Fenomenologia in Bert Hellinger. La ‘magia’ dell’ascolto

                                                                                                                              “Tutto inizia individuando una prospettiva”1. Bert Hellinger

ABBASTANZA

Abbastanza: pagina 413 del testo di Bert Hellinger L’amore dello spirito, leggiamo: Comprendiamo veramente solo ciò che sperimentiamo in prima persona …. E ci rendiamo subito conto, tramite le nostre sensazione se una cosa può funzionare….di conseguenza in questo libro non ho spiegato e mostrato tutto delle costellazioni famigliari spirituali, ma coloro che hanno seguito interiormente, soprattutto aprendosi a tutto così com’è, hanno appreso abbastanza per sperimentare…assecondando i movimenti dello spirito così come sono.

Di questa parte velata che si apre poco a poco in Hellinger, ci si rende conto nel tempo, nulla è a caso, tutto è sostenuto dalla ricerca, dal metodo, dallo studio e nulla che non sia con lo spirito e nella fiducia dei suoi movimenti 2 . Questa riflessione, che vorrei condividere, nasce proprio dal mio interrogarmi su una sorta di ‘mescolanza’ o unificazione di filosofia e metodo e sui possibili risvolti del suo pensiero più maturo, insieme all’uso di espressioni complesse che si svelano e dipanano anch’esse strato per strato3, un’intricata matassa; lo stesso Bert ci dice apertamente di aver proceduto nel suo percorso seguendo una delle leggi fenomenologiche più interessanti, ovvero orientarsi solo su ciò si mostra nei limiti in cui si mostra, e di aver scritto parte dei suoi testi dopo lunghe meditazioni, quasi arrivassero da un’altra dimensione,4 nota a molti altri grandi ricercatori e sperimentatori (si pensi a Jung) che è quella di essere un ‘canale’, con apertura di cuore, completa libertà di mente, connesso alla parte più profonda della coscienza, parte dei suoi scritti sono di fatto sistemi da scoprire lentamente, sentieri, itinerari; un pensiero costantemente “in cammino” di heideggheriana memoria.

Se è ascoltandolo, guardando, restando dentro i movimenti dell’ampio e irraggiungibile ‘campo’ energetico guidato da Hellinger, con sapienza, che ho/abbiamo appreso ‘il mestiere’ , dove sembrerebbe che le basi teoretiche definite, siano dedotte da osservazione, addirittura senza obiettivi, presto ci accorgeremo che non basta, prima di tutto abbiamo una definizione del metodo teoretico che Bert chiama fenomenologico, ovvero si presuppone che la realtà si mostri se la si lascia agire su di sé, questo tramite un atteggiamento aperto e disinteressato; traspare cosi una ‘verita’ inaspettata, un movimento valido nel qui ed ora dell’azione terapeutica.

Anche il linguaggio di Bert, che sembra diventare più criptico nel tempo, richiede una sorta di ‘abbandono’; dipanato o meno, agisce su di me/noi immediatamente, risuona senza indagarlo, l’invito è di lasciamolo ‘semplicemente’ agire. Proviamo quindi, facciamo esperienza, sbagliamo, se accade va bene…., e poi capiremo se sia o meno un guadagno (alla luce del fatto che non esiste mai nulla di sbagliato né di giuso quando siamo guidati dallo spirito) consapevoli che penetrare un linguaggio con un altro linguaggio sarà sempre parziale, frammentato a vote singolare. Questo è un ‘gioco’5 che invita a confrontarsi con possibilità che esulano dai normali standard filosofici, logici e linguistici.

