La Madre …la via al successo. Due appuntamenti importanti verso la vita

NOI Costellatori – professionisti delle costellazioni familiari autentiche

Dopo la nostra nascita, il prossimo evento decisivo è il movimento verso la madre  che ci prende al suo seno e ci nutre. Con il suo latte prendiamo la vita all’esterno di lei. Che cosa conduce al nostro successo se non prendiamo questo nutrimento? cosa ci  prepara ai prossimi successi nella nostra vita e nella nostra professione? Prendere lei – in quanto fonte della vita – con tutto ciò che fluisce da lei verso di noi è prendere la nostra stessa vita. E questo prendere è attivo. Dobbiamo succhiare perché il suo latte fluisca. Dobbiamo chiamare perché lei venga. Dobbiamo gioire di ciò che lei ci dona. Con lei noi diventiamo ricchi. Più tardi nella vita vedremo che chi è riuscito a prendere la madre in questo modo pieno, avrà successo e sarà felice. Perché come una persona si pone di fronte alla madre, così si pone di fronte alla vita e alla professione. Se rifiuta la madre, rifiuterà anche la vita, il lavoro e la professione. Come qualcuno gioisce della madre, così gioisce della vita e del proprio lavoro. Così come sua madre gli dà, gli dà sempre di più – se prende da lei con amore – così avrà successo nella vita e nel lavoro – allo stesso modo. Chi ha riserve nei confronti della madre, ha riserve anche verso la vita e la felicità. Così come sua madre si ritira da lui e dal suo successo come conseguenza delle sue riserve e del suo rifiuto, anche la vita e il successo si ritirano.

 movimento di avvicinamento alla madre 

 

 

Molti sono ostacolati da un’esperienza precoce nel prendere la madre. Hanno vissuto una separazione precoce dalla madre. Ad esempio se sono stati dati via per un certo tempo, o quando la madre era malata o doveva allontanarsi per recuperare oppure quando eravamo malati noi e lei non poteva venirci a trovare. Quest’esperienza produce un profondo cambiamento nel nostro comportamento successivo. Il dolore della separazione, la situazione di impotenza senza di lei, la disperazione di non poter andar da lei quando ne avremmo avuto un disperato bisogno, porta ad una decisione interiore. Ad esempio: “Io rinuncio a lei”. „Io rimango solo.“ „Rimango a distanza da lei“. “Io mi allontano da lei”.

Vedremo insieme le conseguenze del  movimento di avvicinamento interrotto e Il movimento verso il successo

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Strumenti da adottare per essere vincenti

Breve decalogo per essere vincenti: focus su #compromesso #collaborazione #versatilità

Provare ad applicare le regole sotto indicate cambia ogni relazione, soprattutto quelle lavorative...provare per credere

  • Parlare troppo con il ns interlocutore non risolve nulla, così non lo incontriamo ma vuotiamo un contenitore emozionale
  • Attenzione vigile rivolta all’esterno
  • Fermiamoci
  • Piccole domande gentili per indagare
  • Consapevolezza della situazione reale
  • Con calma lasciamo emergere il tema reale e la persona
  • Fare pause equilibrate
  • No a troppe definizioni creano confusione e indeboliscono
  • Non rispondete subito
  • Ascoltate bene

Fenomenologia in Bert Hellinger. La ‘magia’ dell’ascolto

                                                                                                                              “Tutto inizia individuando una prospettiva”1. Bert Hellinger

ABBASTANZA

Abbastanza: pagina 413 del testo di Bert Hellinger L’amore dello spirito, leggiamo: Comprendiamo veramente solo ciò che sperimentiamo in prima persona …. E ci rendiamo subito conto, tramite le nostre sensazione se una cosa può funzionare….di conseguenza in questo libro non ho spiegato e mostrato tutto delle costellazioni famigliari spirituali, ma coloro che hanno seguito interiormente, soprattutto aprendosi a tutto così com’è, hanno appreso abbastanza per sperimentare…assecondando i movimenti dello spirito così come sono.

Di questa parte velata che si apre poco a poco in Hellinger, ci si rende conto nel tempo, nulla è a caso, tutto è sostenuto dalla ricerca, dal metodo, dallo studio e nulla che non sia con lo spirito e nella fiducia dei suoi movimenti 2 . Questa riflessione, che vorrei condividere, nasce proprio dal mio interrogarmi su una sorta di ‘mescolanza’ o unificazione di filosofia e metodo e sui possibili risvolti del suo pensiero più maturo, insieme all’uso di espressioni complesse che si svelano e dipanano anch’esse strato per strato3, un’intricata matassa; lo stesso Bert ci dice apertamente di aver proceduto nel suo percorso seguendo una delle leggi fenomenologiche più interessanti, ovvero orientarsi solo su ciò si mostra nei limiti in cui si mostra, e di aver scritto parte dei suoi testi dopo lunghe meditazioni, quasi arrivassero da un’altra dimensione,4 nota a molti altri grandi ricercatori e sperimentatori (si pensi a Jung) che è quella di essere un ‘canale’, con apertura di cuore, completa libertà di mente, connesso alla parte più profonda della coscienza, parte dei suoi scritti sono di fatto sistemi da scoprire lentamente, sentieri, itinerari; un pensiero costantemente “in cammino” di heideggheriana memoria.

Se è ascoltandolo, guardando, restando dentro i movimenti dell’ampio e irraggiungibile ‘campo’ energetico guidato da Hellinger, con sapienza, che ho/abbiamo appreso ‘il mestiere’ , dove sembrerebbe che le basi teoretiche definite, siano dedotte da osservazione, addirittura senza obiettivi, presto ci accorgeremo che non basta, prima di tutto abbiamo una definizione del metodo teoretico che Bert chiama fenomenologico, ovvero si presuppone che la realtà si mostri se la si lascia agire su di sé, questo tramite un atteggiamento aperto e disinteressato; traspare cosi una ‘verita’ inaspettata, un movimento valido nel qui ed ora dell’azione terapeutica.

Anche il linguaggio di Bert, che sembra diventare più criptico nel tempo, richiede una sorta di ‘abbandono’; dipanato o meno, agisce su di me/noi immediatamente, risuona senza indagarlo, l’invito è di lasciamolo ‘semplicemente’ agire. Proviamo quindi, facciamo esperienza, sbagliamo, se accade va bene…., e poi capiremo se sia o meno un guadagno (alla luce del fatto che non esiste mai nulla di sbagliato né di giuso quando siamo guidati dallo spirito) consapevoli che penetrare un linguaggio con un altro linguaggio sarà sempre parziale, frammentato a vote singolare. Questo è un ‘gioco’5 che invita a confrontarsi con possibilità che esulano dai normali standard filosofici, logici e linguistici.

1 Bert Hellinger, Il lungo cammino, 2005, pg. 77

2 Bert Hellinger più volte dichiara: “ durante la rappresentazione i rappresentanti percepiscono realmente ciò che avviene in quella famiglia. E questo mi basta per il mio lavoro” in Amore dello spirito, 2008, pg.426

3 Bert Hellinger, Mistica naturale, 2008

4 Bert Hellinger, La mia vita le mie opere, 2018, pg. 110 e ssg. Anche in, Il lungo cammino, pg. 139 e sgg.

 

Possibilità che mettono a prova le nostre abilità di pensiero di ascolto e accoglienza del nuovo che si manifesta. Cosa dobbiamo abbandonare? La presunzione di trovare una soluzione, la soluzione non è importante, importante è il movimento necessario per andare verso la risoluzione, il movimento si innesca e lo spirito conduce. Una sorta di ripristino autonomo del campo del cliente, dove l’intero sistema è coinvolto; diamo il via al processo e questo si compirà da se nel modo migliore possibile per quel contesto, la fiducia nello spirito è totale- La forze del costellatore sta nel saper innescare il processo e poi ritirarsi nella fiducia Un atteggiamento filosofico per eccellenza che nasce da quel concetto di ‘Gelasseheit’ che traduciamo appunto con ‘abbandono’ nel senso di uno stare aperti, senza attese, detto altrimenti ‘lasciamo essere l’essere che si possa manifestare tramite l’esser-ci nella sua essenza, ovvero il corpo della persona, quel esser-ci che fa la differenza ontologica dell’intero processo. Accade così un vero cambio antropologico, la persona che non si avvalora necessariamente nel fare ma nella forza dell’ascolto guidato dall’attenzione aperta all’essere, allo spirito, cosa lo rende possibile? L’atteggiamento fenomenologico, il restare al margine in modalità aperta, riconoscendo l’essenza è tutto cio che ci viene richiesto, riconoscendo l’essenza, come scrive Hellinger, so cosa devo fare, e questo è abbastanza.

Nel tedesco corrente “Gelassenheit significa anche serenità, tranquillità. Si tratta pero di un termine ricco di una grande pregnanza storica in quanto costituisce un vocabolo chiave nella tradizione mistica, sia cattolica che protestante, e riveste un ruolo essenziale in Meister Eckart 6. La “Gelassenheit” mistica indica in generale il “sich lassen”, l’abbandonarsi a Dio attraverso l’annullamento delle passioni e dei desideri. Nell’uso che ne fa Heidegger, il termine e ricondotto alla sua radice, il verbo “lassen”, situato in opposizione semantica al “wollen”, il volere; in una antitesi precisa al nietzschiano “Wille zur Macht”, volontà di potenza. Da una parte infatti il volere e l’attitudine centrale della soggettività rappresentativa dominante nell’età moderna, mentre il “lassen” indica un rapporto con le cose che conduce all’incontro con libertà, ovvero significa lasciar-essere l’ente; lasciarsi coinvolgere da esso, esporsi a questo incontro ed arrischiarsi7. L’esistenza è quindi il modo d’essere dell’umano, grazie alla sua fondazione nella libertà. Questa esperienza può essere ben qualificata come “diretta” e “passiva”, questi due elementi sono simultaneamente presenti e complementari; come comunicare tutto ciò attraverso il lavoro costellativo?

Bert Hellinger scrive, come abbiamo visto, ogni suo testo come un cammino su molteplici piani, con significati celati e rivelati insieme; tutti libri esperienziali, dopo averli letti li devi vivere se vuoi davvero fare il salto nella dimensione più vicina alla ‘autenticità de metodo costellativo, cosi come alcuni testi filosofici vanno compresi vivendone il contenuto; anche i testi più filosofici di Bert, ci propongono esperienze, abbandonarsi a queste esperienze di ascolto e pratica insieme, restare ‘accesi’, presenti, liberi, è una delle conquiste dell’essere in sintonia con Hellinger e il suo pensiero.

5 Per Eraclito, il gioco è una metafora attraverso cui rendere evidente l’assenza di un telos, ovvero di un fine ultimo verso cui tutte le cose tendono, e dunque il carattere contingente della realtà, o come diranno filosofi del 900 vicini a Hellinger nel gioco si riscontra la caratteristica di atemporalità, assenza di finalità esterna, distanza, riconciliazione con la vita.

6 Il maestro domenicano, Eckart, insegna che l’anima e Dio sono una cosa sola. Questa paradossale verità la comprende però solt anto l’uomo interiore, ovvero l’uomo completamente distaccato, che ha evangelicamente rinunciato a sé stesso e ha così scoperto l’ essenza dell’anima, il suo “fondo”, ove essa diventa spirito, così come Dio è spirito. Si apre allora per lui, “uomo nobile”, già qui nel tempo la luce abbagliante dell’eternità, e già qui nel molteplice la dimensione beatificante dell’Uno, in Meister Eckart, L’anima e Dio son o una cosa sola, 2020

7 La domanda principale che Martin Heidegger si pone è che cos’è dunque l’essere, diverso dall’esser-ci che è la persona. in Martin Heidegger, Essere e tempo, 1998

 

NUOVE VISIONI

Ricordo che quando Bert lavorava era tutto così intenso che non potevi staccare e gli appunti erano, alla fine delle giornate, briciole residue per soddisfare la paura di non poter raccogliere tutto; artifici della mente nella consapevolezza che ciò che si manifestava, ciò che accadeva, (parafrasando Hellinger nella sua intervista con Gabriele Ten Hoeven),8 il modo di procede delle costellazioni famigliari, nei suoi vari sviluppi, era metodologicamente nuovo e soprattutto apriva una nuova visone del mondo; una visione che mette in ombra molte delle supposizioni fondamentali della scienza e della psicologia contemporanea.

Se esiste un metodo lo si può quindi imparare e investigare; è il metodo della percezione fenomenologica dell’essere ciò che Husserl, padre della fenomenologia, definì come intuizione filosofica, ovvero l’esercizio del superamento della scienza verso un’evidenza di ciò che si manifesta intuitivamente, in quanto svelamento della ‘vera essenza delle cose’. Ma è con il pensiero di Heidegger (che accompagna Bert sin dai suoi studi di teologia e filosofia), che appare l’essere immersi nell’essere che ci circonda e, come dirà Hellinger, ci prende al suo servizio, e si manifesta attraverso di noi, siamo quindi suoi strumenti? Canali di un messaggio che ci raggiunge e si manifesta tramite noi. L’atteggiamento fenomenologico non considera la verità un ‘oggetto’ ma un movimento, e noi tutti passiamo da sentirci detentori della ‘verità’ (come direbbe la scienza), a strumento di una forza della quale non possiamo disporre ma della quale siamo a disposizione, uno meraviglioso strumento. Qual è la sfida? Riconoscere in Hellinger la costruzione di un diverso paradigma ‘terapeutico’ e di vita, un vero cambio antropologico che investe tutti noi. Passare dal plus valore del fare come atto di volontà, dal giudizio, all’essere inteso quale fiducia nell’ascolto, nel mostrarsi della realtà scoprendone le infinite prospettive delle quali tutti noi facciamo parte.

