le sue forme, quali lo psicologismo, il naturalismo e insieme il positivismo scientifico in quanto inibitori, nella loro visione unilaterale, di un diverso sforzo di comprensione insito nella filosofia stessa, così come egli fortemente sottolinea proprio nella sua conferenza di Praga. Si tratta del ‘tragico della scienza positiva’, che si esplica nella dispersione, data dalla massiva specializzazione delle scienze naturali.

 II. Deprecato positivismo

L’iperspecializzazione delle scienze, la loro #tecnicizzazione sempre più massiva, si scontra con un sentire più profondo ed inglobante, tipico dell’uomo, che si esprime nell’universo filosofico, portandolo verso la decadenza. Così facendo si deforma il concetto stesso di scienza; la tecnicizzazione e iperspecializzazione portano ad un risultato che, al di là delle sue positive scoperte, che non sono certo deprecate da Husserl, il fenomenologo è teso per lo più contro una superficiale arroganza data dal ‘finto’ potere della ‘macchina’ sull’uomo e non viceversa; lo scetticismo quindi nella sua forma fondamentale, che coltiva una sorta di diffidenza in riferimento alla stessa filosofia, termina per essere l’oggetto della critica, la quale a sua volta motiva il significato radicale del compromesso etico della fenomenologia.

Come sottolinea Ullrich Melle nella sua ‘Introduzione’ alle ‘Vorlesungen ueber Ethik’, Husserl segue inizialmente, nelle sue prime lezioni sull’etica, lo stesso cammino del suo maestro Franz #Brentano e delle sue lezioni sulla filosofia pratica. Anche per Brentano si tratta di chiarire come è possibile una considerazione dei sentimenti nel processo di fondazione etica, senza per questo cadere nel relativismo o nello scetticismo etico. Certamente l’etica tratta del sentimento morale, però non si chiarisce sul sentimento così come fa con il giudizio. Kant, per esempio, sottolinea Brentano, per arrivare alle sue conclusioni sulla morale determina il significato ultimo e la validità della morale stessa nella formalità dei principi, rifiutando tutta la partecipazione del sentimento e dell’esperienza nel processo della conoscenza e della motivazione dell’azione morale. All’altro estremo, l’empirismo riconosce tutta la forza morale propria dei sentimenti; il principio nel quale però essi concludono non supera il livello di generalità di #verità che in verità può darsi con l’induzione e con l’#abitudine.

Husserl argomenterà contro ambedue le posizioni; entrambe per un verso unilaterali, sottolineando però che l’empirismo ha ragione ad iniziare le sue analisi dai sentimenti e nel decidersi per l’esperienza viva nella quale si dà a noi il fenomeno morale; ma è necessario accedere ad un’analisi intenzionale di questa esperienza viva del sentimento per poterlo includere nell’intuizione del valore e non semplicemente interpretarlo come se si trattasse di un dato naturale dell’esperienza interna. Come per la logica anche per l’etica vale affermare che gli empiristi scoprendo l’intenzionalità nella loro analisi dell’esperienza interna, furono però ciechi ravvisando in essa solo il luogo della forma e della genesi in modo naturalistico, non ne intesero perciò il senso del trascendere del concetto di intenzionalità, del concetto stesso e del giudizio; ed è in questo senso che anche Kant interpreta il sentire, come lo stesso empirismo, caratterizzando le sue analisi al modo di una specie di fisiologia naturalista del conoscere umano.

Alla fine però né Kant (nella deduzione trascendentale della prima edizione) né gli empiristi, furono capaci, per Husserl, di esplicare e spiegare le scoperte dell’intenzionalità della coscienza per ritrovare in quella forma la struttura del sentimento, pienamente ‘vittime’ appunto del pregiudizio psicologista che guarda al sentimento solo come ‘dato’ naturale dell’esperienza interna.

Nell’analisi intenzionale del vivente, si evidenziano nella loro originarietà i fenomeni morali come coscienza della situazione discernibile dal punto di vista morale, il che permette ad Husserl di distinguere, classificare e sistematizzare, tutti quegli atti che confermano una ‘fenomenologia della morale’. In questo aspetto più analitico che trascendentale dell’etica fenomenologica si può certamente accettare che Husserl sia superato da Max Scheler.

Come già si è tentato di dire, il punto cruciale dell’etica fenomenologica, si situa però non tanto nell’analisi etico-logica, quanto nel passaggio dall’analisi intenzionale dei valori all’intenzionalità, intesa come responsabilità, e da qui all’etica come coscienza storica e culturale tanto dell’individuo come della società.

