I nuovi incontri sistemico/costellativi del 2025

I nostri #incontri del 2025 si arricchiscono di nuovi temi di riflessione.

Domenica 23 #Marzo costellazione  aperta a tutte le esigenze. Un’ appuntamento imperdibile che si s volge solo due volte in all’anno.

Domenica 27 #Aprile dedichiamo la  sessione ai #Bambini

I bambini ( e noi da bambini) sono attenti osservatori delle #emozioni profonde dei #genitori. Ricercano nei loro occhi la conferma continua di essere amati e sono disposti a tutto pur di non perdere questo amore. Sono in grado di assorbire gli stati d’animo più intimi dei genitori, di cui loro stessi hanno meno consapevolezza e farli propri. Si trovano così a gestire pesi che non comprendono, ma avvertono il dovere di farlo poiché ne va della loro sopravvivenza diventando così alleati fedeli dei genitori fino all’estremo sacrifico della loro stessa vita. Il rapporto con il figlio viene caricato dai genitori di aspettative e gli si chiede seppur inconsciamente, di riscattare gli “errori” subiti nelle relazioni passate. Vedere e elaborare questi meccanismi diventa salvifico.

Domenica 18 #Maggio affrontiamo il tema della #guarigione

Dove guardiamo per prima cosa quando abbiamo bisogno di guarigione? Guardiamo al nostro corpo. Attendiamo soprattutto sollievo nel corpo. Oltre al corpo però, l’#anima e lo #spirito giocano un ruolo fondamentale nella guarigione. Anch’essi devono essere curati. Spesso il dolore dell’anima è persino più intenso del dolore fisico   Come sentire che la guarigione è profonda e reale?  A chi obbedisce l’anima? Da dove trae la fiducia per una guarigione che consente di vivere la vita pienamente? Dall’#amore, un amore che va molto al di là dell’amore che fa ammalare, dapprima nell’anima e poi nel corpo. L’amore che guarisce è un amore dello spirito. La #salute è aumento della capacità di amare e della presa di #coscienza dell’importanza dell’amore come fattore di guarigione per noi stessi e per l’altro.

Domenica 22 #giugno affrontiamo il tema del #futuro

Per quanto sia stato prezioso il passato, il suo valore sarà sempre superato dal presente. Un lavoro di frontiera,

UN DONO PER TUTTI I PARTECIPANTI

Ciò che accade, accade per Amore e ciò che grazie all’Amore viene mantenuto può essere sciolto e annullato solo nell’Amore. C’è un futuro solo per chi è in sintonia con il passato.

 

 

Impresa: un valore collettivo per la vita

L’impresa è un sistema organizzativo da cui dipendono i destini di numerosi individui e, in questo senso, essa è una comunità di destini e il suo valore è dunque collettivo.  L’azienda cresce o decresce insieme a tutti i suoi componenti dal Ceo, il management, i dipendenti, i collaboratori, i soci, gli azionisti, tutti condividono lo stesso destino. Dunque consideriamo l’impresa come un movimento della vita che, deve essere, per fiorire, al servizio della vita stessa. Grazie proprio all’approccio fenomenologico, il Prof Hellinger che ha iniziato a intuire quali fossero le leggi del successo e dell’insuccesso nel lavoro, nella professione e nelle organizzazioni e nelle imprese possiamo oggi avvalerci di un metodo straordinario di consulenza molto particolare che si differenzia da tutte le consulenze fin ora disponibili. Un’impresa è un sistema composto di persone, con il proprio vissuto e la propria storia e questo ci porta a dedurre come la vita personale e la vita professionale non siano separate, ma intrinsecamente connesse e come, al tempo stesso, nella struttura di una organizzazione possano ricrearsi dinamiche appartenenti alle famiglie di origine dei soggetti che vi operano. Le aziende non sono quindi entità materiali, esse sono piuttosto entità spirituali e creative, regolate da leggi spirituali, le stesse esistenti alla base dello sviluppo e del fluire della vita. L’approccio fenomenologico ci mostra come ci siano dei veri “ordini del successo” che determinano l’andamento di un’impresa o di una organizzazione lavorativa, e che il rispetto di tali leggi è fondamentale affinché il flusso vitale possa scorrere e sostenere la massima espressione del potenziale di un’azienda e di tutti i suoi componenti. Grazie alle Costellazioni aziendali e organizzative si è potuto constate che quando un’azienda non cresce, si chiude in sé stessa o va verso il fallimento, alla base i principi su cui si basano gli ordini del successo non sono stati rispettati e questo si riflette sui leader che non sono in grado di gestire la loro posizione e conseguentemente i ruoli e il lavoro dei collaboratori che non hanno una direzione. I collaboratori avranno relazioni disfunzionali, oppure perdono di vista il compito ultimo del loro operato, non perseguono gli obiettivi con la solerzia dovuta e i clienti non vengono seguiti e si allontanano.  Nel lavoro svolto in questi anni e nell’incontro con molti imprenditrici e imprenditori e le loro aziende quello che è emerso è come il successo sia il riflesso del rapporto con i propri genitori, in primis con la madre: trovare la strada verso nostra madre e accogliere nel nostro animo nostra madre così com’è, con rispetto e gratitudine, ci permette di essere profondamente connessi con il successo. Come sempre sosteneva Hellinger Il successo ha sempre il volto della madre. Le qualità che il successo ci chiede di sviluppare, sono le stesse che troviamo guardando nostra madre che si messa al servizio della vita dandoci la vita. Mentre sarà il movimento dell’anima verso il padre a farci trovare un posto nel modo, cosi sviluppiamo una leadership autorevole, impariamo a mettere dei limiti dicendo di no ed a salvaguardarci dal burnout, a rimanere nella forza necessaria per imporci sul mercato ad ogni livello. Il successo quindi esula in parte dalla nostra volontà ma viene determinato da una forza superiore che determina la nostra consapevolezza dandoci le basi per esser davvero al servizio della vita

Riflessione filosofica per iniziare bene il Nuovo Anno : Valore dell’etica

Il filo conduttore.