IL FILOSOFO

Teologo, pedagogista, studioso, conoscitore in prima persona di molte scuole terapeutiche e di terapeuti famosi che hanno influenzato i canoni del suo lavoro, il filosofo, Anton/Bert Hellinger si ispira, al pensiero di Heidegger, Aristotele, del teologo Meister Eckhart, alla psicologia del profondo, leggendo con cura a attenzione i suoi scritti possiamo individuarne i temi e i termini. Ritornando a Heidegger e premesso che in questo contesto non è possibile parlare esaustivamente, ci basti per ora sapere che è stato tra i grandi filosofi tedeschi del ‘900, teologo prima, filosofo poi, incontrando il padre della fenomenologia Edmund Husserl, si apre alla ricerca fenomenologica, in “Essere e Tempo” 9, opera molto complessa che riecheggia spesso negli scritti di Bert, troviamo due affermazioni di Heidegger: più in alto della realtà effettuale (Wirklichkeit) sta la possibilità. La comprensione della fenomenologia sta nel concepire la realtà come possibilità. Quindi il metodo fenomenologico così inteso non si arena sulla realtà effettuale ma è nella pratica dell’astensione al giudizio (attraverso l’epochè), che consente di cogliere l’essenza dei fenomeni.

Questo cosa vuol dire? Che questa pratica non coincide con l’introspezione (basata su una ingenua separazione fra io e mondo), ma è un modo di re-imparare a vedere il mondo, una ritrovata capacità di provare stupore di fronte al mondo: non giudichiamo, restiamo al bordo dello spazio di manifestazione dei fenomeni, lasciando di fatto spazio ad un altro tipo di manifestazione dell’essere che diventa così ‘reale’ come precipitato ultimo nell’esser-ci (come direbbe Heidegger), ovvero l’individuo; tradotto: i clienti, gli individui, che abbiamo davanti a noi durante una costellazione, lasciati liberi da giudizi interpretativi e da vizi teoretici, divengono la manifestazione ultima e reale (il precipitato ultimo) di tutto il loro bagaglio generazionale che si manifesta nel qui ed ora durante il lavoro costellativo.

8 Bert Hellinger, Il lungo cammino, 2005, pg,123 e sgg

9 Martin Heidegger, Essere e tempo, 1998

 

È necessario, al fine di cogliere il cuore della questione, intraprendere un’altra deviazione che metta in chiaro come Heidegger/Hellinger usino ancora diversamente l’espressione “fenomenologia”; dobbiamo andare alla matrice concettuale del termine di origine greca, φαινομενολογία (logos del phenomene) ‘’fenomenologia” ovvero “portare qualcosa alla luce del giorno” ossia “alla luce, alla chiarezza”, detto altrimenti: il manifestarsi del fenomeno cosi come è, come appare (das sich – an -ihm-selbst -zeigende), ciò che può essere visto e percepito sulla scorta del suo apparire a noi; sicché l’espressione: fenomenologico diventa anche un modo d’essere ed insieme un punto d’incontro, dove ciò che appare è colto da noi. L’esistenza a questo punto, quella che cogliamo, per essere davvero colta in profondità, va osservata con sguardo limpido al fine del suo manifestarsi, in maniera imparziale (come in costellazione) con le strutture dell’esistenza stessa, così come esse si manifestano, senza alterazioni o aggiunte, senza inclinazioni e vizzi terapeutici, emozionali eccessivi, chiare in presenza. Perché questo accada deve cambiare il nostro atteggiamento naturale, come sempre ci istruisce Bert. Come arrivarci? Nell’introduzione del testo ‘Viaggio interiore’ Hellinger scrive che il viaggio interiore è sinonimo di meditazione e il termine meditazione descrive la meta di questo viaggio, guardare in raccoglimento qualche cosa di nascosto che ci attrae anche se continua a restare invisibile E lì che conduce il nostro viaggio. Nelle parole possiamo cogliere la suggestione del pensiero di Aristotele; ‘’lo svelamento del nascosto”10, inteso come possibilità nell’esser condotto da una coscienza spirituale, dell’essere pensato, dell’essere pensiero di pensiero, ovvero da quella realtà che pensa sé stessa. Tutto ciò che è stato creato, scrive Bert (tutti noi che siamo pensati in un adesso eterno) è stato creato da qualche cosa di eterno prima ancora di esistere11. Parole che descrivo immagini che si sottraggono alla nostra conoscenza, cosa interessa dunque? L’inizio di qualsiasi movimento.

INIZIO

Come possiamo avere un’intuizione chiara dell’inizio? Questione complessa, squisitamente metafisica. Aristotele aiuta, lo chiama primo motore (primum movens), e lo indentifica con un essere (non un ente, niente corpo) necessariamente esistente che si identifica con il bene, un atto che pensando mette già in tutto in movimento (esistere, vivere, esserci, sono tutti termini legati al movimento che è la vita) anche ciò che ancora ‘non esiste’, come Hellinger scrive da pg. 138 nel suo Il lungo cammino, noi siamo pensati costantemente, con questa visione del mondo è difficile mantenere le tradizionali distinzioni, tutte le categorie, compreso il giudizio buoni e cattivi, non avrebbero più senso naturalmente; in questo movimento tutti ci muoviamo in un eterno adesso, sempre legato al tempo (vita e morte) ed eterni insieme (e tutti servono al tutto nelle modalità che gli compete). In ‘Verso nuovi spazi’, scritto breve ma complesso che ci introduce alle costellazioni mediali. Bert ci dice che il nostro spirito muovendosi in spazi diversi dal nostro Io, ci porta con se in una vastità dove tutto esiste contemporaneamente e lo fa se ci apriamo ad esso, con fiducia, senza attese, semplicemente restando concentrati ed aperti; se come Heidegger ci ricorda l’uomo è costantemente immerso nelle temporalità, inchiodato ad un presente costante, inteso come unica realtà possibile, questo inizio senza inizio, questo ‘viaggio dello spirito’ (il possibile) diventa la vita nel suo eterno fluire (il reale), la vita che passa in ogni umano, che scorre di generazione in generazione, quella forza universale che Aristotele definisce come Anima.

IN CAMMINO

Cosa possiamo imparare con Bert da tutto questo? Cosa ci chiede? Di porre un’attenzione costante al momento presente, nel quale si incontrano gli influssi del passato e le tensioni verso il futuro; slegati dal costante blocco nella tensione verso, nel voler sempre dare un nome alle cose le blocchiamo alla loro definizione presente, ne blocchiamo lo sviluppo. Siamo in un ‘continuum consapevole’ che ci tiene in contato con nostro ‘Da-sein’, l’esser qui ed ora. L’esperienza diventa così un flusso continuo;

10 Aristotele, Metafisica, Libro XII,7.1072, 1984

11 Bert Hellinger, Verso nuovi spazi,2013, pg 14

 

se restiamo nell’attenzione sostenendo il processo di consapevolezza, se operiamo consapevoli, intenzionalmente, agiamo sul campo e siamo nel campo sempre, in cammino e insieme sempre limitati. Di quale campo stiamo parlando? Di quello che Bert chiama campo spirituale12; e l’esempio del ‘nuovo’ campo spirituale per eccellenza, che permette nuove prospettive, che superano i limiti imposti dai vari campi spirituali ed è costituito proprio dalle costellazioni mediali e spirituali, un campo piu ampio. Solo cosi, immettendo nuove prospettive spirituali, possiamo cambiare i campi spirituali forti e creare nuovi spazi.13

ASCOLTO

Ma all’ascolto di cosa? E perché è un cambio di prospettiva così importante? un vero cambio culturale. In ‘mistica naturale’, Hellinger, la parola ‘naturale’ è associata alla parola mistica, questo la libera dal contesto religioso al quale di solito si lega, una mistica umana ed accessibile, appunto naturale, perché è nella natura dell’umano. Un luogo di comunione nel quale procede insieme, su un prezioso cammino. Bert di fatto ci conduce attraverso tappe importanti verso una nuova consapevolezza che ci apre ad uno spazio di raccoglimento e ascolto in un ‘ritorno alle cose’ vorrei dire alle ‘cose stesse’, alla loro essenza, in questa modalità non giudicante che fa sorge l’intuizione non più ad appannaggio di pochi, ma di chiunque si ponga nell’ascolto, con fiducia.14 Umili restiamo fermi, ascoltiamo, attenti a ciò che l’ispirazione ci manda e ci fidiamo che quel messaggio sia ‘il messaggio’ giusto per quel momento, passiamo quindi dal fare allo stare, attendere e ascoltare, passiamo dal potere all’abbandono di velleità di essere noi a fare la differenza con le nostre azioni, passaggio complesso per la nostra cultura occidentale che guarda all’ascolto come inattività e non come la più alta forma di ‘attività’, ma che ascolto dobbiamo operare? Su che sentieri ci conduce? ci conduce su sentieri di contemplazione. Quando Bert ci invita a seguirlo in questo cammino verso il nostro essere più profondo, ci indica (come per ogni cammino) delle tappe; prima tappa riguarda la percezione immediata del nostro pensare ed agire, segue la conoscenza spirituale nel quotidiano, poi l’incontro con le nostre paure profonde, e l’invito a porci in basso, il più basso possibile, in pratica ci indica la via per scendere dal nostro ego ed geocentrismo verso una nuova liberta; certo l’ ego si ribella ad una pratica che ci definisce addirittura ‘pensiero di pensiero’, siamo abituati che il fare, il volere, l’azione continua sono espressioni dell’individualità senziente, tutto questo si trasforma in ascolto fiducioso, apertura verso una dimensione data da una continuità consapevole, che rimane in contatto con il nostro esser-ci, il nostre essere qui umano. Di fatto l’esperienza per Heidegger come per Bert è un flusso continuo che possiamo focalizzare nell’attenzione del nostro processo di consapevolezza declinando la nostra intenzionalità, ovvero l’orientamento attentivo, questo atteggiamento è apertura del campo, che permette l’integrazione per esempio di qualunque conflitto, dove è il sentire, l’attesa vigile e presente, ad agire, una pillola quantica importante. Ma come si accede al ‘campo’? come possiamo immaginare il campo? Come un ponte che unisce tutte le ‘cose’ (die Sache) qualunque ne sia la natura materiale o immateriale, interna o esterna, volendo troviamo qui il linguaggio filosofico, velato ma presente, delle teorie sub-atomiche, in Mistica naturale, dove l’atto di osservare qualcosa è un atto creativo, diventa realtà la possibilità che viene osservata, il nostro sguardo mette in luce qualche cosa che era già li, nel buio

  • Idem, 43
  • Rupert Sheldrake, biologo e saggista britannico, nei suoi scritti: A New Science of Life (1981) e The Presence of the Past (1988), elabora la teoria dei campi morfogenetici. Sheldrake individua la presenza di una forza invisibile presente nel sistema ma non identificata con uno dei suoi componenti, bensì col sistema stesso. Inoltre questo “campo morfico”, responsabile dell’organizzazione, della struttura e della forma del sistema, avrebbe una sua memoria, determinata, questa si, dal contributo di ciascun membro. Ricordiamo che Scheldrake conobbe Bert, e tenne una conferenza importantissima sul tema in un Camp, la moglie di Sheldrake è diventata a sua volta una costellatrice
  • Fare esperienza del linguaggio non significa sovraintendere ad un’attività, ma implica un atteggiamento passivo, di ascolto, poiché il linguaggio non deve essere pensato dalla prospettiva dell’uomo, ma è il linguaggio stesso a fare dono di sé. Cfr. Martin Heidegger, In cammino verso il linguaggio, 2015

 

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Durante le sessioni di lavoro Bert non permetteva di chiudere gli occhi, di deviare, ‘guarda ….’, guarda avanti, guarda oltre. Quello sguardo era ed è la porta che permette, sintonizzandosi sulla nostra percezione sensibile, l’aprirsi ad una visione che non ci permette più di distogliere gli occhi, né il cuore, dall’essenziale, ecco il cambio antropologico sostenuto nello spazio fenomenologico, che Bert mette in scena, rende visibile, all’esser umano (o meglio riscoprire) la meravigliosa possibilità di connettersi con quell’immateriale che chiamiamo ‘spirito’. Opportunità che come ci racconta nel suo Viaggio interiore, vista da fuori potrebbe sembrare impossibile ed invece non è così. Chi ha fatto almeno un Camp con Bert e Sophie Hellinger capisce/intuisce che questo stato di presenza costante, ampia la percezione della vita e rende più leggeri e accorti. Un’esperienza che non ha confini linguistici o generazionali, quella di ‘restare in presenza’. Questa presenza, nel qui ed ora (da-sein), in questo attimo intenso e concentrato, ci mantiene nel campo, ovvero nel contatto effettivo con le sensazioni, sentimenti, la realtà ed insieme con qualche cosa di eterno, attimi solo attimi ma di fondamentale importanza che ci porta subito al punto.