1 Bert Hellinger, Il lungo cammino, 2005, pg. 77

2 Bert Hellinger più volte dichiara: “ durante la rappresentazione i rappresentanti percepiscono realmente ciò che avviene in quella famiglia. E questo mi basta per il mio lavoro” in Amore dello spirito, 2008, pg.426

3 Bert Hellinger, Mistica naturale, 2008

4 Bert Hellinger, La mia vita le mie opere, 2018, pg. 110 e ssg. Anche in, Il lungo cammino, pg. 139 e sgg.

 

Possibilità che mettono a prova le nostre abilità di pensiero di ascolto e accoglienza del nuovo che si manifesta. Cosa dobbiamo abbandonare? La presunzione di trovare una soluzione, la soluzione non è importante, importante è il movimento necessario per andare verso la risoluzione, il movimento si innesca e lo spirito conduce. Una sorta di ripristino autonomo del campo del cliente, dove l’intero sistema è coinvolto; diamo il via al processo e questo si compirà da se nel modo migliore possibile per quel contesto, la fiducia nello spirito è totale- La forze del costellatore sta nel saper innescare il processo e poi ritirarsi nella fiducia Un atteggiamento filosofico per eccellenza che nasce da quel concetto di ‘Gelasseheit’ che traduciamo appunto con ‘abbandono’ nel senso di uno stare aperti, senza attese, detto altrimenti ‘lasciamo essere l’essere che si possa manifestare tramite l’esser-ci nella sua essenza, ovvero il corpo della persona, quel esser-ci che fa la differenza ontologica dell’intero processo. Accade così un vero cambio antropologico, la persona che non si avvalora necessariamente nel fare ma nella forza dell’ascolto guidato dall’attenzione aperta all’essere, allo spirito, cosa lo rende possibile? L’atteggiamento fenomenologico, il restare al margine in modalità aperta, riconoscendo l’essenza è tutto cio che ci viene richiesto, riconoscendo l’essenza, come scrive Hellinger, so cosa devo fare, e questo è abbastanza.

Nel tedesco corrente “Gelassenheit significa anche serenità, tranquillità. Si tratta pero di un termine ricco di una grande pregnanza storica in quanto costituisce un vocabolo chiave nella tradizione mistica, sia cattolica che protestante, e riveste un ruolo essenziale in Meister Eckart 6. La “Gelassenheit” mistica indica in generale il “sich lassen”, l’abbandonarsi a Dio attraverso l’annullamento delle passioni e dei desideri. Nell’uso che ne fa Heidegger, il termine e ricondotto alla sua radice, il verbo “lassen”, situato in opposizione semantica al “wollen”, il volere; in una antitesi precisa al nietzschiano “Wille zur Macht”, volontà di potenza. Da una parte infatti il volere e l’attitudine centrale della soggettività rappresentativa dominante nell’età moderna, mentre il “lassen” indica un rapporto con le cose che conduce all’incontro con libertà, ovvero significa lasciar-essere l’ente; lasciarsi coinvolgere da esso, esporsi a questo incontro ed arrischiarsi7. L’esistenza è quindi il modo d’essere dell’umano, grazie alla sua fondazione nella libertà. Questa esperienza può essere ben qualificata come “diretta” e “passiva”, questi due elementi sono simultaneamente presenti e complementari; come comunicare tutto ciò attraverso il lavoro costellativo?

Bert Hellinger scrive, come abbiamo visto, ogni suo testo come un cammino su molteplici piani, con significati celati e rivelati insieme; tutti libri esperienziali, dopo averli letti li devi vivere se vuoi davvero fare il salto nella dimensione più vicina alla ‘autenticità de metodo costellativo, cosi come alcuni testi filosofici vanno compresi vivendone il contenuto; anche i testi più filosofici di Bert, ci propongono esperienze, abbandonarsi a queste esperienze di ascolto e pratica insieme, restare ‘accesi’, presenti, liberi, è una delle conquiste dell’essere in sintonia con Hellinger e il suo pensiero.

5 Per Eraclito, il gioco è una metafora attraverso cui rendere evidente l’assenza di un telos, ovvero di un fine ultimo verso cui tutte le cose tendono, e dunque il carattere contingente della realtà, o come diranno filosofi del 900 vicini a Hellinger nel gioco si riscontra la caratteristica di atemporalità, assenza di finalità esterna, distanza, riconciliazione con la vita.