In effetti, Husserl stesso ammette che la dimensione formale dell’etica non coincide con l’etica stessa e il filosofo non avrebbe ancora assolto al suo compito quando avesse delineato in modo esaustivo il sistema delle leggi formali della ragione pratica; alla dimensione formale deve affiancarsi dunque una dimensione materiale dell’etica. Infatti le sue lezioni sull’etica del 1914 si concludevano con una quarta parte dedicata alla ‘Pratica formale’ di cui l’ultimo paragrafo si intitola ‘Obiettività delle possibilità pratiche e la loro relatività al soggetto’. In questo paragrafo si tematizza l’assunto della morale in relazione al soggetto dell’azione venendo così ad infrangere una certa forma analogica tra l’analisi intenzionale della morale con l’ambito logico, così come Husserl stesso scrive: « D’altro canto a una soggettività non può essere a priori richiesto nulla che non sia poi in suo potere raggiungere (…)»”, e più avanti aggiunge: Le nostre considerazioni (…) ci mostrano che (…) non è possibile cadere nell’errore di voler pre-delineare con il solito aiuto di un imperativo categorico, privo di contenuto, che cosa sia praticamente richiesto e che cosa sia dunque assolutamente dovuto nella situazione determinata di volta in volta presente. La logica formale con tutte le sue leggi non può metterci nella condizione di dedurre la più piccola verità fattuale. Essa abbraccia (…) solo le verità formali. (…) Lo stesso si può dire dell’assiologia e della pratica formali. (…) Sarebbero ora da definire le classi fondamentali dei valori e dei beni pratici per poi rendere oggetto di indagine le leggi della preferenza. (…) Che cosa dire dunque della valutazione di una persona in quanto essere razionale? (…) Di qui dunque muovono le linee che ci conducono verso l’etica in senso proprio, verso l’etica individuale e sociale. 

Che cosa significa per l’etica questo ampliamento di analisi da parte di Husserl grazie al quale si scopre una nuova funzione della soggettività? Che cosa motiva il cambio di prospettiva nella sua riflessione etica, ovvero il passare da un’analisi fenomenologica costitutiva del valore ad una riflessione sul soggetto che valorizza e che agisce sino a convertirsi in una ‘filosofia del presente’, così come il fenomenologo stesso la reclama alla fine della sua vita? Tentiamo di rispondere a queste domande analizzando il pensiero di Husserl degli anni venti.

III. La forza dell’autoresponsabilità.

La particolare e tragica congiuntura storica presente in Germania nel periodo della prima guerra mondiale entra direttamente a far parte dell’evoluzione del ‘sentire’ etico da parte di Husserl tanto da promuovere una serie di tre lezioni per i soldati che ritornavano dal campo di battaglia. La seconda è intitolata: ‘L’ordine etico del mondo come principio creatore del mondo’ . Punto di partenza della lezione è la ormai nota diagnosi di Husserl in riferimento all’oblio della tradizione filosofica a causa del positivismo. Questa rimozione della filosofia in favore della scienza esatta farà esclamare ad Husserl che l’autogiustificazione farisaica della scienza è quanto mai inopportuna senza contare l’ingiustificata deprecazione da parte della filosofia per parte di coloro che sono educati alle scienze esatte e rigorose del tempo in cui viviamo. Per questo anche la stessa guerra può essere intesa come un tempo di rinnovamento sin dalla fonte di tutti gli ideali di forza, che fluisce verso il popolo stesso conservandone tutta la forza salvatrice. La caratteristica di questa forza della filosofia sta nel suo determinare il sentire della vita: « (…) che può esser definita in funzione di un fine superiore della vita personale (…)» Ed è solo questa teleologia propria della filosofia, ed intrinseca nella stessa soggettività, che si presenta come il fine etico superiore.

Si tratta pertanto di una filosofia (e del sentire di una nuova metafisica) che trasforma eticamente l’umanità, dove la persona diviene libera di agire, libera nel ‘sapere’ libero, facente parte di una società a sua volta libera. Husserl non si inclina quindi verso una critica delle guerra ma critica ampiamente la ‘retorica bellica’ puntando ad una posizione morale universalistica, così come scriveva a Ingarden nel 1917: «(…) l’etica come tale è una forma transpersonale (…) come la stessa logica, tanto che il materiale della nostra posizione etico-politica evidentemente non ne è poi tanto distante» Ma già alla fine della guerra il motivo etico si radicalizza più verso il versante della critica alla cultura e alle sue diverse manifestazioni dove possiamo comprendere l’attitudine radicale della fenomenologia:   (…) come una decisione che mira ad elevare la vita da un mero fatto di scambio e di produzione, attitudine che diviene una nemica mortale del capitalismo e di tutto un modo del tutto egoistico di accumulare dei beni che non hanno a che fare con l’elevazione morale della persona.

Alla fine comunque la valutazione della guerra, da parte di Husserl, non potrebbe essere più negativa. Il fenomenologo sottolinea fortemente come questa metta allo scoperto un’indescrivibile miseria morale, religiosa ed insieme filosofica dell’umanità. Tutto questo trasforma tutti i valori: (…) la scienza, l’arte e tutto ciò che sin ora si poteva considerare un bene spirituale assoluto, in oggetto di apologetica e nazionalista, di mercificazione, (…) uno strumento di potere. L’effetto ideologico di questa trasmutazione di valori è palese: (…). La fraseologia e le argomentazioni politiche, nazionaliste e socialiste hanno potere sulla massa più delle argomentazioni della ‘sapienza umanitaria’.