Phd Bianchi Irene Angela

 

Valore dell’etica.

https://mondodomani.org/dialegesthai/articoli/irene-bianchi-01

Valore dell’etica, valore della fenomenologia

1. Il filo con­dut­to­re

Con­di­vi­do con Jac­que­li­ne Russ1 il fatto che stia­mo en­tran­do in un pe­rio­do in cui la ‘scien­za della libertà’, che Kant aveva bat­tez­za­to come ‘eti­ca’2 tende a con­fi­gu­rar­si come ‘con­trol­lo di con­trol­lo’ e come ‘po­te­re sul po­te­re’; per con­tro il pen­sie­ro etico con­tem­po­ra­neo do­vreb­be ten­de­re verso un’e­si­gen­za di sag­gez­za ov­ve­ro ad una ri­con­qui­sta di una ra­gio­ne pra­ti­ca di tipo ine­di­to, ga­ran­ti­ta dal più ampio con­sen­so ba­sa­to sulla capacità di dia­lo­go e di ascol­to, in di­re­zio­ne di un’e­ti­ca che gia Ha­ber­mas e Rawls, pe­ral­tro, ave­va­no teo­riz­za­to, e di ‘un prin­ci­pio di responsabilità uni­ver­sa­le’, e di autoresponsabilità, che non esclu­da la reciprocità, così come Jonas per un verso, e Hus­serl per un altro, pro­po­ne­va­no a gran voce già molti anni fa.3

La ri­cer­ca di un’e­ti­ca va­li­da per l’umanità nel suo in­sie­me, com­pre­so il ge­ne­re umano fu­tu­ro da­to­ci in af­fi­da­men­to, do­vreb­be quin­di al­me­no il­lu­mi­na­re l’or­di­ne etico con­tem­po­ra­neo; la fi­lo­so­fia pra­ti­ca, già Kant sot­to­li­nea­va, non si fonda su ciò che è ma su ciò che ‘deve es­se­re’, non tanto una con­sta­ta­zio­ne sto­ri­ca del­l’av­ve­nu­to ma uno sguar­do su ciò che ‘deve suc­ce­de­re’; un di­ve­ni­re di una società in con­ti­nua tra­sfor­ma­zio­ne dove l’e­ti­ca è da in­ten­der­si come uno dei com­pi­ti ul­ti­mi nel men­tre si rea­liz­zi un ten­ta­ti­vo di ri­com­po­si­zio­ne del­l’o­riz­zon­te ideo­lo­gi­co (mai così aper­to, direi fram­men­ta­to) fatto di mol­te­pli­ci dif­fe­ren­ze ed in­sie­me anche di mol­te­pli­ci frain­ten­di­men­ti, di chiu­su­re e bar­ba­rie; oriz­zon­te che ra­di­ca la no­stra stes­sa responsabilità nel cuore delle tra­sfor­ma­zio­ni odier­ne.

Ciò che ci condurrà quin­di at­tra­ver­so le no­stre ri­fles­sio­ni, verso l’e­ti­ca fe­no­me­no­lo­gia, è una do­man­da che è do­ve­ro­so porsi nuo­va­men­te nella si­tua­zio­ne sto­ri­ca at­tua­le, ov­ve­ro: che cosa ha da dirci la fi­lo­so­fia oggi, e ancor più la fe­no­me­no­lo­gia? Quale ne è lo scopo? La sua ‘utilità’?

Ten­tia­mo di ri­spon­de­re ini­zian­do da ciò che Hus­serl scris­se a pro­po­si­to del­l’VIII Con­gres­so In­ter­na­zio­na­le di Fi­lo­so­fia, che si svol­se nel 1934 a Praga, in una let­te­ra a Radl:

La fi­lo­so­fia è l’or­ga­non di una nuova forma di esi­sten­za (Da­seins) sto­ri­ca dell’umanità, un’e­si­sten­za che si espri­me nel suo spi­ri­to di au­to­no­mia […] . L’autoresponsabilità fi­lo­so­fi­ca si rea­liz­za ne­ces­sa­ria­men­te nella comunità di co­lo­ro che fi­lo­so­fa­no. Con­si­de­ran­do tutto ciò come prin­ci­pio, la comunità fi­lo­so­fi­ca e la fi­lo­so­fia sono il fe­no­me­no ori­gi­na­rio e allo stes­so tempo la forza viva ope­ran­te […] la quale, par­ten­do dalla mera intenzionalità at­tra­ver­so la sua forza (Macht) ha crea­to e col­ti­va un’intenzionalità del tutto nuova, ov­ve­ro un’u­nio­ne me­dian­te lo spi­ri­to di au­to­no­mia.4

Ciò che Hus­serl pro­po­ne­va, con ri­fe­ri­men­to alla fun­zio­ne della fi­lo­so­fia nel 1934, coin­ci­de con la sua tesi, pe­ral­tro già co­no­sciu­ta, in ri­fe­ri­men­to al pro­ces­so di ‘po­si­ti­viz­za­zio­ne’ della scien­za in re­la­zio­ne con la crisi della cul­tu­ra; po­si­ti­viz­za­zio­ne che ha con­dot­to ad un oc­cul­ta­men­to del ‘mondo della vita’ ed al­l’o­blio della soggettività.5

De­plo­ran­do la per­di­ta di va­lo­re vi­ta­le, cau­sa­ta dal­l’a­spi­ra­zio­ne in­ces­san­te a ri­dur­re tutto ciò che si dà ad una na­tu­ra cal­co­la­bi­le, Hus­serl rav­vi­sa il pe­ri­co­lo di una vi­sio­ne ‘ge­ne­ra­le’ del mondo che do­mi­ni la cul­tu­ra e porti alla di­sper­sio­ne della stes­sa fi­lo­so­fia «Que­sta è una que­stio­ne pra­ti­ca» — sot­to­li­nea il No­stro — «Dun­que la no­stra in­fluen­za sto­ri­ca, e in­sie­me la stes­sa no­stra responsabilità etica, si esten­de per­fi­no alla più re­mo­ta lon­ta­nan­za dal­l’i­dea­le etico».6 Ed è nel trat­ta­re il rap­por­to tra on­to­lo­gia e fe­no­me­no­lo­gia che Hus­serl sviluppò un’e­ti­ca fe­no­me­no­lo­gi­ca se­guen­do pro­prio il suo stes­so mo­del­lo on­to­lo­gi­co.

Bre­ve­men­te ri­cor­dia­mo che nella prima parte della sua ri­fles­sio­ne etica, egli si occupò della re­fu­ta­zio­ne dello scet­ti­ci­smo che si ma­ni­fe­sta so­prat­tut­to nello psi­co­lo­gi­smo, al quale egli op­po­se l’u­ni­ca al­ter­na­ti­va pos­si­bi­le ov­ve­ro la fi­lo­so­fia fe­no­me­no­lo­gi­ca. La ri­spo­sta allo scet­ti­ci­smo con­si­ste in­fat­ti nel ri­co­no­sce­re prima di tutto la validità, anche nel­l’e­ti­ca, della ri­ven­di­ca­zio­ne del si­gni­fi­ca­to dei sen­ti­men­ti mo­ra­li, per di­mo­stra­re dopo, si­ste­ma­ti­ca­men­te, la possibilità di un ruolo ‘obiet­ti­vo’ del­l’e­ti­ca stes­sa; si trat­ta di una teo­ria for­ma­le dei va­lo­ri che sarà ri­per­sa nelle sue le­zio­ni del 1920.7

Egli sviluppò quin­di ini­zial­men­te un mo­del­lo etico par­ten­do dal pre­sup­po­sto che tra la ra­gio­ne lo­gi­co-​teo­re­ti­ca e la ra­gio­ne as­sio­lo­gi­co-​pra­ti­ca, ov­ve­ro tra l’i­dea della Verità e quel­la del Bene, esi­sta un’a­na­lo­gia;8 e sarà solo in un se­con­do mo­men­to che ad essa si col­le­ghe­ran­no le ri­cer­che sulla cul­tu­ra e sulla sto­ria, frut­to anche del pe­rio­do di tran­si­zio­ne ine­ren­te alla Prima Guer­ra Mon­dia­le; tran­si­zio­ne che con­si­ste nel com­pa­ra­re cri­ti­ca­men­te quell’attualità ‘priva di sen­so’ con la pre­te­sa razionalità di una cul­tu­ra fi­lo­so­fi­ca del pe­rio­do, in con­trap­po­si­zio­ne ad una mo­ti­va­zio­ne che possa ele­va­re al prin­ci­pio di responsabilità come con­di­zio­ne di possibilità di un ‘rin­no­va­men­to’ (Er­neue­rung) della vita in­di­vi­dua­le, e di una cul­tu­ra in ge­ne­ra­le, a par­ti­re da un im­pian­to te­leo­lo­gi­co dell’intenzionalità e della sto­ria.9

Ne risulterà che il sog­get­to tra­scen­den­ta­le non deve so­la­men­te ‘pre­ser­va­re’ il mondo da uno stato di caoticità, ma anche dare ‘for­ma’ al­l’e­si­sten­za se­con­do le su­pre­me idee della ra­gio­ne, di­fen­den­do così la vita dal caos che si pre­sen­ta non ap­pe­na la ra­gio­ne si ri­trae.

Hus­serl svilupperà nei suoi ul­ti­mi scrit­ti una con­ce­zio­ne pra­ti­ca della fe­no­me­no­lo­gia, nel senso in cui essa si ri­ve­la una ri­fles­sio­ne che si con­for­ma in un ethos’, tra­mi­te il quale si co­sti­tui­sce una comunità, quel­la dei ‘fun­zio­na­ri dell’umanità’, ov­ve­ro dei fi­lo­so­fi, che vive dello spi­ri­to di au­to­no­mia ed in­di­pen­den­za ti­pi­co della fi­lo­so­fia, il cui com­pi­to non si esau­ri­sce nel­l’es­se­re un grup­po di per­so­ne ap­par­te­nen­ti ad una de­ter­mi­na­ta cul­tu­ra, ma di­vie­ne un com­pi­to in­fi­ni­to di ten­sio­ne verso la ‘Verità’.

Que­sto im­pe­gno etico, se­gna­la Hus­serl, che è in­sie­me una nuova con­ce­zio­ne della temporalità, in quan­to l’autoresponsabilità del sog­get­to etico, co­sti­tui­sce la fe­no­me­no­lo­gia in una fi­lo­so­fia del pre­sen­te, par­ten­do da una tra­di­zio­ne fon­da­tri­ce, in un oriz­zon­te di un la­vo­ro in­fi­ni­to da rea­liz­zar­si in ogni mo­men­to sto­ri­co.

La fe­no­me­no­lo­gia ci aiuta ad ap­pro­fon­di­re il si­gni­fi­ca­to della pro­po­sta di come il sen­ti­men­to mo­ra­le, quale punto di par­ten­za del di­scor­so etico, non solo non è una ca­du­ta nel re­la­ti­vi­smo, pro­prio dello scet­ti­ci­smo, ma al con­tra­rio per­met­te di su­pe­rar­lo fino a ri­co­no­sce­re la sua stes­sa verità. Ri­cor­dia­mo che nel­l’ar­go­men­ta­zio­ne di Hus­serl con­tro lo psi­co­lo­gi­smo, in­te­so come la forma più pe­ri­co­lo­sa dello scet­ti­ci­smo, ov­ve­ro con­tro quel ver­det­to di con­dan­na sulla co­no­scen­za e sulla lo­gi­ca che nega la possibilità stes­sa che esita una verità tanto nella lo­gi­ca come nella mo­ra­le, oc­cu­pa un luogo im­por­tan­te la cri­ti­ca a Kant e al ra­zio­na­li­smo. Il for­ma­li­smo kan­tia­no non ri­co­no­sce il si­gni­fi­ca­to ‘si­tua­ti­vo’ del sen­ti­re e del­l’at­to del vi­ve­re, ele­men­ti di un’affettività in­ve­ce ri­chie­sta dalla fe­no­me­no­lo­gia. Per Kant solo la retta in­ten­zio­ne ha un si­gni­fi­ca­to mo­ra­le men­tre sen­ti­men­ti quali la gioia in­ti­ma­men­te vis­su­ta, è estra­nea al me­ri­to; tut­t’al più può es­se­re con­for­me alla mo­ra­le e può ri­con­dur­vi­si per ciò che in essa si ri­spec­chia del­l’im­ma­nen­te razionalità. Quin­di la con­trad­di­zio­ne dello scet­ti­ci­smo lo­gi­co trova così un ana­lo­gon’ nel con­tro­sen­so pra­ti­co in cui si di­bat­te ogni pro­po­si­zio­ne im­pe­ra­ti­va che ci in­vi­ti a con­si­de­ra­re il­le­git­ti­ma, dal punto di vista ra­zio­na­le, la pre­te­sa rac­chiu­sa in un qual­sia­si gesto di co­man­do.

Per Hus­serl ap­pa­re chia­ro che solo la fi­lo­so­fia può vin­ce­re lo scet­ti­ci­smo in tutte le sue forme, quali lo psi­co­lo­gi­smo, il na­tu­ra­li­smo e in­sie­me il po­si­ti­vi­smo scien­ti­fi­co in quan­to ini­bi­to­ri, nella loro vi­sio­ne uni­la­te­ra­le, di un di­ver­so sfor­zo di com­pren­sio­ne in­si­to nella fi­lo­so­fia stes­sa, così come egli for­te­men­te sot­to­li­nea pro­prio nella sua con­fe­ren­za di Praga. Si trat­ta del ‘tra­gi­co della scien­za po­si­ti­va’, che si espli­ca nella di­sper­sio­ne, data dalla mas­si­va spe­cia­liz­za­zio­ne delle scien­ze na­tu­ra­li.

2. De­pre­ca­to po­si­ti­vi­smo

L’i­per­spe­cia­liz­za­zio­ne delle scien­ze, la loro tec­ni­ciz­za­zio­ne sem­pre più mas­si­va, si scon­tra con un sen­ti­re più pro­fon­do ed in­glo­ban­te, ti­pi­co del­l’uo­mo, che si espri­me nel­l’u­ni­ver­so fi­lo­so­fi­co, por­tan­do­lo verso la de­ca­den­za. Così fa­cen­do si de­for­ma il con­cet­to stes­so di scien­za; la tec­ni­ciz­za­zio­ne e iper­spe­cia­liz­za­zio­ne por­ta­no ad un ri­sul­ta­to che, al di là delle sue po­si­ti­ve sco­per­te, che non sono certo de­pre­ca­te da Hus­serl, il fe­no­me­no­lo­go è teso per lo più con­tro una su­per­fi­cia­le ar­ro­gan­za data dal ‘fin­to’ po­te­re della ‘mac­chi­na’ sul­l’uo­mo e non vi­ce­ver­sa; lo scet­ti­ci­smo quin­di nella sua forma fon­da­men­ta­le, che col­ti­va una sorta di dif­fi­den­za in ri­fe­ri­men­to alla stes­sa fi­lo­so­fia, ter­mi­na per es­se­re l’og­get­to della cri­ti­ca, la quale a sua volta mo­ti­va il si­gni­fi­ca­to ra­di­ca­le del com­pro­mes­so etico della fe­no­me­no­lo­gia.