6 Il maestro domenicano, Eckart, insegna che l’anima e Dio sono una cosa sola. Questa paradossale verità la comprende però solt anto l’uomo interiore, ovvero l’uomo completamente distaccato, che ha evangelicamente rinunciato a sé stesso e ha così scoperto l’ essenza dell’anima, il suo “fondo”, ove essa diventa spirito, così come Dio è spirito. Si apre allora per lui, “uomo nobile”, già qui nel tempo la luce abbagliante dell’eternità, e già qui nel molteplice la dimensione beatificante dell’Uno, in Meister Eckart, L’anima e Dio son o una cosa sola, 2020

7 La domanda principale che Martin Heidegger si pone è che cos’è dunque l’essere, diverso dall’esser-ci che è la persona. in Martin Heidegger, Essere e tempo, 1998

 

NUOVE VISIONI

Ricordo che quando Bert lavorava era tutto così intenso che non potevi staccare e gli appunti erano, alla fine delle giornate, briciole residue per soddisfare la paura di non poter raccogliere tutto; artifici della mente nella consapevolezza che ciò che si manifestava, ciò che accadeva, (parafrasando Hellinger nella sua intervista con Gabriele Ten Hoeven),8 il modo di procede delle costellazioni famigliari, nei suoi vari sviluppi, era metodologicamente nuovo e soprattutto apriva una nuova visone del mondo; una visione che mette in ombra molte delle supposizioni fondamentali della scienza e della psicologia contemporanea.

Se esiste un metodo lo si può quindi imparare e investigare; è il metodo della percezione fenomenologica dell’essere ciò che Husserl, padre della fenomenologia, definì come intuizione filosofica, ovvero l’esercizio del superamento della scienza verso un’evidenza di ciò che si manifesta intuitivamente, in quanto svelamento della ‘vera essenza delle cose’. Ma è con il pensiero di Heidegger (che accompagna Bert sin dai suoi studi di teologia e filosofia), che appare l’essere immersi nell’essere che ci circonda e, come dirà Hellinger, ci prende al suo servizio, e si manifesta attraverso di noi, siamo quindi suoi strumenti? Canali di un messaggio che ci raggiunge e si manifesta tramite noi. L’atteggiamento fenomenologico non considera la verità un ‘oggetto’ ma un movimento, e noi tutti passiamo da sentirci detentori della ‘verità’ (come direbbe la scienza), a strumento di una forza della quale non possiamo disporre ma della quale siamo a disposizione, uno meraviglioso strumento. Qual è la sfida? Riconoscere in Hellinger la costruzione di un diverso paradigma ‘terapeutico’ e di vita, un vero cambio antropologico che investe tutti noi. Passare dal plus valore del fare come atto di volontà, dal giudizio, all’essere inteso quale fiducia nell’ascolto, nel mostrarsi della realtà scoprendone le infinite prospettive delle quali tutti noi facciamo parte.

IL FILOSOFO

Teologo, pedagogista, studioso, conoscitore in prima persona di molte scuole terapeutiche e di terapeuti famosi che hanno influenzato i canoni del suo lavoro, il filosofo, Anton/Bert Hellinger si ispira, al pensiero di Heidegger, Aristotele, del teologo Meister Eckhart, alla psicologia del profondo, leggendo con cura a attenzione i suoi scritti possiamo individuarne i temi e i termini. Ritornando a Heidegger e premesso che in questo contesto non è possibile parlare esaustivamente, ci basti per ora sapere che è stato tra i grandi filosofi tedeschi del ‘900, teologo prima, filosofo poi, incontrando il padre della fenomenologia Edmund Husserl, si apre alla ricerca fenomenologica, in “Essere e Tempo” 9, opera molto complessa che riecheggia spesso negli scritti di Bert, troviamo due affermazioni di Heidegger: più in alto della realtà effettuale (Wirklichkeit) sta la possibilità. La comprensione della fenomenologia sta nel concepire la realtà come possibilità. Quindi il metodo fenomenologico così inteso non si arena sulla realtà effettuale ma è nella pratica dell’astensione al giudizio (attraverso l’epochè), che consente di cogliere l’essenza dei fenomeni.