A questa critica corrisponde per altro, purtroppo, l’entusiasmo percepito da Husserl da parte dei giovani di ritorno della guerra verso questa stessa retorica ed una manipolazione propagandistica degli ideali filosofici e religiosi e nazionalisti che minano l’autonomia del lavoro accademico, che dovrebbe fondarsi in un ideale di un sapere fondamentale ed autentico. Con queste osservazioni, quali segno del tempo storico vissuto, Husserl pensava inoltre di iniziare il primo di una serie di articoli per la rivista giapponese ‘The Kaizo’, alla fine però preferisce tacere cercando di staccarsi dalla polemica, sottolineando in altro modo il sentire tragico della situazione.

Husserl inizia i suoi articoli appellandosi al rinnovamento come unica possibilità di fuoruscita dal tragico e tormentato momento storico. La guerra che dal 1914 ha devastato l’Europa e che dal 1918 non ha fatto che sostituire i mezzi di coercizione militare con quelli più raffinati della tortura psicologica e dell’indigenza economica, non meno depravata dal punto di vista morale, ha rivelato l’intima non verità ed insensatezza di tale cultura. Proprio questa rivelazione però finisce per impedire che essa dispieghi appieno la sua autentica forza. Non è pertanto solo l’eco storica dell’accadere che motiva la riflessione filosofica su di una determinata azione ma la sua interpretazione culturale; infatti una nazione, sottolinea Husserl, un’umanità, vive e opera nella pienezza delle forze soltanto se sorretta nel suo slancio da una fede in se stessa e nella bellezza e bontà della vita della propria cultura.

Verrebbe da chiedersi come sia possibile in verità pensare al rinnovamento di fronte ad una falsità del sentire, ad una stanchezza culturale così profonda; e la filosofia che tipo di competenze avrebbe dovuto avere in un momento storico così cupo? Diagnosticare la crisi per Husserl infatti non è sufficiente bisogna cercare anche una soluzione. Nei manoscritti sulle lezioni etiche degli anni venti, Husserl si pone questo problema ed insieme analizza anche la differenza tra mondo dello spirito e mondo della natura. La distinzione tra le due differenti ‘regioni’, riguardanti ambedue in effetti il ‘mondo della vita’, permette di caratterizzare in maniera rigorosa (in opposizione al mero principio di causalità), il sentire profondo della motivazione quale perno per il regno universale dei fini che non è altro che lo stesso ‘mondo della vita’ nel quale riconosciamo la soggettività nel suo essere attiva da un punto di vista della comunità. Da qui i valori positivi si vanno determinando a partire dall’autocoscienza, nella quale si manifesta la possibilità infinita dell’essere umano non solo come individuo ma come membro di un’unità culturale, dato che in essa si obiettiva l’unità della vita attiva, della quale l’umanità di un’epoca e di una nazione ne diviene una sorta di soggetto. Per Husserl la motivazione morale ultima, la quale accorda al sentimento un’autoresponsabilità radicale, forma parte della fenomenologia stessa che si inscrive in un particolare sentire culturale, davanti al quale il filosofo non può restare indifferente sin tanto che vuole autocomprendersi come ‘funzionario dell’umanità’.

Filosofia ed etica individuale.

 Ma che cosa intende Husserl con l’uso della parola cultura o meglio di ‘unità culturale’? Per cultura – scrive nel 1923 – non intendo nient’altro che l’insieme delle azioni e operazioni messe in atto da uomini accomunati nelle loro continue attività, operazioni che esistono e perdurano spiritualmente nell’unità della coscienza della comunità e della sua tradizione mantenuta sempre viva. La cultura quindi, che si esprime anche nell’espressione fattiva della creatività del singolo, e che può sempre di nuovo essere fonte di ispirazione fruitivo-creativa, dando così senso ad una continuità storica del farsi della cultura stessa, trascende la singolarità nella comunità pur creando della comunità un’unità di membri legati tra loro, intrecciati da atti sociali complessi, che uniscono spiritualmente una persona all’altra. In quest’ambito appare chiaro che l’etica individuale trova il suo senso in un’etica sociale; così come l’invocato ‘rinnovamento’ dell’uomo si realizza nel considerare l’individuo come parte integrante dell’umanità che diviene così il tema centrale dell’etica stessa.

Questa concezione dell’etica significa che la filosofia morale può esserne solo una parte; mentre la morale regola il comportamento pratico, buono, razionale, dell’uomo in relazione all’altro, l’etica deve essere concepita necessariamente come la scienza della vita attiva, totale, della soggettività razionale, dal punto di vista della ragione, dirigendo unitariamente vita e totalità; pertanto il titolo di ragione deve, per Husserl, comprendere un sentire generale, di conseguenza:«(…) la vita attiva di una comunità di un’intera comunità – quand’anche non fosse comparsa nessuna realtà storica – può assumere la forma unitaria della ragione pratica, la forma di una vita etica»