Come sot­to­li­nea Ull­rich Melle nella sua In­tro­du­zio­ne’ alle Vor­le­sun­gen ueber Ethik,10 Hus­serl segue ini­zial­men­te, nelle sue prime le­zio­ni sul­l’e­ti­ca, lo stes­so cam­mi­no del suo mae­stro Franz Bren­ta­no e delle sue le­zio­ni sulla fi­lo­so­fia pra­ti­ca. Anche per Bren­ta­no si trat­ta di chia­ri­re come è pos­si­bi­le una con­si­de­ra­zio­ne dei sen­ti­men­ti nel pro­ces­so di fon­da­zio­ne etica, senza per que­sto ca­de­re nel re­la­ti­vi­smo o nello scet­ti­ci­smo etico. Cer­ta­men­te l’e­ti­ca trat­ta del sen­ti­men­to mo­ra­le, però non si chia­ri­sce sul sen­ti­men­to così come fa con il giu­di­zio. Kant, per esem­pio, sot­to­li­nea Bren­ta­no, per ar­ri­va­re alle sue con­clu­sio­ni sulla mo­ra­le de­ter­mi­na il si­gni­fi­ca­to ul­ti­mo e la validità della mo­ra­le stes­sa nella formalità dei prin­ci­pi, ri­fiu­tan­do tutta la par­te­ci­pa­zio­ne del sen­ti­men­to e del­l’e­spe­rien­za nel pro­ces­so della co­no­scen­za e della mo­ti­va­zio­ne del­l’a­zio­ne mo­ra­le. Al­l’al­tro estre­mo, l’em­pi­ri­smo ri­co­no­sce tutta la forza mo­ra­le pro­pria dei sen­ti­men­ti; il prin­ci­pio nel quale però essi con­clu­do­no non su­pe­ra il li­vel­lo di generalità di verità che in verità può darsi con l’in­du­zio­ne e con l’a­bi­tu­di­ne.

Hus­serl argomenterà con­tro am­be­due le po­si­zio­ni; en­tram­be per un verso uni­la­te­ra­li, sot­to­li­nean­do però che l’em­pi­ri­smo ha ra­gio­ne ad ini­zia­re le sue ana­li­si dai sen­ti­men­ti e nel de­ci­der­si per l’e­spe­rien­za viva nella quale si dà a noi il fe­no­me­no mo­ra­le; ma è ne­ces­sa­rio ac­ce­de­re ad un’a­na­li­si in­ten­zio­na­le di que­sta espe­rien­za viva del sen­ti­men­to per po­ter­lo in­clu­de­re nel­l’in­tui­zio­ne del va­lo­re e non sem­pli­ce­men­te in­ter­pre­tar­lo come se si trat­tas­se di un dato na­tu­ra­le del­l’e­spe­rien­za in­ter­na.11 Come per la lo­gi­ca anche per l’e­ti­ca vale af­fer­ma­re che gli em­pi­ri­sti sco­pren­do l’intenzionalità nella loro ana­li­si del­l’e­spe­rien­za in­ter­na, fu­ro­no però cie­chi rav­vi­san­do in essa solo il luogo della forma e della ge­ne­si in modo na­tu­ra­li­sti­co, non ne in­te­se­ro perciò il senso del tra­scen­de­re del con­cet­to di intenzionalità, del con­cet­to stes­so e del giu­di­zio; ed è in que­sto senso che anche Kant in­ter­pre­ta il sen­ti­re, come lo stes­so em­pi­ri­smo, ca­rat­te­riz­zan­do le sue ana­li­si al modo di una spe­cie di fi­sio­lo­gia na­tu­ra­li­sta del co­no­sce­re umano.12

Alla fine però né Kant (nella de­du­zio­ne tra­scen­den­ta­le della prima edi­zio­ne) né gli em­pi­ri­sti, fu­ro­no ca­pa­ci, per Hus­serl, di espli­ca­re e spie­ga­re le sco­per­te dell’intenzionalità della co­scien­za per ri­tro­va­re in quel­la forma la strut­tu­ra del sen­ti­men­to, pie­na­men­te ‘vit­ti­me’ ap­pun­to del pre­giu­di­zio psi­co­lo­gi­sta che guar­da al sen­ti­men­to solo come ‘dato’ na­tu­ra­le del­l’e­spe­rien­za in­ter­na.

Nel­l’a­na­li­si in­ten­zio­na­le del vi­ven­te, si evi­den­zia­no nella loro originarietà i fe­no­me­ni mo­ra­li come co­scien­za della si­tua­zio­ne di­scer­ni­bi­le dal punto di vista mo­ra­le, il che per­met­te ad Hus­serl di di­stin­gue­re, clas­si­fi­ca­re e si­ste­ma­tiz­za­re, tutti que­gli atti che con­fer­ma­no una ‘fe­no­me­no­lo­gia della mo­ra­le’. In que­sto aspet­to più ana­li­ti­co che tra­scen­den­ta­le del­l’e­ti­ca fe­no­me­no­lo­gi­ca si può cer­ta­men­te ac­cet­ta­re che Hus­serl sia su­pe­ra­to da Max Sche­ler.13 Come già si è ten­ta­to di dire, il punto cru­cia­le del­l’e­ti­ca fe­no­me­no­lo­gi­ca, si situa però non tanto nel­l’a­na­li­si etico-​lo­gi­ca, quan­to nel pas­sag­gio dal­l’a­na­li­si in­ten­zio­na­le dei va­lo­ri all’intenzionalità, in­te­sa come responsabilità, e da qui al­l’e­ti­ca come co­scien­za sto­ri­ca e cul­tu­ra­le tanto del­l’in­di­vi­duo come della società.

In ef­fet­ti, Hus­serl stes­so am­met­te che la di­men­sio­ne for­ma­le del­l’e­ti­ca non coin­ci­de con l’e­ti­ca stes­sa e il fi­lo­so­fo non avreb­be an­co­ra as­sol­to al suo com­pi­to quan­do aves­se de­li­nea­to in modo esau­sti­vo il si­ste­ma delle leggi for­ma­li della ra­gio­ne pra­ti­ca; alla di­men­sio­ne for­ma­le deve af­fian­car­si dun­que una di­men­sio­ne ma­te­ria­le del­l’e­ti­ca.14 In­fat­ti le sue le­zio­ni sul­l’e­ti­ca del 1914 si con­clu­de­va­no con una quar­ta parte de­di­ca­ta alla ‘Pra­ti­ca for­ma­le’ di cui l’ul­ti­mo pa­ra­gra­fo si in­ti­to­la Obiettività delle possibilità pra­ti­che e la loro relatività al sog­get­to’.15 In que­sto pa­ra­gra­fo si te­ma­tiz­za l’as­sun­to della mo­ra­le in re­la­zio­ne al sog­get­to del­l’a­zio­ne ve­nen­do così ad in­fran­ge­re una certa forma ana­lo­gi­ca tra l’a­na­li­si in­ten­zio­na­le della mo­ra­le con l’am­bi­to lo­gi­co, così come Hus­serl stes­so scri­ve: «D’al­tro canto a una soggettività non può es­se­re a prio­ri ri­chie­sto nulla che non sia poi in suo po­te­re rag­giun­ge­re»,16 e più avan­ti ag­giun­ge:

Le no­stre con­si­de­ra­zio­ni […] ci mo­stra­no che […] non è pos­si­bi­le ca­de­re nel­l’er­ro­re di voler pre-​de­li­nea­re con il so­li­to aiuto di un im­pe­ra­ti­vo ca­te­go­ri­co, privo di con­te­nu­to, che cosa sia pra­ti­ca­men­te ri­chie­sto e che cosa sia dun­que as­so­lu­ta­men­te do­vu­to nella si­tua­zio­ne de­ter­mi­na­ta di volta in volta pre­sen­te. La lo­gi­ca for­ma­le con tutte le sue leggi non può met­ter­ci nella con­di­zio­ne di de­dur­re la più pic­co­la verità fat­tua­le. Essa ab­brac­cia […] solo le verità for­ma­li. […] Lo stes­so si può dire del­l’as­sio­lo­gia e della pra­ti­ca for­ma­li. […] Sa­reb­be­ro ora da de­fi­ni­re le clas­si fon­da­men­ta­li dei va­lo­ri e dei beni pra­ti­ci per poi ren­de­re og­get­to di in­da­gi­ne le leggi della pre­fe­ren­za. […] Che cosa dire dun­que della va­lu­ta­zio­ne di una per­so­na in quan­to es­se­re ra­zio­na­le? […] Di qui dun­que muo­vo­no le linee che ci con­du­co­no verso l’e­ti­ca in senso pro­prio, verso l’e­ti­ca in­di­vi­dua­le e so­cia­le.17

Che cosa si­gni­fi­ca per l’e­ti­ca que­sto am­plia­men­to di ana­li­si da parte di Hus­serl gra­zie al quale si sco­pre una nuova fun­zio­ne della soggettività? Che cosa mo­ti­va il cam­bio di pro­spet­ti­va nella sua ri­fles­sio­ne etica, ov­ve­ro il pas­sa­re da un’a­na­li­si fe­no­me­no­lo­gi­ca co­sti­tu­ti­va del va­lo­re ad una ri­fles­sio­ne sul sog­get­to che va­lo­riz­za e che agi­sce sino a con­ver­tir­si in una ‘fi­lo­so­fia del pre­sen­te’, così come il fe­no­me­no­lo­go stes­so la re­cla­ma alla fine della sua vita? Ten­tia­mo di ri­spon­de­re a que­ste do­man­de ana­liz­zan­do il pen­sie­ro di Hus­serl degli anni venti.18

3. La forza dell’autoresponsabilità

La par­ti­co­la­re e tra­gi­ca con­giun­tu­ra sto­ri­ca pre­sen­te in Ger­ma­nia nel pe­rio­do della prima guer­ra mon­dia­le entra di­ret­ta­men­te a far parte del­l’e­vo­lu­zio­ne del ‘sen­ti­re’ etico da parte di Hus­serl tanto da pro­muo­ve­re una serie di tre le­zio­ni per i sol­da­ti che ri­tor­na­va­no dal campo di bat­ta­glia. La se­con­da è in­ti­to­la­ta: L’or­di­ne etico del mondo come prin­ci­pio crea­to­re del mondo19

Punto di par­ten­za della le­zio­ne è la ormai nota dia­gno­si di Hus­serl in ri­fe­ri­men­to al­l’o­blio della tra­di­zio­ne fi­lo­so­fi­ca a causa del po­si­ti­vi­smo. Que­sta ri­mo­zio­ne della fi­lo­so­fia in fa­vo­re della scien­za esat­ta farà escla­ma­re ad Hus­serl che l’au­to­giu­sti­fi­ca­zio­ne fa­ri­sai­ca della scien­za è quan­to mai inop­por­tu­na senza con­ta­re l’in­giu­sti­fi­ca­ta de­pre­ca­zio­ne da parte della fi­lo­so­fia per parte di co­lo­ro che sono edu­ca­ti alle scien­ze esat­te e ri­go­ro­se del tempo in cui vi­via­mo. Per que­sto anche la stes­sa guer­ra può es­se­re in­te­sa come un tempo di rin­no­va­men­to sin dalla fonte di tutti gli idea­li di forza, che flui­sce verso il po­po­lo stes­so con­ser­van­do­ne tutta la forza sal­va­tri­ce. La ca­rat­te­ri­sti­ca di que­sta forza della fi­lo­so­fia sta nel suo de­ter­mi­na­re il sen­ti­re della vita:

«che può esser de­fi­ni­ta in fun­zio­ne di un fine su­pe­rio­re della vita per­so­na­le».20 Ed è solo que­sta te­leo­lo­gia pro­pria della fi­lo­so­fia, ed in­trin­se­ca nella stes­sa soggettività, che si pre­sen­ta come il fine etico su­pe­rio­re. Si trat­ta per­tan­to di una fi­lo­so­fia (e del sen­ti­re di una nuova me­ta­fi­si­ca) che tra­sfor­ma eti­ca­men­te l’umanità, dove la per­so­na di­vie­ne li­be­ra di agire, li­be­ra nel ‘sa­pe­re’ li­be­ro, fa­cen­te parte di una società a sua volta li­be­ra. Hus­serl non si in­cli­na quin­di verso una cri­ti­ca delle guer­ra ma cri­ti­ca am­pia­men­te la ‘re­to­ri­ca bel­li­ca’ pun­tan­do ad una po­si­zio­ne mo­ra­le uni­ver­sa­li­sti­ca, così come scri­ve­va a In­gar­den nel 1917: «l’e­ti­ca come tale è una forma trans­per­so­na­le […] come la stes­sa lo­gi­ca, tanto che il ma­te­ria­le della no­stra po­si­zio­ne etico-​po­li­ti­ca evi­den­te­men­te non ne è poi tanto di­stan­te».21

Ma già alla fine della guer­ra il mo­ti­vo etico si ra­di­ca­liz­za più verso il ver­san­te della cri­ti­ca alla cul­tu­ra e alle sue di­ver­se ma­ni­fe­sta­zio­ni dove pos­sia­mo com­pren­de­re l’at­ti­tu­di­ne ra­di­ca­le della fe­no­me­no­lo­gia:

come una de­ci­sio­ne che mira ad ele­va­re la vita da un mero fatto di scam­bio e di pro­du­zio­ne, at­ti­tu­di­ne che di­vie­ne una ne­mi­ca mor­ta­le del ca­pi­ta­li­smo e di tutto un modo del tutto egoi­sti­co di ac­cu­mu­la­re dei beni che non hanno a che fare con l’e­le­va­zio­ne mo­ra­le della per­so­na.22