Questo cosa vuol dire? Che questa pratica non coincide con l’introspezione (basata su una ingenua separazione fra io e mondo), ma è un modo di re-imparare a vedere il mondo, una ritrovata capacità di provare stupore di fronte al mondo: non giudichiamo, restiamo al bordo dello spazio di manifestazione dei fenomeni, lasciando di fatto spazio ad un altro tipo di manifestazione dell’essere che diventa così ‘reale’ come precipitato ultimo nell’esser-ci (come direbbe Heidegger), ovvero l’individuo; tradotto: i clienti, gli individui, che abbiamo davanti a noi durante una costellazione, lasciati liberi da giudizi interpretativi e da vizi teoretici, divengono la manifestazione ultima e reale (il precipitato ultimo) di tutto il loro bagaglio generazionale che si manifesta nel qui ed ora durante il lavoro costellativo.

8 Bert Hellinger, Il lungo cammino, 2005, pg,123 e sgg

9 Martin Heidegger, Essere e tempo, 1998

 

È necessario, al fine di cogliere il cuore della questione, intraprendere un’altra deviazione che metta in chiaro come Heidegger/Hellinger usino ancora diversamente l’espressione “fenomenologia”; dobbiamo andare alla matrice concettuale del termine di origine greca, φαινομενολογία (logos del phenomene) ‘’fenomenologia” ovvero “portare qualcosa alla luce del giorno” ossia “alla luce, alla chiarezza”, detto altrimenti: il manifestarsi del fenomeno cosi come è, come appare (das sich – an -ihm-selbst -zeigende), ciò che può essere visto e percepito sulla scorta del suo apparire a noi; sicché l’espressione: fenomenologico diventa anche un modo d’essere ed insieme un punto d’incontro, dove ciò che appare è colto da noi. L’esistenza a questo punto, quella che cogliamo, per essere davvero colta in profondità, va osservata con sguardo limpido al fine del suo manifestarsi, in maniera imparziale (come in costellazione) con le strutture dell’esistenza stessa, così come esse si manifestano, senza alterazioni o aggiunte, senza inclinazioni e vizzi terapeutici, emozionali eccessivi, chiare in presenza. Perché questo accada deve cambiare il nostro atteggiamento naturale, come sempre ci istruisce Bert. Come arrivarci? Nell’introduzione del testo ‘Viaggio interiore’ Hellinger scrive che il viaggio interiore è sinonimo di meditazione e il termine meditazione descrive la meta di questo viaggio, guardare in raccoglimento qualche cosa di nascosto che ci attrae anche se continua a restare invisibile E lì che conduce il nostro viaggio. Nelle parole possiamo cogliere la suggestione del pensiero di Aristotele; ‘’lo svelamento del nascosto”10, inteso come possibilità nell’esser condotto da una coscienza spirituale, dell’essere pensato, dell’essere pensiero di pensiero, ovvero da quella realtà che pensa sé stessa. Tutto ciò che è stato creato, scrive Bert (tutti noi che siamo pensati in un adesso eterno) è stato creato da qualche cosa di eterno prima ancora di esistere11. Parole che descrivo immagini che si sottraggono alla nostra conoscenza, cosa interessa dunque? L’inizio di qualsiasi movimento.