Per specificare maggiormente e qualificare questo suo sentire etico Husserl, nel terzo dei suoi articoli per il ‘The Kaizo’, si pone il problema, forse più importante dell’intera riflessione, ovvero: che cosa intendiamo quando parliamo di soggetto inteso come ‘persona libera’? Il punto di partenza per una così complessa ma essenziale analisi è la facoltà dell’essere umano, che appartiene alla sua stessa essenza, di avere un’autocoscienza, ovvero un sentire preciso dell’introspezione (inspectio sui) e della facoltà di prendere posizione e di agire; atti personali che si riferiscono riflessivamente alla propria vita e a se stessi; pertanto sembra chiaro che l’essenza stessa dell’uomo si incentri sulle capacità di rappresentazione, pensiero e di avvaloramento, in quanto atti singolari e valutazione dei propri atti, motivazioni e scopi, possibili o reali che siano. L’essere umano può quindi passare da una dimensione particolare ad un’universale, dalla forma dell’assoluto a quella del generale; egli può far precedere ad ogni attività una valutazione e una libertà di scelta che nessun altro essere può esercitare. Di più, l’uomo ha la facoltà di inibire gli effetti delle proprie pulsioni e delle affezioni ‘passive’, di metterle in questione, di esaminarle; esso diviene così, in senso pregnante, soggetto di volontà che non segue il corso degli eventi ma prende da sé (e su di sé) le proprie decisioni.

Una libera volontà che per Husserl si eleva nel momento che il soggetto può far valere questa possibilità nel confronto tra altri atti liberi, dove porre una posizione critica ed esaminare l’intera questione riconfermando un’eventuale presa di posizione, oppure rifiutandola, e questo in un possibile continuo ‘Immer wieder’ che mi permette di liberarmi da catene causali negative e di ‘ri-cominciare’ ogni volta alla luce della ragione. Non posso revocare l’evento gia accaduto ma posso nel corso ulteriore della vita, a seconda dei casi, revocare, rivedere, rivalutare, i miei atti di volontà.

All’essenza della vita umana appartiene inoltre lo svolgersi costantemente nella forma dell’aspirazione:«(…) e alla fine questa assume la forma dell’aspirazione positiva e che perciò è abbinata al conseguimento dei valori positivi». Questa ‘tendenza’ (Streben), che Husserl sembra riprendere dal pensiero fichtiano, è la tipica teleologia dell’intenzionalità, che alla fine non è altro se non la ragione stessa, nella quale l’autoregolazione del soggetto trova la sua genesi pre-riflessiva e il suo pieno significato come responsabilità personale e sociale. Questa caratteristica dell’uomo, conquistata con la descrizione fenomenologica, a partire dal concetto di ‘inspetctio sui’, può essere ampliata sia in riferimento all’auto-riflessione, il che significa ‘auto-referenzialità’ come struttura formale del soggetto, che all’attività libera come principio personale oltreché alla tendenza come sua dinamica materiale e infine alla razionalità come ‘Telos’ universale; tutte queste caratteristiche coniugandosi costituiscono, secondo Husserl, le competenze etiche del soggetto.

Davanti ad un’etica del piacere, della tendenza materiale, si oppone un’etica della ragione, indipendente da tutte le tendenze materiali; l’uomo può così liberarsi da determinazioni eteronome per poter ‘auto-determinarsi’ al fine di evolversi positivamente. Questa capacità etica la si comprende poi come ‘auto- motivazione’, la quale a sua volta si relaziona con la ragione pratica. Una relazione che costituisce la possibilità di assumere l’imperativo categorico di ‘essere un uomo autentico’, nel senso di compiere il ‘meglio possibile’, di vivere una vita della quale si possa essere sempre auto-responsabili; una vita alla luce della ragione pratica il che significa ‘volere il mio dovere’.

In questa forma possiamo arguire che il primo successo della fenomenologia, nello spostare la riflessione sul modo di darsi dei valori e degli atti della volontà al soggetto della valorizzazione e dell’azione, consiste nel riscatto della persona morale, della sua attitudine etica, nel suo essere ‘buona moralmente’. Rimane però da risolvere la questione dell’etica individuale che deve essere in fondo un’etica sociale e culturale, quale lavoro comune che si costituisce in una forza culturale, che incide alla fine nel particolare stesso. A tal fine è necessario, prima di tutto, riconoscere il significato dell’appartenenza di ciascun uomo a una società, dato che ogni circostanza della sua vita, integrata in una vita comunitaria, ha una sua conseguenza, conseguenza che determina così principalmente il suo comportamento etico, che lo caratterizza formalmente. In effetti il fatto di appartenere ad una società, non solo mi permette di valutare gli altri come facenti parte del mio ‘mondo della vita,’ portatori di un valore particolare riconosciuto socialmente, un valore in sé che nulla ha a che fare con l’utile, un puro interesse etico, ma insieme come valore in riferimento alla società stessa, per questo la mia volontà etica deve essere diretta nel fare il possibile perché si realizzino i beni veri, autentici, in ogni circostanza e nell’intera vita in un effettivo impegno di volontà etica. Conseguentemente dovrebbe essere proprio della mia esistenza non solo lo sforzarmi per essere più buono ma arrivare a desiderare che anche l’altro lo sia per far sì che in modo concorde si possa conformare una società buona.

Questo implica però che nella vita sociale si presentino, come del resto succede, dei conflitti; conflitti che Husserl crede di poter sciogliere tramite un mutuo intendimento etico che permetta soluzioni ‘migliori possibili’; e ciò nel costituirsi, alla luce di un tale intendimento, di un’organizzazione etica della vita attiva, nella quale le persone siano una di fronte all’altra, in continuo rapporto, sino a poter parlare di una ‘comunità della volontà’ che abbia un mutuo comune intendimento volontario. Per giungere alla conformazione di questa comunità dobbiamo sì pensare all’importanza del punto di vista personale, ma evitare una ristrettezza che non permetterebbe di procurare che i valori della società siano un obiettivo comune di coloro che la formano.