Alla fine co­mun­que la va­lu­ta­zio­ne della guer­ra, da parte di Hus­serl, non po­treb­be es­se­re più ne­ga­ti­va. Il fe­no­me­no­lo­go sot­to­li­nea for­te­men­te come que­sta metta allo sco­per­to un’in­de­scri­vi­bi­le mi­se­ria mo­ra­le, re­li­gio­sa ed in­sie­me fi­lo­so­fi­ca dell’umanità. Tutto que­sto tra­sfor­ma tutti i va­lo­ri:

la scien­za, l’ar­te e tutto ciò che sin ora si po­te­va con­si­de­ra­re un bene spi­ri­tua­le as­so­lu­to, in og­get­to di apo­lo­ge­ti­ca e na­zio­na­li­sta, di mer­ci­fi­ca­zio­ne, […] uno stru­men­to di po­te­re.23 L’ef­fet­to ideo­lo­gi­co di que­sta tra­smu­ta­zio­ne di va­lo­ri è pa­le­se: […] . La fra­seo­lo­gia e le ar­go­men­ta­zio­ni po­li­ti­che, na­zio­na­li­ste e so­cia­li­ste hanno po­te­re sulla massa più delle ar­go­men­ta­zio­ni della ‘sa­pien­za uma­ni­ta­ria’.24

A que­sta cri­ti­ca cor­ri­spon­de per altro, pur­trop­po, l’en­tu­sia­smo per­ce­pi­to da Hus­serl da parte dei gio­va­ni di ri­tor­no della guer­ra verso que­sta stes­sa re­to­ri­ca ed una ma­ni­po­la­zio­ne pro­pa­gan­di­sti­ca degli idea­li fi­lo­so­fi­ci e re­li­gio­si e na­zio­na­li­sti che mi­na­no l’au­to­no­mia del la­vo­ro ac­ca­de­mi­co, che do­vreb­be fon­dar­si in un idea­le di un sa­pe­re fon­da­men­ta­le ed au­ten­ti­co. Con que­ste os­ser­va­zio­ni, quali segno del tempo sto­ri­co vis­su­to, Hus­serl pen­sa­va inol­tre di ini­zia­re il primo di una serie di ar­ti­co­li per la ri­vi­sta giap­po­ne­se The Kaizo’, alla fine però pre­fe­ri­sce ta­ce­re cer­can­do di stac­car­si dalla po­le­mi­ca, sot­to­li­nean­do in altro modo il sen­ti­re tra­gi­co della si­tua­zio­ne.

Hus­serl ini­zia i suoi ar­ti­co­li ap­pel­lan­do­si al rin­no­va­men­to come unica possibilità di fuo­ru­sci­ta dal tra­gi­co e tor­men­ta­to mo­men­to sto­ri­co. La guer­ra che dal 1914 ha de­va­sta­to l’Eu­ro­pa e che dal 1918 non ha fatto che so­sti­tui­re i mezzi di coer­ci­zio­ne mi­li­ta­re con quel­li più raf­fi­na­ti della tor­tu­ra psi­co­lo­gi­ca e del­l’in­di­gen­za eco­no­mi­ca, non meno de­pra­va­ta dal punto di vista mo­ra­le, ha ri­ve­la­to l’in­ti­ma non verità ed in­sen­sa­tez­za di tale cul­tu­ra. Pro­prio que­sta ri­ve­la­zio­ne però fi­ni­sce per im­pe­di­re che essa di­spie­ghi ap­pie­no la sua au­ten­ti­ca forza.25 Non è per­tan­to solo l’eco sto­ri­ca del­l’ac­ca­de­re che mo­ti­va la ri­fles­sio­ne fi­lo­so­fi­ca su di una de­ter­mi­na­ta azio­ne ma la sua in­ter­pre­ta­zio­ne cul­tu­ra­le; in­fat­ti una na­zio­ne, sot­to­li­nea Hus­serl, un’umanità, vive e opera nella pie­nez­za delle forze sol­tan­to se sor­ret­ta nel suo slan­cio da una fede in se stes­sa e nella bel­lez­za e bontà della vita della pro­pria cul­tu­ra.

Ver­reb­be da chie­der­si come sia pos­si­bi­le in verità pen­sa­re al rin­no­va­men­to di fron­te ad una falsità del sen­ti­re, ad una stan­chez­za cul­tu­ra­le così pro­fon­da; e la fi­lo­so­fia che tipo di com­pe­ten­ze avreb­be do­vu­to avere in un mo­men­to sto­ri­co così cupo?

Dia­gno­sti­ca­re la crisi per Hus­serl in­fat­ti non è suf­fi­cien­te bi­so­gna cer­ca­re anche una so­lu­zio­ne. Nei ma­no­scrit­ti sulle le­zio­ni eti­che degli anni venti, Hus­serl si pone que­sto pro­ble­ma ed in­sie­me ana­liz­za anche la dif­fe­ren­za tra mondo dello spi­ri­to e mondo della na­tu­ra.26 La di­stin­zio­ne tra le due dif­fe­ren­ti ‘re­gio­ni’, ri­guar­dan­ti am­be­due in ef­fet­ti il ‘mondo della vita’, per­met­te di ca­rat­te­riz­za­re in ma­nie­ra ri­go­ro­sa (in op­po­si­zio­ne al mero prin­ci­pio di causalità), il sen­ti­re pro­fon­do della mo­ti­va­zio­ne quale perno per il regno uni­ver­sa­le dei fini che non è altro che lo stes­so ‘mondo della vita’ nel quale ri­co­no­scia­mo la soggettività nel suo es­se­re at­ti­va da un punto di vista della comunità.27 Da qui i va­lo­ri po­si­ti­vi si vanno de­ter­mi­nan­do a par­ti­re dal­l’au­to­co­scien­za, nella quale si ma­ni­fe­sta la possibilità in­fi­ni­ta del­l’es­se­re umano non solo come in­di­vi­duo ma come mem­bro di un’unità cul­tu­ra­le, dato che in essa si obiet­ti­va l’unità della vita at­ti­va, della quale l’umanità di un’e­po­ca e di una na­zio­ne ne di­vie­ne una sorta di sog­get­to. Per Hus­serl la mo­ti­va­zio­ne mo­ra­le ul­ti­ma, la quale ac­cor­da al sen­ti­men­to un’autoresponsabilità ra­di­ca­le, forma parte della fe­no­me­no­lo­gia stes­sa che si in­scri­ve in un par­ti­co­la­re sen­ti­re cul­tu­ra­le, da­van­ti al quale il fi­lo­so­fo non può re­sta­re in­dif­fe­ren­te sin tanto che vuole au­to­com­pren­der­si come ‘fun­zio­na­rio dell’umanità’.28

4. Fi­lo­so­fia ed etica in­di­vi­dua­le

Ma che cosa in­ten­de Hus­serl con l’uso della pa­ro­la cul­tu­ra o me­glio di ‘unità cul­tu­ra­le’?

Per cul­tu­ra — scri­ve nel 1923 — non in­ten­do nien­t’al­tro che l’in­sie­me delle azio­ni e ope­ra­zio­ni messe in atto da uo­mi­ni ac­co­mu­na­ti nelle loro con­ti­nue attività, ope­ra­zio­ni che esi­sto­no e per­du­ra­no spi­ri­tual­men­te nell’unità della co­scien­za della comunità e della sua tra­di­zio­ne man­te­nu­ta sem­pre viva.29

La cul­tu­ra quin­di, che si espri­me anche nel­l’e­spres­sio­ne fat­ti­va della creatività del sin­go­lo, e che può sem­pre di nuovo es­se­re fonte di ispi­ra­zio­ne frui­ti­vo-​crea­ti­va, dando così senso ad una continuità sto­ri­ca del farsi della cul­tu­ra stes­sa, tra­scen­de la singolarità nella comunità pur crean­do della comunità un’unità di mem­bri le­ga­ti tra loro, in­trec­cia­ti da atti so­cia­li com­ples­si, che uni­sco­no spi­ri­tual­men­te una per­so­na al­l’al­tra. In que­st’am­bi­to ap­pa­re chia­ro che l’e­ti­ca in­di­vi­dua­le trova il suo senso in un’e­ti­ca so­cia­le; così come l’in­vo­ca­to ‘rin­no­va­men­to’ del­l’uo­mo si rea­liz­za nel con­si­de­ra­re l’in­di­vi­duo come parte in­te­gran­te dell’umanità che di­vie­ne così il tema cen­tra­le del­l’e­ti­ca stes­sa.

Que­sta con­ce­zio­ne del­l’e­ti­ca si­gni­fi­ca che la fi­lo­so­fia mo­ra­le può es­ser­ne solo una parte; men­tre la mo­ra­le re­go­la il com­por­ta­men­to pra­ti­co, buono, ra­zio­na­le, del­l’uo­mo in re­la­zio­ne al­l’al­tro, l’e­ti­ca deve es­se­re con­ce­pi­ta ne­ces­sa­ria­men­te come la scien­za della vita at­ti­va, to­ta­le, della soggettività ra­zio­na­le, dal punto di vista della ra­gio­ne, di­ri­gen­do uni­ta­ria­men­te vita e totalità; per­tan­to il ti­to­lo di ra­gio­ne deve, per Hus­serl, com­pren­de­re un sen­ti­re ge­ne­ra­le, di con­se­guen­za: «la vita at­ti­va di una comunità di un’in­te­ra comunità — quand’an­che non fosse com­par­sa nes­su­na realtà sto­ri­ca — può as­su­me­re la forma uni­ta­ria della ra­gio­ne pra­ti­ca, la forma di una vita etica»30

Per spe­ci­fi­ca­re mag­gior­men­te e qua­li­fi­ca­re que­sto suo sen­ti­re etico Hus­serl, nel terzo dei suoi ar­ti­co­li per il The Kaizo, si pone il pro­ble­ma, forse più im­por­tan­te del­l’in­te­ra ri­fles­sio­ne, ov­ve­ro: che cosa in­ten­dia­mo quan­do par­lia­mo di sog­get­to in­te­so come ‘per­so­na li­be­ra’? Il punto di par­ten­za per una così com­ples­sa ma es­sen­zia­le ana­li­si è la facoltà del­l’es­se­re umano, che ap­par­tie­ne alla sua stes­sa es­sen­za, di avere un’au­to­co­scien­za, ov­ve­ro un sen­ti­re pre­ci­so del­l’in­tro­spe­zio­ne (in­spec­tio sui) e della facoltà di pren­de­re po­si­zio­ne e di agire; atti per­so­na­li che si ri­fe­ri­sco­no ri­fles­si­va­men­te alla pro­pria vita e a se stes­si; per­tan­to sem­bra chia­ro che l’es­sen­za stes­sa del­l’uo­mo si in­cen­tri sulle capacità di rap­pre­sen­ta­zio­ne, pen­sie­ro e di av­va­lo­ra­men­to, in quan­to atti sin­go­la­ri e va­lu­ta­zio­ne dei pro­pri atti, mo­ti­va­zio­ni e scopi, pos­si­bi­li o reali che siano. L’es­se­re umano può quin­di pas­sa­re da una di­men­sio­ne par­ti­co­la­re ad un’u­ni­ver­sa­le, dalla forma del­l’as­so­lu­to a quel­la del ge­ne­ra­le; egli può far pre­ce­de­re ad ogni attività una va­lu­ta­zio­ne e una libertà di scel­ta che nes­sun altro es­se­re può eser­ci­ta­re. Di più, l’uo­mo ha la facoltà di ini­bi­re gli ef­fet­ti delle pro­prie pul­sio­ni e delle af­fe­zio­ni ‘pas­si­ve’, di met­ter­le in que­stio­ne, di esa­mi­nar­le; esso di­vie­ne così, in senso pre­gnan­te, sog­get­to di volontà che non segue il corso degli even­ti ma pren­de da sé (e su di sé) le pro­prie de­ci­sio­ni.

Una li­be­ra volontà che per Hus­serl si eleva nel mo­men­to che il sog­get­to può far va­le­re que­sta possibilità nel con­fron­to tra altri atti li­be­ri, dove porre una po­si­zio­ne cri­ti­ca ed esa­mi­na­re l’in­te­ra que­stio­ne ri­con­fer­man­do un’e­ven­tua­le presa di po­si­zio­ne, op­pu­re ri­fiu­tan­do­la, e que­sto in un pos­si­bi­le con­ti­nuo Immer wie­der che mi per­met­te di li­be­rar­mi da ca­te­ne cau­sa­li ne­ga­ti­ve e di ‘ri-​co­min­cia­re’ ogni volta alla luce della ra­gio­ne. Non posso re­vo­ca­re l’e­ven­to gia ac­ca­du­to ma posso nel corso ul­te­rio­re della vita, a se­con­da dei casi, re­vo­ca­re, ri­ve­de­re, ri­va­lu­ta­re, i miei atti di volontà.31

Al­l’es­sen­za della vita umana ap­par­tie­ne inol­tre lo svol­ger­si co­stan­te­men­te nella forma del­l’a­spi­ra­zio­ne: «e alla fine que­sta as­su­me la forma del­l’a­spi­ra­zio­ne po­si­ti­va e che perciò è ab­bi­na­ta al con­se­gui­men­to dei va­lo­ri po­si­ti­vi».32 Que­sta ‘ten­den­za’ (Stre­ben), che Hus­serl sem­bra ri­pren­de­re dal pen­sie­ro fi­ch­tia­no, è la ti­pi­ca te­leo­lo­gia dell’intenzionalità, che alla fine non è altro se non la ra­gio­ne stes­sa, nella quale l’au­to­re­go­la­zio­ne del sog­get­to trova la sua ge­ne­si pre-​ri­fles­si­va e il suo pieno si­gni­fi­ca­to come responsabilità per­so­na­le e so­cia­le. Que­sta ca­rat­te­ri­sti­ca del­l’uo­mo, con­qui­sta­ta con la de­scri­zio­ne fe­no­me­no­lo­gi­ca, a par­ti­re dal con­cet­to di in­spec­tio sui, può es­se­re am­plia­ta sia in ri­fe­ri­men­to al­l’au­to-​ri­fles­sio­ne, il che si­gni­fi­ca ‘auto-​referenzialità’ come strut­tu­ra for­ma­le del sog­get­to, che all’attività li­be­ra come prin­ci­pio per­so­na­le oltreché alla ten­den­za come sua di­na­mi­ca ma­te­ria­le e in­fi­ne alla razionalità come Telos’ uni­ver­sa­le; tutte que­ste ca­rat­te­ri­sti­che co­niu­gan­do­si co­sti­tui­sco­no, se­con­do Hus­serl, le com­pe­ten­ze eti­che del sog­get­to.