INIZIO

Come possiamo avere un’intuizione chiara dell’inizio? Questione complessa, squisitamente metafisica. Aristotele aiuta, lo chiama primo motore (primum movens), e lo indentifica con un essere (non un ente, niente corpo) necessariamente esistente che si identifica con il bene, un atto che pensando mette già in tutto in movimento (esistere, vivere, esserci, sono tutti termini legati al movimento che è la vita) anche ciò che ancora ‘non esiste’, come Hellinger scrive da pg. 138 nel suo Il lungo cammino, noi siamo pensati costantemente, con questa visione del mondo è difficile mantenere le tradizionali distinzioni, tutte le categorie, compreso il giudizio buoni e cattivi, non avrebbero più senso naturalmente; in questo movimento tutti ci muoviamo in un eterno adesso, sempre legato al tempo (vita e morte) ed eterni insieme (e tutti servono al tutto nelle modalità che gli compete). In ‘Verso nuovi spazi’, scritto breve ma complesso che ci introduce alle costellazioni mediali. Bert ci dice che il nostro spirito muovendosi in spazi diversi dal nostro Io, ci porta con se in una vastità dove tutto esiste contemporaneamente e lo fa se ci apriamo ad esso, con fiducia, senza attese, semplicemente restando concentrati ed aperti; se come Heidegger ci ricorda l’uomo è costantemente immerso nelle temporalità, inchiodato ad un presente costante, inteso come unica realtà possibile, questo inizio senza inizio, questo ‘viaggio dello spirito’ (il possibile) diventa la vita nel suo eterno fluire (il reale), la vita che passa in ogni umano, che scorre di generazione in generazione, quella forza universale che Aristotele definisce come Anima.

IN CAMMINO

Cosa possiamo imparare con Bert da tutto questo? Cosa ci chiede? Di porre un’attenzione costante al momento presente, nel quale si incontrano gli influssi del passato e le tensioni verso il futuro; slegati dal costante blocco nella tensione verso, nel voler sempre dare un nome alle cose le blocchiamo alla loro definizione presente, ne blocchiamo lo sviluppo. Siamo in un ‘continuum consapevole’ che ci tiene in contato con nostro ‘Da-sein’, l’esser qui ed ora. L’esperienza diventa così un flusso continuo;

10 Aristotele, Metafisica, Libro XII,7.1072, 1984

11 Bert Hellinger, Verso nuovi spazi,2013, pg 14

 

se restiamo nell’attenzione sostenendo il processo di consapevolezza, se operiamo consapevoli, intenzionalmente, agiamo sul campo e siamo nel campo sempre, in cammino e insieme sempre limitati. Di quale campo stiamo parlando? Di quello che Bert chiama campo spirituale12; e l’esempio del ‘nuovo’ campo spirituale per eccellenza, che permette nuove prospettive, che superano i limiti imposti dai vari campi spirituali ed è costituito proprio dalle costellazioni mediali e spirituali, un campo piu ampio. Solo cosi, immettendo nuove prospettive spirituali, possiamo cambiare i campi spirituali forti e creare nuovi spazi.13

ASCOLTO

Ma all’ascolto di cosa? E perché è un cambio di prospettiva così importante? un vero cambio culturale. In ‘mistica naturale’, Hellinger, la parola ‘naturale’ è associata alla parola mistica, questo la libera dal contesto religioso al quale di solito si lega, una mistica umana ed accessibile, appunto naturale, perché è nella natura dell’umano. Un luogo di comunione nel quale procede insieme, su un prezioso cammino. Bert di fatto ci conduce attraverso tappe importanti verso una nuova consapevolezza che ci apre ad uno spazio di raccoglimento e ascolto in un ‘ritorno alle cose’ vorrei dire alle ‘cose stesse’, alla loro essenza, in questa modalità non giudicante che fa sorge l’intuizione non più ad appannaggio di pochi, ma di chiunque si ponga nell’ascolto, con fiducia.14 Umili restiamo fermi, ascoltiamo, attenti a ciò che l’ispirazione ci manda e ci fidiamo che quel messaggio sia ‘il messaggio’ giusto per quel momento, passiamo quindi dal fare allo stare, attendere e ascoltare, passiamo dal potere all’abbandono di velleità di essere noi a fare la differenza con le nostre azioni, passaggio complesso per la nostra cultura occidentale che guarda all’ascolto come inattività e non come la più alta forma di ‘attività’, ma che ascolto dobbiamo operare? Su che sentieri ci conduce? ci conduce su sentieri di contemplazione. Quando Bert ci invita a seguirlo in questo cammino verso il nostro essere più profondo, ci indica (come per ogni cammino) delle tappe; prima tappa riguarda la percezione immediata del nostro pensare ed agire, segue la conoscenza spirituale nel quotidiano, poi l’incontro con le nostre paure profonde, e l’invito a porci in basso, il più basso possibile, in pratica ci indica la via per scendere dal nostro ego ed geocentrismo verso una nuova liberta; certo l’ ego si ribella ad una pratica che ci definisce addirittura ‘pensiero di pensiero’, siamo abituati che il fare, il volere, l’azione continua sono espressioni dell’individualità senziente, tutto questo si trasforma in ascolto fiducioso, apertura verso una dimensione data da una continuità consapevole, che rimane in contatto con il nostro esser-ci, il nostre essere qui umano. Di fatto l’esperienza per Heidegger come per Bert è un flusso continuo che possiamo focalizzare nell’attenzione del nostro processo di consapevolezza declinando la nostra intenzionalità, ovvero l’orientamento attentivo, questo atteggiamento è apertura del campo, che permette l’integrazione per esempio di qualunque conflitto, dove è il sentire, l’attesa vigile e presente, ad agire, una pillola quantica importante. Ma come si accede al ‘campo’? come possiamo immaginare il campo? Come un ponte che unisce tutte le ‘cose’ (die Sache) qualunque ne sia la natura materiale o immateriale, interna o esterna, volendo troviamo qui il linguaggio filosofico, velato ma presente, delle teorie sub-atomiche, in Mistica naturale, dove l’atto di osservare qualcosa è un atto creativo, diventa realtà la possibilità che viene osservata, il nostro sguardo mette in luce qualche cosa che era già li, nel buio