In effetti l’appartenere ad una società non solo mi permette di apprezzare l’altro come parte integrante della mia stessa ‘Lebenswelt’ (fornito quindi di un particolare valore), ma anche come, insieme a me, facente parte dello stesso valore sociale libero da ogni utilitarismo, valido quindi come ‘valore in sé’; per questo è importante per me che anche l’altro realizzi la sua vita il più correttamente possibile con un forte impegno di volontà etica.

A questo punto l’intero livello di valore dato dal singolo dipende da quello della comunità e correlativamente la stessa comunità ha un valore che, pure essendo mutevole, ed eventualmente accrescibile in virtù della mutevolezza e dell’accrescimento del valore del singolo, via via accrescendosi dei singoli dotati di valore, abbia: (…) un valore come unità di una comunità di cultura e come ambito di valori fondati che non si risolvono nei singoli valori, ma sono fondati dal lavoro dei singoli, in tutti i valori legati alla loro singolarità e a questi conferiscano un valore più elevato, anzi incomparabilmente più elevato.

La relazione di fondazione è così completa. Il fondato si costituisce a partire dall’atto del quale è fondamento, e la nuova realtà fondata non è semplicemente un risultato addizionale, sommatorio, di una serie di attitudini valori o azioni. La società acquisisce un sentire nuovo ed esplicitamente distinto dal mero integrarsi e conformarsi alla regola. L’importante significato che qui si vuole sottolineare è che la società non è semplicemente un insieme di singoli individui (così come la vita e l’agire comuni non sono un mero collettivo di vite e di azioni individuali), ma ogni singolo essere, ogni singola vita, sono ‘attraversati’ da un’unità di vita. Sebbene questa stessa unità rimanga fondata sulla singola vita, trascendendo il mondo circostante di ognuno di noi, e costituendosi in relazione costante con questo stesso mondo, la società emerge quindi come relazione. Resta pertanto chiaro lo specifico di una società fondata nel modo d’essere di differenti persone, nei loro progetti e nelle loro attitudini; ed anche il modo di essere della comunità, come costituita e fondata a partire dalle persone stesse, influisce a sua volta sul singolo, e ciò caratterizza il senso dell’appartenenza sociale. Si  apre così una relazione biunivoca tra il singolo, eticamente orientato e la comunità stessa, che orientandosi eticamente su se stessa, in quanto comunità etica, si orienta sul singolo che ne è parte integrante. Inoltre è essenziale che tutte queste riflessioni si ‘socializzino’, che producano dei ‘movimenti sociali’ e che motivi e azioni sociali, corrispondenti al compromesso etico degli associati, siano orientati alla conformazione e rinnovamento della società autenticamente etica costituita perché: « (…) una direzione della volontà che è tale in quanto propria della comunità stessa, e non è mera somma delle volontà dei singoli che la fondano».

In questo complesso intreccio relazionale si inserisce così quel rinnovamento etico individuale, insieme a quello culturale, fondantesi sulla persona. In questo modo via via progredisce sia lo sviluppo culturale della società come di chi la compone. Il significato etico della comunità influisce in modo sostanziale nel comportamento dell’individuo, perciò l’eticità di un popolo deve essere preoccupazione della persona se questa nel suo proprio comportamento tiene ad una certa autenticità. Si tratta infatti, come abbiamo visto, di descrivere come una società passi dall’ essere una ‘mera comunità di vita’ per convertirsi in una ‘comunità di persone’, è per tanto necessario che la persona non solo abbia attitudine etica ma che si dia in essa un’idea della necessità di una cultura eticamente costituita. A partire da questa intenzionalità fondazionale della società etica si ha il compito formale di rinnovamento della comunità verso l’idea di un autentica umanità giusta ed equa razionalmente nei diversi ambiti della vita. La scienza sociale come forma culturale deve essere quindi intimamente relazionata con la filosofia quale organo di riflessione proposto al destino etico di una società.

L’atteggiamento da assumere al fine di ottenere questa società e cultura etica passa attraverso la mediazione dell’educazione. La consolidazione di una cultura etica in un popolo porta a confrontare una comunità che si identifichi con l’idea di ragione e con valorizzazioni ad essa corrispondenti. Deve quindi esserci coscienza di scopi comuni, del patrimonio comune da incrementare di una volontà totale della quale tutti si sanno ‘liberi’ funzionari. In una nota al secondo articolo per il ‘The Kaizo’ Husserl scrive: «Vi è un legame universale di volontà che producono l’unità della volontà, senza che vi sia un’organizzazione imperialista» ed in nota alla pagina aggiunge: « (…) Qui potremmo parlare anche di una unità comunista della volontà in opposizione ad una imperialista» Più avanti egli chiarirà l’uso di questi termini, che sono in verità estranei alla terminologia husserliana, riferendosi all’autorità del filosofo all’interno della cultura antica. Se la comunità filosofica era per così dire comunista ciò non significa che l’idea di comunista fosse maneggiata per una particolare volontà sociale inglobante, ma bensì allora si intendeva la comunità corrispondente dei sacerdoti o dei filosofi dominati da una volontà unitaria.