Da­van­ti ad un’e­ti­ca del pia­ce­re, della ten­den­za ma­te­ria­le, si op­po­ne un’e­ti­ca della ra­gio­ne, in­di­pen­den­te da tutte le ten­den­ze ma­te­ria­li; l’uo­mo può così li­be­rar­si da de­ter­mi­na­zio­ni ete­ro­no­me per poter ‘auto-​de­ter­mi­nar­si’ al fine di evol­ver­si po­si­ti­va­men­te. Que­sta capacità etica la si com­pren­de poi come ‘auto- mo­ti­va­zio­ne’, la quale a sua volta si re­la­zio­na con la ra­gio­ne pra­ti­ca. Una re­la­zio­ne che co­sti­tui­sce la possibilità di as­su­me­re l’im­pe­ra­ti­vo ca­te­go­ri­co di ‘es­se­re un uomo au­ten­ti­co’, nel senso di com­pie­re il ‘me­glio pos­si­bi­le’, di vi­ve­re una vita della quale si possa es­se­re sem­pre auto-​re­spon­sa­bi­li; una vita alla luce della ra­gio­ne pra­ti­ca il che si­gni­fi­ca ‘vo­le­re il mio do­ve­re’.33

In que­sta forma pos­sia­mo ar­gui­re che il primo suc­ces­so della fe­no­me­no­lo­gia, nello spo­sta­re la ri­fles­sio­ne sul modo di darsi dei va­lo­ri e degli atti della volontà al sog­get­to della va­lo­riz­za­zio­ne e del­l’a­zio­ne, con­si­ste nel ri­scat­to della per­so­na mo­ra­le, della sua at­ti­tu­di­ne etica, nel suo es­se­re ‘buona mo­ral­men­te’. Ri­ma­ne però da ri­sol­ve­re la que­stio­ne del­l’e­ti­ca in­di­vi­dua­le che deve es­se­re in fondo un’e­ti­ca so­cia­le e cul­tu­ra­le, quale la­vo­ro co­mu­ne che si co­sti­tui­sce in una forza cul­tu­ra­le, che in­ci­de alla fine nel par­ti­co­la­re stes­so. A tal fine è ne­ces­sa­rio, prima di tutto, ri­co­no­sce­re il si­gni­fi­ca­to del­l’ap­par­te­nen­za di cia­scun uomo a una società, dato che ogni cir­co­stan­za della sua vita, in­ter­gra­ta in una vita co­mu­ni­ta­ria, ha una sua con­se­guen­za, con­se­guen­za che de­ter­mi­na così prin­ci­pal­men­te il suo com­por­ta­men­to etico, che lo ca­rat­te­riz­za for­mal­men­te. In ef­fet­ti il fatto di ap­par­te­ne­re ad una società, non solo mi per­met­te di va­lu­ta­re gli altri come fa­cen­ti parte del mio ‘mondo della vita’, por­ta­to­ri di un va­lo­re par­ti­co­la­re ri­co­no­sciu­to so­cial­men­te, un va­lo­re in sé che nulla ha a che fare con l’u­ti­le, un puro in­te­res­se etico, ma in­sie­me come va­lo­re in ri­fe­ri­men­to alla società stes­sa, per que­sto la mia volontà etica deve es­se­re di­ret­ta nel fare il pos­si­bi­le perché si rea­liz­zi­no i beni veri, au­ten­ti­ci, in ogni cir­co­stan­za e nel­l’in­te­ra vita in un ef­fet­ti­vo im­pe­gno di volontà etica. Con­se­guen­te­men­te do­vreb­be es­se­re pro­prio della mia esi­sten­za non solo lo sfor­zar­mi per es­se­re più buono ma ar­ri­va­re a de­si­de­ra­re che anche l’al­tro lo sia per far sì che in modo con­cor­de si possa con­for­ma­re una società buona.

Que­sto im­pli­ca però che nella vita so­cia­le si pre­sen­ti­no, come del resto suc­ce­de, dei con­flit­ti; con­flit­ti che Hus­serl crede di poter scio­glie­re tra­mi­te un mutuo in­ten­di­men­to etico che per­met­ta so­lu­zio­ni ‘mi­glio­ri pos­si­bi­li’; e ciò nel co­sti­tuir­si, alla luce di un tale in­ten­di­men­to, di un’or­ga­niz­za­zio­ne etica della vita at­ti­va, nella quale le per­so­ne siano una di fron­te al­l’al­tra, in con­ti­nuo rap­por­to, sino a poter par­la­re di una ‘comunità della volontà’ che abbia un mutuo co­mu­ne in­ten­di­men­to vo­lon­ta­rio. Per giun­ge­re alla con­for­ma­zio­ne di que­sta comunità dob­bia­mo sì pen­sa­re al­l’im­por­tan­za del punto di vista per­so­na­le, ma evi­ta­re una ri­stret­tez­za che non per­met­te­reb­be di pro­cu­ra­re che i va­lo­ri della società siano un obiet­ti­vo co­mu­ne di co­lo­ro che la for­ma­no.

In ef­fet­ti l’ap­par­te­ne­re ad una società non solo mi per­met­te di ap­prez­za­re l’al­tro come parte in­te­gran­te della mia stes­sa Le­ben­swelt’ (for­ni­to quin­di di un par­ti­co­la­re va­lo­re), ma anche come, in­sie­me a me, fa­cen­te parte dello stes­so va­lo­re so­cia­le li­be­ro da ogni uti­li­ta­ri­smo, va­li­do quin­di come ‘va­lo­re in sé’; per que­sto è im­por­tan­te per me che anche l’al­tro rea­liz­zi la sua vita il più cor­ret­ta­men­te pos­si­bi­le con un forte im­pe­gno di volontà etica.34

A que­sto punto l’in­te­ro li­vel­lo di va­lo­re dato dal sin­go­lo di­pen­de da quel­lo della comunità e cor­re­la­ti­va­men­te la stes­sa comunità ha un va­lo­re che, pure es­sen­do mu­te­vo­le, ed even­tual­men­te ac­cre­sci­bi­le in virtù della mu­te­vo­lez­za e del­l’ac­cre­sci­men­to del va­lo­re del sin­go­lo, via via ac­cre­scen­do­si dei sin­go­li do­ta­ti di va­lo­re, abbia

un va­lo­re come unità di una comunità di cul­tu­ra e come am­bi­to di va­lo­ri fon­da­ti che non si ri­sol­vo­no nei sin­go­li va­lo­ri, ma sono fon­da­ti dal la­vo­ro dei sin­go­li, in tutti i va­lo­ri le­ga­ti alla loro singolarità e a que­sti con­fe­ri­sca­no un va­lo­re più ele­va­to, anzi in­com­pa­ra­bil­men­te più ele­va­to.35

La re­la­zio­ne di fon­da­zio­ne è così com­ple­ta. Il fon­da­to si co­sti­tui­sce a par­ti­re dal­l’at­to del quale è fon­da­men­to, e la nuova realtà fon­da­ta non è sem­pli­ce­men­te un ri­sul­ta­to ad­di­zio­na­le, som­ma­to­rio, di una serie di at­ti­tu­di­ni va­lo­ri o azio­ni. La società ac­qui­si­sce un sen­ti­re nuovo ed espli­ci­ta­men­te di­stin­to dal mero in­te­grar­si e con­for­mar­si alla re­go­la. L’im­por­tan­te si­gni­fi­ca­to che qui si vuole sot­to­li­nea­re è che la società non è sem­pli­ce­men­te un in­sie­me di sin­go­li in­di­vi­dui (così come la vita e l’a­gi­re co­mu­ni non sono un mero col­let­ti­vo di vite e di azio­ni in­di­vi­dua­li), ma ogni sin­go­lo es­se­re, ogni sin­go­la vita, sono ‘at­tra­ver­sa­ti’ da un’unità di vita. Seb­be­ne que­sta stes­sa unità ri­man­ga fon­da­ta sulla sin­go­la vita, tra­scen­den­do il mondo cir­co­stan­te di ognu­no di noi, e co­sti­tuen­do­si in re­la­zio­ne co­stan­te con que­sto stes­so mondo, la società emer­ge quin­di come re­la­zio­ne. Resta per­tan­to chia­ro lo spe­ci­fi­co di una società fon­da­ta nel modo d’es­se­re di dif­fe­ren­ti per­so­ne, nei loro pro­get­ti e nelle loro at­ti­tu­di­ni; ed anche il modo di es­se­re della comunità, come co­sti­tui­ta e fon­da­ta a par­ti­re dalle per­so­ne stes­se, in­flui­sce a sua volta sul sin­go­lo, e ciò ca­rat­te­riz­za il senso del­l’ap­par­te­nen­za so­cia­le. Si apre così una re­la­zio­ne biu­ni­vo­ca tra il sin­go­lo, eti­ca­men­te orien­ta­to e la comunità stes­sa, che orien­tan­do­si eti­ca­men­te su se stes­sa, in quan­to comunità etica, si orien­ta sul sin­go­lo che ne è parte in­te­gran­te. Inol­tre è es­sen­zia­le che tutte que­ste ri­fles­sio­ni si ‘so­cia­liz­zi­no’, che pro­du­ca­no dei ‘mo­vi­men­ti so­cia­li’ e che mo­ti­vi e azio­ni so­cia­li, cor­ri­spon­den­ti al com­pro­mes­so etico degli as­so­cia­ti, siano orien­ta­ti alla con­for­ma­zio­ne e rin­no­va­men­to della società au­ten­ti­ca­men­te etica co­sti­tui­ta perché «una di­re­zio­ne della volontà che è tale in quan­to pro­pria della comunità stes­sa, e non è mera somma delle volontà dei sin­go­li che la fon­da­no».36

In que­sto com­ples­so in­trec­cio re­la­zio­na­le si in­se­ri­sce così quel rin­no­va­men­to etico in­di­vi­dua­le, in­sie­me a quel­lo cul­tu­ra­le, fon­dan­te­si sulla per­so­na. In que­sto modo via via pro­gre­di­sce sia lo svi­lup­po cul­tu­ra­le della società come di chi la com­po­ne. Il si­gni­fi­ca­to etico della comunità in­flui­sce in modo so­stan­zia­le nel com­por­ta­men­to del­l’in­di­vi­duo, perciò l’eticità di un po­po­lo deve es­se­re pre­oc­cu­pa­zio­ne della per­so­na se que­sta nel suo pro­prio com­por­ta­men­to tiene ad una certa autenticità. Si trat­ta in­fat­ti, come ab­bia­mo visto, di de­scri­ve­re come una società passi dal­l’es­se­re una ‘mera comunità di vita’ per con­ver­tir­si in una ‘comunità di per­so­ne’, è per­tan­to ne­ces­sa­rio che la per­so­na non solo abbia at­ti­tu­di­ne etica ma che si dia in essa un’i­dea della necessità di una cul­tu­ra eti­ca­men­te co­sti­tui­ta.

A par­ti­re da que­sta intenzionalità fon­da­zio­na­le della società etica si ha il com­pi­to for­ma­le di rin­no­va­men­to della comunità verso l’i­dea di un au­ten­ti­ca umanità giu­sta ed equa ra­zio­nal­men­te nei di­ver­si am­bi­ti della vita. La scien­za so­cia­le come forma cul­tu­ra­le deve es­se­re quin­di in­ti­ma­men­te re­la­zio­na­ta con la fi­lo­so­fia quale or­ga­no di ri­fles­sio­ne pro­po­sto al de­sti­no etico di una società.