  • Idem, 43
  • Rupert Sheldrake, biologo e saggista britannico, nei suoi scritti: A New Science of Life (1981) e The Presence of the Past (1988), elabora la teoria dei campi morfogenetici. Sheldrake individua la presenza di una forza invisibile presente nel sistema ma non identificata con uno dei suoi componenti, bensì col sistema stesso. Inoltre questo “campo morfico”, responsabile dell’organizzazione, della struttura e della forma del sistema, avrebbe una sua memoria, determinata, questa si, dal contributo di ciascun membro. Ricordiamo che Scheldrake conobbe Bert, e tenne una conferenza importantissima sul tema in un Camp, la moglie di Sheldrake è diventata a sua volta una costellatrice
  • Fare esperienza del linguaggio non significa sovraintendere ad un’attività, ma implica un atteggiamento passivo, di ascolto, poiché il linguaggio non deve essere pensato dalla prospettiva dell’uomo, ma è il linguaggio stesso a fare dono di sé. Cfr. Martin Heidegger, In cammino verso il linguaggio, 2015

 

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Durante le sessioni di lavoro Bert non permetteva di chiudere gli occhi, di deviare, ‘guarda ….’, guarda avanti, guarda oltre. Quello sguardo era ed è la porta che permette, sintonizzandosi sulla nostra percezione sensibile, l’aprirsi ad una visione che non ci permette più di distogliere gli occhi, né il cuore, dall’essenziale, ecco il cambio antropologico sostenuto nello spazio fenomenologico, che Bert mette in scena, rende visibile, all’esser umano (o meglio riscoprire) la meravigliosa possibilità di connettersi con quell’immateriale che chiamiamo ‘spirito’. Opportunità che come ci racconta nel suo Viaggio interiore, vista da fuori potrebbe sembrare impossibile ed invece non è così. Chi ha fatto almeno un Camp con Bert e Sophie Hellinger capisce/intuisce che questo stato di presenza costante, ampia la percezione della vita e rende più leggeri e accorti. Un’esperienza che non ha confini linguistici o generazionali, quella di ‘restare in presenza’. Questa presenza, nel qui ed ora (da-sein), in questo attimo intenso e concentrato, ci mantiene nel campo, ovvero nel contatto effettivo con le sensazioni, sentimenti, la realtà ed insieme con qualche cosa di eterno, attimi solo attimi ma di fondamentale importanza che ci porta subito al punto.

Phd Bianchi Irene Angela

 

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