Ricapitolando

Alla fine la proposta di Husserl sembra essere per tanto una società fondata e guidata, per l’idea di filosofia e per il senso delle teleologia e dell’etica, dalla responsabilità. In questo tipo di società non solo si protegge la libertà della persona, ma la si arricchisce grazie al carattere etico della società stessa nella quale si promuovono i valori di una cultura ogni volta più umana. Questo è il significato pieno della cultura filosofica di una comunità in continuo progresso dove si sviluppa uno spirito etico comune che dà vigore all’idea etica di comunità e al carattere di un’idea teleologica di comunitaria. Questa forma di argomentazione si orienta dunque a mostrare come il patto etico del soggetto, fondato sulla autoriflessione, è proprietà intrinseca dell’intenzionalità quale responsabilità, capacità di autonomia e di autodeterminazione per ‘un imperativo categorico’ del ragionante. Per Husserl non sembra possibile separare autoresponsabilità e responsabilità storica e culturale, per ciò la possibilità del singolo di essere responsabile dei fini dell’umanità schiude l’orizzonte del singolo direttamente verso un compito storico in relazione con la cultura del ‘suo proprio popolo’ che è in personale relazione con l’altro. Questo aspetto della riflessione si accentua molto chiaramente in un testo del 1924, dove il fenomenologo lo ripete e lo chiarisce, così scrive:

Io posso assumere e ricercare un destino sociale e lo posso compiere in diversi modi, per questo destino io sono responsabile. Come la comunità, da un lato, non è una mera ‘serie’ di individui che si raggruppano insieme, ma al contrario una unificazione di questi individui per opera dell’intenzionalità interpersonale, un’unità fondata grazie alla vita, all’azione sociale, di uno nei confronti dell’altro, così come anche di uno contro l’altro, allo stesso modo l’autoresponsabilità, la volontà di autoresponsabilità, la riflessione razionale del senso e delle vie possibili di questa autoresponsabilità, per una comunità, non è una mera somma di varie autoresponsabilità (…), ma al contrario di nuovo una unificazione che tiene uniti intenzionalmente, una con l’altra, l’autoresponsabilità individuale e fonda tra queste un’unità interna[

La citazione appartiene al testo che tanto impressionerà Habermas nel momento di proporre la trasformazione del suo iniziale modello filosofico; ovvero dalla filosofia della coscienza alla teoria dell’azione comunicativa, a partire dall’analisi del ‘mondo della vita’ e dell’intersoggettività in Husserl. Husserl – scrive Habermas – conclude la sua riflessione guardando alla vita intenzionale come in continua universale relazione con la verità, (…) verso l’esigenza pregevole di una autoresponsabilità assoluta dell’umanità socializzata; Husserl non dubita nel designare questa problematica come etica e propone uno sviluppo razionale di questa tematica.

Di fatto la stessa intenzionalità, intesa come tendenza verso la ragione e verso la verità, che si dà nella sua ‘struttura teleologica universale’, è la stessa ragione pratica. Rimane però aperta la domanda di come si dia nella soggettività il fenomeno stesso dell’intersoggettività, a partire dal quale appunto si apre e si costituisce originariamente la ‘regione’ dell’etico, come Husserl scrive sempre nel 1924: La domanda è – parlando idealmente- come può una pluralità di persone (…) in una possibile relazione di comprensione, oppure attraverso relazioni personali, uniti tra loro in collettività, realizzarsi in una vita di assoluta responsabilità e condurre tale vita comunitaria, fatta di una comunità di volontà, dirigendosi verso questa responsabilità; (…) una tale premessa ci conduce verso la necessità di ricercare l’origine di questa idea, ovvero di un’idea di scienza critica ed ideale che si origini in ogni persona insieme al compito di conformarsi all’idea teleologica di comunità

 

J. Russ, L’etica contemporanea, Il Mulino, Bologna 1997, p.99

I. Kant, Prefazione alla Fondazione della metafisica dei costumi (1785), Laterza, Bari, 1993

J. Habermas, Etica del discorso, Laterza, Roma 2004,

J. Rawls, La giustizia come equità. Saggi (1951-1969), Liguori, Napoli 1995,

H. Jonas, La filosofia alle soglie del Duemila. Una diagnosi e una prognosi, Il Nuovo Melangolo, Bologna 1994

E. Husserl, An den Praesidenten der Internationalen Philosophen-Kongresses in Aufsaetz und Vortraege (1922-1937), Kluwer Acad. Publ., Dordrecht 1989, Hua XXVII, p.240

E. Husserl, Die Krisis der Europaeischen Wissenschaftten und die traszendentale Phaenomenologischen Reduktion, M. Nijhoff, Den Haag 1959, Hua VI, p.100.

E. Husserl, Einleitung in die Ethik. Vorlesungen Sommersemester 1920 und 1924. Kluwer Acad. Publ., Dordrecht 2004, Hua XXXVII

E. Husserl, Vorlesungen ueber Ethik und Wertlehre. (1908-1914), Kluwer Acad. Publ., Den Haag 1988 Hua XXVIII, p.29

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U. Melle, Einleitug des Herausgeber, in Hua XXVIII, op.cit., p. XX

E. Husserl, ‘ Phaenomenologische Aufklaerung del Doppelseitigkeit der Formalen Logik als Formalen Apophantik und Formaler Ontologie’ in Formale und Transzendentale Logik, M. Nijhoff, Den Haag, 1974, Hua XVII, op. cit., p.100 e sgg.