L’at­teg­gia­men­to da as­su­me­re al fine di ot­te­ne­re que­sta società e cul­tu­ra etica passa at­tra­ver­so la me­dia­zio­ne del­l’e­du­ca­zio­ne. La con­so­li­da­zio­ne di una cul­tu­ra etica in un po­po­lo porta a con­fron­ta­re una comunità che si iden­ti­fi­chi con l’i­dea di ra­gio­ne e con va­lo­riz­za­zio­ni ad essa cor­ri­spon­den­ti. Deve quin­di es­ser­ci co­scien­za di scopi co­mu­ni, del pa­tri­mo­nio co­mu­ne da in­cre­men­ta­re di una volontà to­ta­le della quale tutti si sanno ‘li­be­ri’ fun­zio­na­ri. In una nota al se­con­do ar­ti­co­lo per il The Kaizo’ Hus­serl scri­ve: «Vi è un le­ga­me uni­ver­sa­le di volontà che pro­du­co­no l’unità della volontà, senza che vi sia un’or­ga­niz­za­zio­ne im­pe­ria­li­sta» ed in nota alla pa­gi­na ag­giun­ge: «Qui po­trem­mo par­la­re anche di una unità co­mu­ni­sta della volontà in op­po­si­zio­ne ad una im­pe­ria­li­sta».37 Più avan­ti egli chiarirà l’uso di que­sti ter­mi­ni, che sono in verità estra­nei alla ter­mi­no­lo­gia hus­ser­lia­na, ri­fe­ren­do­si all’autorità del fi­lo­so­fo al­l’in­ter­no della cul­tu­ra an­ti­ca. Se la comunità fi­lo­so­fi­ca era per così dire co­mu­ni­sta ciò non si­gni­fi­ca che l’i­dea di co­mu­ni­sta fosse ma­neg­gia­ta per una par­ti­co­la­re volontà so­cia­le in­glo­ban­te, ma bensì al­lo­ra si in­ten­de­va la comunità cor­ri­spon­den­te dei sa­cer­do­ti o dei fi­lo­so­fi do­mi­na­ti da una volontà uni­ta­ria.38

5. Ri­ca­pi­to­lan­do

Alla fine la pro­po­sta di Hus­serl sem­bra es­se­re per­tan­to una società fon­da­ta e gui­da­ta, per l’i­dea di fi­lo­so­fia e per il senso delle te­leo­lo­gia e del­l’e­ti­ca, dalla responsabilità. In que­sto tipo di società non solo si pro­teg­ge la libertà della per­so­na, ma la si ar­ric­chi­sce gra­zie al ca­rat­te­re etico della società stes­sa nella quale si pro­muo­vo­no i va­lo­ri di una cul­tu­ra ogni volta più umana. Que­sto è il si­gni­fi­ca­to pieno della cul­tu­ra fi­lo­so­fi­ca di una comunità in con­ti­nuo pro­gres­so dove si svi­lup­pa uno spi­ri­to etico co­mu­ne che dà vi­go­re al­l’i­dea etica di comunità e al ca­rat­te­re di un’i­dea te­leo­lo­gi­ca di co­mu­ni­ta­ria. Que­sta forma di ar­go­men­ta­zio­ne si orien­ta dun­que a mo­stra­re come il patto etico del sog­get­to, fon­da­to sulla au­to­ri­fles­sio­ne, è proprietà in­trin­se­ca dell’intenzionalità quale responsabilità, capacità di au­to­no­mia e di au­to­de­ter­mi­na­zio­ne per ‘un im­pe­ra­ti­vo ca­te­go­ri­co’ del ra­gio­nan­te. Per Hus­serl non sem­bra pos­si­bi­le se­pa­ra­re autoresponsabilità e responsabilità sto­ri­ca e cul­tu­ra­le, per ciò la possibilità del sin­go­lo di es­se­re re­spon­sa­bi­le dei fini dell’umanità schiu­de l’o­riz­zon­te del sin­go­lo di­ret­ta­men­te verso un com­pi­to sto­ri­co in re­la­zio­ne con la cul­tu­ra del ‘suo pro­prio po­po­lo’ che è in per­so­na­le re­la­zio­ne con l’al­tro. Que­sto aspet­to della ri­fles­sio­ne si ac­cen­tua molto chia­ra­men­te in un testo del 1924, dove il fe­no­me­no­lo­go lo ri­pe­te e lo chia­ri­sce, così scri­ve:

Io posso as­su­me­re e ri­cer­ca­re un de­sti­no so­cia­le e lo posso com­pie­re in di­ver­si modi, per que­sto de­sti­no io sono re­spon­sa­bi­le. Come la comunità, da un lato, non è una mera ‘se­rie’ di in­di­vi­dui che si rag­grup­pa­no in­sie­me, ma al con­tra­rio una uni­fi­ca­zio­ne di que­sti in­di­vi­dui per opera dell’intenzionalità in­ter­per­so­na­le, un’unità fon­da­ta gra­zie alla vita, al­l’a­zio­ne so­cia­le, di uno nei con­fron­ti del­l’al­tro, così come anche di uno con­tro l’al­tro, allo stes­so modo l’autoresponsabilità, la volontà di autoresponsabilità, la ri­fles­sio­ne ra­zio­na­le del senso e delle vie pos­si­bi­li di que­sta autoresponsabilità, per una comunità, non è una mera somma di varie autoresponsabilità […], ma al con­tra­rio di nuovo una uni­fi­ca­zio­ne che tiene uniti in­ten­zio­nal­men­te, una con l’al­tra, l’autoresponsabilità in­di­vi­dua­le e fonda tra que­ste un’unità in­ter­na.39

La ci­ta­zio­ne ap­par­tie­ne al testo che tanto impressionerà Ha­ber­mas nel mo­men­to di pro­por­re la tra­sfor­ma­zio­ne del suo ini­zia­le mo­del­lo fi­lo­so­fi­co; ov­ve­ro dalla fi­lo­so­fia della co­scien­za alla teo­ria del­l’a­zio­ne co­mu­ni­ca­ti­va, a par­ti­re dal­l’a­na­li­si del ‘mondo della vita’ e dell’intersoggettività in Hus­serl.

Hus­serl — scri­ve Ha­ber­mas — con­clu­de la sua ri­fles­sio­ne guar­dan­do alla vita in­ten­zio­na­le come in con­ti­nua uni­ver­sa­le re­la­zio­ne con la verità, […] verso l’e­si­gen­za pre­ge­vo­le di una autoresponsabilità as­so­lu­ta dell’umanità so­cia­liz­za­ta; Hus­serl non du­bi­ta nel de­si­gna­re que­sta pro­ble­ma­ti­ca come etica e pro­po­ne uno svi­lup­po ra­zio­na­le di que­sta te­ma­ti­ca.40

Di fatto la stes­sa intenzionalità, in­te­sa come ten­den­za verso la ra­gio­ne e verso la verità, che si dà nella sua ‘strut­tu­ra te­leo­lo­gi­ca uni­ver­sa­le’, è la stes­sa ra­gio­ne pra­ti­ca. Ri­ma­ne però aper­ta la do­man­da di come si dia nella soggettività il fe­no­me­no stes­so dell’intersoggettività, a par­ti­re dal quale ap­pun­to si apre e si co­sti­tui­sce ori­gi­na­ria­men­te la ‘re­gio­ne’ del­l’e­ti­co, come Hus­serl scri­ve sem­pre nel 1924:

La do­man­da è — par­lan­do ideal­men­te-​ come può una pluralità di per­so­ne […] in una pos­si­bi­le re­la­zio­ne di com­pren­sio­ne, op­pu­re at­tra­ver­so re­la­zio­ni per­so­na­li, uniti tra loro in collettività, rea­liz­zar­si in una vita di as­so­lu­ta responsabilità e con­dur­re tale vita co­mu­ni­ta­ria, fatta di una comunità di volontà, di­ri­gen­do­si verso que­sta responsabilità; […] una tale pre­mes­sa ci con­du­ce verso la necessità di ri­cer­ca­re l’o­ri­gi­ne di que­sta idea, ov­ve­ro di un’i­dea di scien­za cri­ti­ca ed idea­le che si ori­gi­ni in ogni per­so­na in­sie­me al com­pi­to di con­for­mar­si al­l’i­dea te­leo­lo­gi­ca di comunità.41


  1. J. Russ, L’e­ti­ca con­tem­po­ra­nea, Il Mu­li­no, Bo­lo­gna 1997, p. 99. ↩︎
  2. I. Kant, Pre­fa­zio­ne alla Fon­da­zio­ne della me­ta­fi­si­ca dei co­stu­mi (1785), La­ter­za, Bari, 1993. ↩︎
  3. J. Ha­ber­mas, Etica del di­scor­so, La­ter­za, Roma 2004, J. Rawls, La giu­sti­zia come equità. Saggi (1951-1969), Li­guo­ri, Na­po­li 1995, H. Jonas, La fi­lo­so­fia alle so­glie del Due­mi­la. Una dia­gno­si e una pro­gno­si, Il Nuovo Me­lan­go­lo, Bo­lo­gna 1994. ↩︎
  4. E. Hus­serl, An den Präsidenten der In­ter­na­tio­na­len Phi­lo­so­phen-​Kon­gres­ses in Aufsätz und Vorträge (1922-1937), Klu­wer Acad. Publ., Dor­dre­cht 1989, Hua XXVII, p. 240. ↩︎
  5. Il testo del 1934, in verità non è molto di­ver­so dal­l’ar­ti­co­lo ap­par­so sulla ri­vi­sta Logos del 1911, in­ti­to­la­to La fi­lo­so­fia come scien­za ri­go­ro­sa’, dove Hus­serl si ri­fe­ri­va, molto po­le­mi­ca­men­te, alla dif­fe­ren­za tra la fi­lo­so­fia in­te­sa quale scien­za ri­go­ro­sa e la pre­te­sa vi­so­ne d’in­sie­me della ‘mera scien­za’; tutto que­sto ri­guar­da il de­sti­no stes­so della per­so­na, quale di­ver­so senso dell’umanità e della sto­ria nel senso di un di­ver­so com­pi­to della cul­tu­ra e con: “la possibilità di una rea­liz­za­zio­ne con­ti­nua­men­te pro­gres­si­va del­l’i­dea di eternità dell’umanità ”, in Aufsätz und Vorträge (1911-1921), M. Ni­j­hoff, Den Haag 1986, Hua XXV, p. 116. ↩︎
  6. E. Hus­serl, Die Kri­sis der Europäischen Wis­sen­schaft­ten und die traszen­den­ta­le Phänomenologischen Re­duk­tion, M. Ni­j­hoff, Den Haag 1959, Hua VI, p. 100. ↩︎
  7. E. Hus­serl, Ein­lei­tung in die Ethik. Vor­le­sun­gen Som­mer­se­me­ster 1920 und 1924. Klu­wer Acad. Publ., Dor­dre­cht 2004, Hua XX­X­VII. ↩︎
  8. E. Hus­serl, Vor­le­sun­gen über Ethik und Wer­tleh­re. (1908-1914), Klu­wer Acad. Publ., Den Haag 1988 Hua XX­VIII, p. 29. ↩︎
  9. E. Hus­serl, Aufsätze und Vorträge (1922-1937), Klu­wer Acad. Publ., Den Haag 1989.Hua XXVII. ↩︎
  10. U. Melle, Ein­lei­tug des He­rau­sge­ber, in Hua XX­VIII, op.cit., p. XX. ↩︎
  11. E. Hus­serl, Hua XX­VIII, op. cit., pp. 390-391. ↩︎
  12. E. Hus­serl, Phänomenologische Aufklärung del Dop­pel­sei­ti­g­keit der For­ma­len Logik als For­ma­len Apo­phan­tik und For­ma­ler On­to­lo­gie in For­ma­le und Transzen­den­ta­le Logik, M. Ni­j­hoff, Den Haag, 1974, Hua XVII, op. cit., p. 100 e sgg. ↩︎
  13. M. Sche­ler, Il For­ma­li­smo nel­l’e­ti­ca e l’e­ti­ca ma­te­ria­le dei va­lo­ri, Fra­tel­li Bocca, Mi­la­no, 1944. ↩︎
  14. E. Hus­serl, Hua XX­VIII,op. cit., p. 140. ↩︎
  15. Idem, p. 145 e sgg. ↩︎
  16. Idem, p. 149. ↩︎
  17. Idem, pp. 154-155. ↩︎
  18. Così Hus­serl scri­ve nel 1934: «Chie­dia­mo­ci la fi­lo­so­fia del pre­sen­te, è totalità che, come suc­ce­de con la scien­za po­si­ti­va, col­le­ga tutta la sua ana­li­si in un’unità gra­zie alla sua stes­sa finalità alla cui in­ve­sti­ga­zio­ne, in­te­sa come un pro­gres­so in­fi­ni­to col­la­bo­ra­no tutti i suoi ri­cer­ca­to­ri? C’è nella fi­lo­so­fia un me­to­do uni­ta­rio, un si­ste­ma cre­scen­te di dot­tri­ne, che si uni­fi­chi tutta la teo­ria? Sono tutti i ri­cer­ca­to­ri uniti sotto la stes­sa mo­ti­va­zio­ne, verso la ri­cer­ca in ri­fe­ri­men­to ad un unico fon­da­men­ta­le pro­ble­ma?» in Hua XXVII, op. cit., p. 184. Si veda anche il mio I. A. Bian­chi, Etica hus­ser­lia­na, Fran­coAn­ge­li, Mi­la­no 1999. ↩︎
  19. E. Hus­serl, in Hua XXV, op. cit., p. 267 e sgg. ↩︎
  20. Idem p. 271. ↩︎
  21. E. Hus­serl, Brie­fe an Roman In­gar­den, a cura di R. In­gar­den, M. Ni­j­hoff, Den Haag, 1968, p. XXXI,. ↩︎
  22. Così scri­ve Hus­serl ad Arnod Me­tz­ger; in Brie­fe, op. cit., p. XXX. ↩︎
  23. E. Hus­serl, Bei­la­ge X, Hua XXVII, op. cit., p. 122. ↩︎
  24. Idem, p. 117. ↩︎
  25. E. Hus­serl, Fünf Aufsätze über Erin­ne­rung, Hua XXVII, op. cit., p. 3. ↩︎
  26. Cfr. I. A. Bian­chi, Etica hus­ser­lia­na, op. cit., pp 163-175. ↩︎
  27. E. Hus­serl, Natur und Geist, Klu­wer Acad. Pub., Dor­dre­cht 2001, Hua XXXII ed anche Natur und Geist. Vor­le­sun­gen Som­mer­se­me­ster 1919, Klu­wer Acad. Pub., Dor­de­re­cht 2002, Hus­ser­lia­na Ma­te­ria­lien Bd IV. ↩︎
  28. Guil­ler­mo Hoyo Vásquez, Intentionalität als Ve­rant­vor­tung. Ge­schi­ch­tste­leo­lo­gie und Te­leo­lo­gie der Intentionalität bei Hus­serl., M. Ni­j­hoff, Den Haag, 1975, Phä 67. ↩︎
  29. E. Hus­serl, Er­neue­rung als in­di­vi­dua­le­thi­sches Pro­blem, in Hua XXVII, op, cit., p. 21. ↩︎
  30. Idem, p. 20. ↩︎
  31. In ri­fe­ri­men­to anche I. A. Bian­chi, Au­to­co­scien­za e libertà: le tesi hus­ser­lia­ne sulla per­so­na quali fon­da­men­to del­l’a­gi­re etico, in Etica e per­so­na, Atti con­ve­gno, Ve­ro­na, apri­le 2003, Fran­coAn­ge­li Mi­la­no 2004, (pp.111-133). ↩︎
  32. E. Hus­serl, Er­neue­rung als in­di­vi­dua­le­thi­sches Pro­blem, Hua XXVII, op. cit., p. 25. ↩︎
  33. Idem, p. 36. ↩︎
  34. Ibi­dem. ↩︎
  35. Idem, p. 48. ↩︎
  36. Idem, p. 49. ↩︎
  37. Idem, p. 53 in nota. ↩︎
  38. E. Hus­serl, Die Ent­wic­klung der phi­lo­so­phi­schen Kulturgestät’ in Hua XXVII, op. cit., p. 90. ↩︎
  39. E. Hus­serl, Me­di­ta­tion über die Idee eines In­di­vi­duel­len und Ge­mein­schaf­tsle­bens in Ab­so­lu­ter Selbst­ve­rant­wor­tung, in Erste Phi­lo­sphie (1923/1924), M. Ni­j­hoff, Den Haag 1949, Hua VIII, pp. 197-198. ↩︎
  40. J. Ha­ber­mas, Vor­stu­dien und Ergänzungen zur Theo­rie des kom­mu­ni­ka­ti­ves Han­delns. Suhr­kamp, Frank­furt a. M. 1984, p. 44. ↩︎
  41. E. Hus­serl, Hua VIII, op.cit., p. 199. ↩︎