M. Scheler, Il Formalismo nell‘etica e l‘etica materiale dei valori, Fratelli Bocca, Milano, 1944

. A. Bianchi, Etica husserliana, FrancoAngeli, Milano 1999

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Habermas, Vorstudien und Ergaenzungen zur Theorie des kommunikatives Handelns. Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1984, p.44

 

Misura e limite: sull’utile e sull’inutile, una riflessione con Bert Hellinger

Misura e limite: sull’utile e sull’inutile, una riflessione con Bert Hellinger

INUTILE

Tutto ciò che non porta grandi benefici

Tutto quello che ha poco senso

Tutte le grandi aspettative senza risultato

Tutto ciò che è fatto con troppa ‘pompamagna’

Sogni senza azione

Tutto ciò che non voglio ammettere

Tutto ciò che è troppo rapido, improvviso

Volare troppo lato

Essere auto- referenziali

Preoccuparsi troppo

UTILE

Tutto quello che è al servizio della vita

Azioni per superare le resistenze finché l’obiettivo non viene raggiunto

Azioni che ad una prospettiva a lungo termine sono di aiuto alla vita di molti

Le cose giuste che sono essenziali e hanno il respiro lungo

Ringraziare è utile  e porta al successo

Utile è attendere un risultato con pazienza e costanza

Utile è avere basi solide, i piedi per terra

Guardare alle proprie riserve con lo sguardo lucido e con fiducia

Puntare il piede sul passo successivo

Puntare lo sguardo su di una meta visibile e realizzabile

Utile l’amore per il dettaglio, la precisone, è sempre utile

UTILE E’ PASSO DOPO PASSO

Riflessione sulla vita di Bert Hellinger

Riflessioni SULLA VITA di Bert Hellinger “La vita non è solo una maestra severa…”

Questa riflessione sulla vita di Bert Hellinger ci apre ad una visione diversa della vita: somiglia ad un invito a diventare genitore di noi stessi, a credere in noi e nelle nostre capacità, ad avere uno sguardo benevolo e compassionevole sulle nostre cadute e difficoltà, ad accettare la nostra vulnerabilità e accompagnarci nella vita senza per questo risparmiarci le difficoltà che ci ritroveremo ad affrontare. Spogliarci dalle certezze ci espone al mondo, ci forza ad uscire dal nostro guscio di sicurezza che troppo spesso si trasforma in prigione, precludendoci ad un autentico processo di fioritura personale.

“La vita ti disillude perché tu smetta di vivere di illusioni e veda la realtà.

La vita ti distrugge tutto ciò che è superfluo, fino a che rimanga solo ciò che è importante.

La vita non ti lascia in pace affinché tu smetta di combatterla e accetti ciò che è.

La vita ti toglie ciò che hai, fino a che non smetti di lamentarti e inizi a ringraziare.

La vita ti manda persone conflittuali affinché tu guarisca e smetta di proiettare fuori ciò che hai dentro.

La vita lascia che tu cada una e un’altra volta fino a che ti decidi ad imparare la lezione.

La vita ti porta fuori strada e ti presenta incroci fino a che non smetti di voler controllare e fluisci come un fiume.

La vita ti pone nemici sul cammino fino a che non smetti di “reagire”.

La vita ti spaventa tutte le volte necessarie a perdere la paura e a riacquistare la fede.

La vita ti toglie il vero amore, non te lo concede né te lo permette, fino a che non smetti di volerlo comprare con fronzoli

La vita ti allontana dalle persone che ami fino a che non comprendi che non siamo questo corpo ma l’anima che lo contiene.

La vita ride di te molte volte, fino a che non smetti di prenderti tanto sul serio e impari a ridere di te stesso. La vita ti frantuma in tanti pezzi quanti sono necessari affinché da lì penetri la luce.

La vita ti ripete lo stesso messaggio con schiaffi e urla finché non ascolti. La vita ti invia fulmini e tempeste affinché tu possa svegliarti. La vita ti umilia e ti sconfigge fino a che non decidi di far morire il tuo Ego.

La vita ti nega i beni e la grandezza fino a che non smetti di volere beni e grandezza e inizi a servire.

La vita ti taglia le ali e ti pota le radici, fino a che non avrai più bisogno né di ali né di radici, ma solo di sparire nella forma e volare dall’essere che sei.

La vita ti nega i miracoli fino a che non comprendi che tutto è un miracolo.

La vita ti accorcia il tempo affinché tu impari a vivere.

La vita ti ridicolizza fino a diventare nulla, fino a diventare nessuno, così diventi tutto.

La vita non ti da ciò che vuoi, ma ciò di cui hai bisogno per evolvere. La vita ti fa male, ti ferisce, ti tormenta, fino a quando non lasci andare i tuoi capricci e godi del respirare. La vita ti nasconde tesori fino a che non inizi il tuo viaggio e non esci a cercarli. La vita ti nega Dio, fino a che non lo vedi in tutti e in tutto. La vita ti chiede, ti toglie, ti taglia, ti spezza, ti delude, ti rompe … fino a che in te rimanga solo AMORE”

Continenza affettiva: riflessioni su vari tipi di rabbia

Leggere i testi inerenti all’importante lavoro terapeutico di Anton Bert #Hellinger, uno tra i più grandi terapeuti europei, morto pochi anni fa, ci fa scoprire sempre importanti intuizioni; osservazioni #fenomenologiche, non critiche né giudicanti, figlie di infiniti fili teoretici tessuti con la profonda conoscenza dell’animo umano e di molto del sapere psicoumanistico del ventesimo secolo. Spesso Bert durante i suoi corsi ci diceva con umiltà: “ … io ho osservato questo…: e di solito funziona così..”. Nessuna imposizione teoretica, ma di fronte a questa affermazione, che potrebbe sembrare naif, si manifesta al contrario una fonte di grande capacità intuitiva e osservativa alla luce di un metodo di lavoro filosofico importante come quello fenomenologico, ovvero un’osservazione attenta, una descrizione chiara, una ricerca teoretica della verità non giudicante e molto complessa che, nel caso di Bert Hellinger si rifà al pensiero di Martin Heidegger (…).

Quanto sopra lo rivedo nella descrizione dei vari tipi di #rabbia che le persone manifestano e vivono, spesso non consapevoli, della vera natura e forza di questa #emozione fondamentale. Hellinger nel suo testo Ordini dell’amore. Un manuale per la riuscita delle relazioni (6°.ed. 2021) ci indica sei tipi di rabbia. Esiste una rabbia relativa a i fatti concreti, una rabbia adeguata che mi permette di agire appropriatamente ad un sopruso reale, una rabbia che svanisce non appena ha raggiunto il suo scopo. Secondo tipo; una rabbia cattiva come sostituto dell’azione, laddove mi accorgo di non aver ricevuto o meglio preso ciò che avrei potuto o dovuto prendere. Spesso usiamo questa rabbia ai danni degli altri e non vogliamo ammettere la verità a noi stessi, ci difendiamo arrabbiandoci, questa ci paralizza, dura a lungo ci indebolisce. Dare e prendere sono un dedicato meccanismo che coinvolge tutte le relazioni umane, capita che ci venga dato talmente tanto che non possiamo ricambiare, per esempio i genitori che ci danno al vita, una forza, un debito tale che non potremmo mai davvero ricambiare, un potere che sopportiamo difficilmente, cosi spesso ci difendiamo da loro, da questo enorme dono, arrabbiandoci, rimproveriamo i genitori ( e a volte  i nostro figli). La rabbia diventa sostituto del saper prendere con amore e ringraziare di un così grande dono, riproverò e depressione, due facce della stessa medaglia.  Poi abbiamo una rabbia verso le persone alle quali abbiamo causato un grave danno, lo sappiamo ma non lo vogliamo ammettere, anche questa rabbia paralizza, rende deboli, inutile e dannosa. Quinta, una rabbia non nostra, quella che assumiamo al posto di altri, una sorta di traslazione nevrotica della rabbia altrui su di un altro soggetto. Se un sistema famigliare si adira e reprime questa rabbia, il membro più debole assume su di sé questa deleteria emozione, spesso il più debole è un bambino, la madre che si arrabbia con il padre ma reprime questo sentimento porta il figlio ad arrabbiarsi per lei, il più debole se ne carica, la prova e la patisce, ne subisce le conseguenze, una rabbia acquisita che crea aggressori fuori di senno che creano #vittime, capri espiatori, questo non li rende forti ma deboli, impotenti e inutili. Ed infine arriva una rabbia che è destrezza e #virtù, difficile da immaginare ma scrive Hellinger : ‘’(…) una capacità di farsi valere, sveglia, raccolta e diretta verso ciò che cambia le cose” (Vd. cit, pg.175, Ordini dell’amore), priva di emozioni secondarie, che reca danno solo se davvero necessario, un’energia pura frutto di continua disciplina ed esercizio. Chi conosce questo tipo di rabbia la possiede come una forza in modo naturale e la esercita solo se necessario senza frivolezze ma tagliente e diretta, come una lama, nell’ equilibrio sistemico che soggiace alle differenti coscienze, questa rabbia si chiama a volte coraggio e sapere strategico, #Ulisse la conosceva bene!

Strumenti da adottare per essere vincenti

Breve decalogo per essere vincenti: focus su #compromesso #collaborazione #versatilità

Provare ad applicare le regole sotto indicate cambia ogni relazione, soprattutto quelle lavorative...provare per credere

  • Parlare troppo con il ns interlocutore non risolve nulla, così non lo incontriamo ma vuotiamo un contenitore emozionale
  • Attenzione vigile rivolta all’esterno
  • Fermiamoci
  • Piccole domande gentili per indagare
  • Consapevolezza della situazione reale
  • Con calma lasciamo emergere il tema reale e la persona
  • Fare pause equilibrate
  • No a troppe definizioni creano confusione e indeboliscono
  • Non rispondete subito
  • Ascoltate bene