Bagagli eterogenei e costellazioni familiari Hellinger. Attenzione alla professionalità

La domanda che spesso mi viene fatta spesso dai miei clienti, riguarda UN TEMA PER ME’ MOLTO IMPORTANTE ovvero il proliferare, soprattutto in rete, di persone che dichiarano di occuparsi di costellazioni familiari, con bagagli formativi davvero eterogenei, è un bene o no? No, non sempre. Il bisogno di ‘curare’ di essere visti, di fare parte, si insinua in ogni persona e in modo particolare in molti ‘terapeuti’, fornendo materiale per guardare ad un tema molto discusso anche da Bert Hellinger: fino a pochi anni fa non esisteva una sorta di brevetto del metodo costellativo e il campo era aperto a molte interpretazioni, lo stesso Hellinger ha messo abbondantemente a disposizione di tutti coloro che erano interessati al suo lavoro, molto materiale. Tutt’oggi abbiamo molte pubblicazioni da poter consultare per addentrarci in questo straordinario e complesso metodo terapeutico. CIO NON SIGNIFICA che tutti siamo in grado di estrarne le informazioni profonde che solo una formazione adeguata e certificata permette ai professionisti di imparare ed applicare. La formazione di un costellatore dura anni e non è mai finita, come sostiene Gerhad Walper, uno tra i massimi esponenti a livello mondiale del metodo di Bert Hellinger, i costellatoti sono perennemente in formazione, e soprattutto la formazione di ogni costellatore incide sulla stessa costellazione. Questo è il punto, un buon costellatore oltre ad una formazione seria ed importante, ha bisogno di intuito spiccato, metodo, umiltà, capacità di instaurare con il cliente un buon rapporto, conoscenza prima di tutto dei propri punti ciechi prima ancora che dei clienti, capacità di stare nel presente, perché la forza del cambiamento viene dalla presenza costante nel qui ed ora. A tutti …buon viaggio!

#costellazionifamiliari

#Berthellinger

#biacrescereinsieme

#Gerhardwalper

#noicostellatori

Il proprio posto nel mondo

Costellazioni familiari autentiche Hellingher

Domenica 24 settembre 2023 Orario dalle 9.30 alle 17.00

Avere il proprio posto nel mondo, nella famiglia, in azienda, è molto importante, di fatto non esiste il ‘mio’ posto se non in relazione con il posto degli altri, se non c’è il posto dell’altro non ce neanche il mio.

La vita e nostra fin tanto che abbiamo il nostro posto e occupiamo consapevolmente solo il nostro posto, prendere il posto di un altro significa prendersi la vita dell’altro.

Le Costellazioni familiari autentiche Hellinger portano alla luce questa violazione dell’ordine di rango. Il suo ripristino è ‘conditio sine qua non’ per una vita riuscita e di successo. In ogni famiglia ciascuno ha il suo posto che compete solo a lui. Nessuno può contestargli questo posto elevandosi ad un rango superiore, oppure spostandolo dal suo posto. Essere al proprio posto rende solidi e sereni,…via aspetto!  (To) Cirie – presso Ass. macapa , vicolo disturba 5

Resistere per esistere; immagini sistemiche del femminile.

Il pensiero sistemico, come specchio riflesso di una realtà sempre più complessa e vero spazio di cambiamento, è stato per molto tempo relegato nelle università o nei luoghi di ricerca o alla portata di pochi imprenditori particolarmente ‘illuminati’, rendendo lontana la possibilità di applicarlo in  tutti gli ambiti della vita delle persone. L’essenzialità del pensiero sistemico è quello di ‘vedere’ la circolarità delle strutture, anziché catene lineari di relazioni ‘causa effetto’. Staccati da questo schema mentale cogliamo cosi i processi di cambiamento in modo organico e completo e non spenderemo così energie su immagini statiche della realtà che non corrispondo di fatto alla complessità che ogni giorno viviamo. La vita stessa è in continuo movimento; nella sua complessità è sistemica per eccellenza. Le donne, a mio avviso e per l’esperienza fatta, sono naturalmente inclini all’uso del pensiero sistemico, questo perché storicamente le donne hanno dovuto usare altre logiche per la loro personale sopravvivenza al di là delle logiche maschile più ‘binarie’, anche nella creatività.

Questo passaggio parte da un assunto filosofico ovvero la necessità della #rappresentazione come elemento imprescindibile per poter dichiarare l’agito dell’esistenza. Il legame tra rappresentazione e azione/concretezza, tra rappresentazione ed essenza, traslato dall’ambito sistemico alla dimensione esistenziale #femminile apre uno squarcio anche nel pensiero contemporaneo legato all’analisi di #genere: ovvero la tematica del conflitto legata a quella della visibilità.  Il richiamo alla reciprocità, il valore dell’universale, non possono prevedere un singolo punto di vista causale relazionale puramente verticale. Tale è la codificazione/rappresentazione che ha definito la verità e il senso di realtà di una politica volta a stabilizzare situazioni e gerarchie, e che non ha potere di sguardo di insieme, una #politica che ha annullato il valore delle #pratiche di autorità femminile e ha sottratto ogni significato alla possibilità di modificare le situazioni attuali, se non sotto una rigida codificazione degli ordini di appartenenza.

Un lavoro e pensiero sistemico apre la strada a quelle dimensioni dell’invisibilità e dell’assenza che hanno caratterizzato il femminile per molto tempo, pur nella loro forza viva. Analizzare il problema a volo d’uccello per carpine i punti di fuga e di vulnerabilità al fine di resiste per esistere è gran parte un ‘lavoro’ femminile. Le categorie fissative, hanno occultato, in passato, ciò che realmente occorreva e ciò che mancava, affinché fosse riconosciuto l’essere nella libertà e nell’uguaglianza a tutti i generi umani; esperienza non facile da contrastare per le donne di varie professionalità e grado per scoprirsi nella loro differenza e renderla valore, senza dover scimmiottare il maschile. Capire come la struttura di un sintema (politico a aziendale altresì famigliare) determini il comportamento di ognuno di noi ci permette di scorgere altre sorgenti causali e conseguentemente altre forme di pensiero.

Quando sembrano essere sempre e solo le cause esterne a dominare il nostro fare e ci sembra di doverle subire, essere vigili su un insieme complesso di processi, di competenze, di valori e di politiche, ci permette di ‘fare ‘ bene e di gestire per la vita e a favore della vita… questo fanno da sempre le donne. 

Tre passi nella presenza, un esercizio pratico di sopravvivenza

Dopo un importante seminario che ho seguito a Bressanone con il prof Joele Weser (Opener – Institut für PrEssenz® und Systemische Lösungen (joel-weser.de) si sono presentate molte riflessioni; tra le quali il fatto che da ogni incontro formativo dovremmo portarci via una pratica da usare per il nostro miglioramento, a tal fine una di queste vorrei condividerla.

A tutti credo, almeno una volta nella vita, è successo di sentirsi in un #tunnel con la sensazione di non riuscire ad uscirne (fosse solo per l’esperienza fatta con il covid), quella dalla sensazione che tutto ci pressa, quella situazione che ci fa dire: “Ma tutte a me!!!” ; quando incurviamo le spalle che diventano per lo più doloranti. Il lavoro principale da fare in questo caso, è ritornare al proprio centro, ritornare su di se, sentire, prima di tutto, che i nostri piedi sono ben ancorati a terra, nel senso fisico della parola, togliete le scarpe e ascoltate i vostri piedi che vi sorreggono e vi portano per il mondo, ma che  spesso ci dimentichiamo di ancorare al suolo (siamo troppo veloci, troppo in auto, troppo sbadati presi da altre 1000 cose), quei piedi che diamo per scontati, che magari massaggiamo e calziamo con scarpe alla moda, ma ‘dimentichiamo’. Torniamo ai piedi e sentiamo che il pavimento, #la terra, ci sostiene, che è sotto di noi, non siamo noi a sostenete la terra è la terra a sostenere noi. La consapevolezza dell’essere compressi si fa cosi più evidente, una compressione che non vogliamo, può anche essere il frutto di una violenza passata, fisica o verbale, una violenza sociale, che non lascia libero lo sguardo di spaziare verso il futuro e che appunto ci chiude in un tunnel. Ora respiriamo insieme e cerchiamo di ascoltarci e di ritornare al trauma, quello che sentiremo sarà #rabbia, ora ascoltala di nuovo i piedi, muoviamoli, sentiamolo, e ora alziamo lo sguardo e apriamo bene gli occhi e guardiamo. Ampliamo lo sguardo oltre quel trauma, quel #pugno che ancora ti fa stare male, respira, apriti al nuovo. Provare l’esercizio non costa nulla ed è comunque vincente. Se poi volte farlo accompagnati chiamatemi, io ci sono. Buona Vita

La nuova leadership

Faccio mie alcune suggestioni del dott G.  P. Abbate, fisico e teologo di fama mondiale sul #cambiamento in atto che riguarda tutti noi, anche la classe #politica, coloro che governano, e tutti quelli che hanno delle responsabilità a livello sociale, incluso gli #imprenditori.

Quello che ci aspetta sembra essere un fenomeno nuovo, dal punto di vista storico, in piena rottura rispetto a quanto sperimentato in passato. Questo è vero da molti punti di vista, dei rapporti umani, di comunicazione, di vita in genere e da un punto di vista anche meramente statistico i #numeri in fatto di imprese in crisi non ci conforta; abbiamo delle responsabilità?

La nostra #responsabilità potrebbe consiste nel superare l’idea che il fenomeno di cambiamento totale sia impossibile, e che “è sempre stato così e non può cambiare” non risuoni più in nessun campo, come il “andrà tutto bene”, slogan di ‘senso comune’ atti a tranquillizzare la nostra psiche. Come aiutare questo cambiamento? Lo possiamo fare singolarmente? Certamente anzi in generale si tratta di rendere possibile il cambiamento attraverso i #pensieri di ciascuno di noi.

Mi piace citare con il Prof. Abbate la Bibbia laddove racconta di Mosè che era, in origine, un pastore. Un giorno un agnellino non aveva più l’energia per seguire il gregge. Un singolo agnellino in un grande gregge, ben poca cosa. Ma Mosè lo prese sulle spalle e continuò il cammino.

Il Creatore allora pensò: ” Se si è preso cura di un semplice agnellino, quanto più si curerà della gente.” Questo portò Mosè a diventare il #leader del suo popolo.

Un caso isolato per quel tempo, ma questa #quella che deve diventare la normalità della Nuova #Era, il messaggio è che gli imprenditori/trici , in genere i capi di alto livello o semplici apripista, in verità ciascuno di noi, ha una sua responsabilità di #leader.

Il cambiamento passa per leder amorevoli, coscienziosi, che si prendono #cura degli altri come di sé stessi, in gioia e armonia.

Questa è la nuova leadership che deve necessariamente perseguire un inevitabile cambiamento lasciando alle spalle un passato arroccato su poteri logori dal solo profitto per guardare non tanto alle invocate tecnologie, che saranno ben presto obsolete, ma alle persone che non vanno mai lasciate indietro.

La ‘diversa’ buona volontà. Riflessione costellativa

Quando la buona volontà “vuole” produrre qualcosa attraverso il suo fare, vuole a volte qualcosa che non le spetta e si intromette nell’anima e nel destino degli altri, quando siete in questa condizione non chiedete il permesso prima di agire, non domandate se è gradito il vostro intervento. Questa “buona volontà”, questo fare bene non sarà per il bene ma intromissione, di fatto è solo una buona volontà di nome.

Ciò che vuole ottenere dovrebbe essere il bene, che se sembra a portata di mano, facilmente andrà storto e se accade, ci scusiamo sostenendo di aver operato con delle buone intenzioni ma qualche cosa è andato storto, e si insinua il senso di colpa-

Ma se qualcosa è andato storto significa anche che la buona volontà non era poi proprio tale, altrimenti non si sarebbe andati solo vicini al risultato, lo si avrebbe raggiunto.

Spesso si tratta di una buona volontà senza attenzione per l’altro e per gli altri, senza il vero amore, che è sempre benevolo. Dove comincia Allora la buona volontà? Comincia nel trattenersi con attenzione davanti al volere e al potere di coloro a cui volgiamo il bene, inizia con il rispetto.

Solo allora riconosciamo che la buona volontà non è tanto un agire, quanto un modo di essere; come? Esserci con amore, facendo un passo indietro, con rispetto.