Condivido con Jacqueline #Russ il fatto che stiamo entrando in un periodo in cui la ‘scienza della libertà’, che Kant aveva battezzato come ‘etica’, tende a configurarsi come ‘controllo di #controllo’ e come ‘potere sul #potere’; per contro il pensiero etico contemporaneo dovrebbe tendere verso un’esigenza di saggezza ovvero ad una riconquista di una ragione pratica garantita dal più ampio consenso basato sulla capacità di dialogo e di ascolto, in direzione di un’etica (che gia #Habermas e #Rawls, peraltro, avevano teorizzato) e di ‘un principio di responsabilità universale’,  di #autoresponsabilità, che non escluda la reciprocità (così come #Jonas per un verso, e #Husserl per un altro, proponevano a gran voce già molti anni fà).

La ricerca di un’etica valida per l’#umanità nel suo insieme, compreso il genere umano futuro datoci in affidamento, dovrebbe quindi almeno illuminare l’ordine etico contemporaneo; la filosofia pratica, già Kant sottolineava, non si fonda su ciò che è ma su ciò che ‘deve essere’, non tanto una constatazione storica dell’avvenuto ma uno sguardo su ciò che ‘deve succedere’; un divenire di una società in continua trasformazione dove l’etica è da intendersi come uno dei compiti ultimi nel mentre si realizzi un tentativo di ricomposizione dell’orizzonte ideologico (mai così aperto, direi frammentato) fatto di molteplici differenze ed insieme anche di molteplici fraintendimenti, di chiusure e barbarie; orizzonte che radica la nostra stessa responsabilità nel cuore delle trasformazioni odierne.

Ciò che ci condurrà attraverso le nostre riflessioni è una domanda, ovvero: Che cosa ha da dirci la #filosofia oggi (e ancor più la fenomenologia)? Quale ne è lo #scopo? La sua ‘#utilita’?

Tentiamo di rispondere iniziando da ciò che Husserl scrisse a proposito dell’VIII Congresso Internazionale di Filosofia, che si svolse nel 1934 a Praga, in una lettera a Radl: La filosofia è l’organon di una nuova forma di esistenza (Daseins) storica dell’umanità, un’esistenza che si esprime nel suo spirito di autonomia (…). L’autoresponsabilità filosofica si realizza necessariamente nella comunità di coloro che filosofano. Considerando tutto ciò come principio, la comunità filosofica e la filosofia sono il fenomeno originario e allo stesso tempo la forza viva operante (…) la quale, partendo dalla mera intenzionalità attraverso la sua forza (Macht) ha creato e coltiva un’intenzionalità del tutto nuova, ovvero un’unione mediante lo spirito di autonomia.

Ciò che #Husserl proponeva, con riferimento alla funzione della filosofia nel 1934, coincide con la sua tesi, peraltro già conosciuta, in riferimento al processo di ‘positivizzazione’ della scienza in relazione con la crisi della cultura; positivizzazione che ha condotto ad un occultamento del ‘mondo della vita’ ed all’oblio della soggettività . Deplorando la perdita di valore vitale, causata dall’aspirazione incessante a ridurre tutto ciò che si dà ad una natura calcolabile, Husserl ravvisa il pericolo di una visione ‘generale’ del mondo che domini la cultura e porti alla dispersione della stessa filosofia «Questa è una questione pratica» – sottolinea il Nostro – «Dunque la nostra influenza storica, e insieme la stessa nostra responsabilità etica, si estende perfino alla più remota lontananza dall’ideale etico» Ed è nel trattare il rapporto tra ontologia e fenomenologia che Husserl sviluppò un’etica fenomenologica seguendo proprio il suo stesso modello ontologico. Brevemente ricordiamo che nella prima parte della sua riflessione etica, egli si occupò della refutazione dello scetticismo che si manifesta soprattutto nello psicologismo, al quale egli oppose l’unica alternativa possibile ovvero la filosofia fenomenologica.

La risposta allo #scetticismo consiste infatti nel riconoscere prima di tutto la validità, anche nell’etica, della rivendicazione del significato dei #sentimenti #morali, per dimostrare dopo, sistematicamente, la possibilità di un ruolo ‘obiettivo’ dell’etica stessa; si tratta di una teoria formale dei valori che sarà ripersa nelle sue lezioni del 1920. Egli sviluppò quindi inizialmente un modello etico partendo dal presupposto che tra la ragione logico-teoretica e la ragione assiologico-pratica, ovvero tra l’idea della #Verità e quella del #Bene, esista un’analogia; e sarà solo in un secondo momento che ad essa si collegheranno le ricerche sulla cultura e sulla storia, frutto anche del periodo di transizione inerente alla Prima Guerra Mondiale; transizione che consiste nel comparare criticamente quell’attualità ‘priva di senso’ con la pretesa razionalità di una cultura filosofica del periodo, in contrapposizione ad una motivazione che possa elevare al principio di responsabilità come condizione di possibilità di un ‘rinnovamento’ (Erneuerung) della vita individuale, e di una cultura in generale, a partire da un impianto teleologico dell’intenzionalità e della storia.

Ne risulterà che il soggetto trascendentale non deve solamente ‘preservare’ il mondo da uno stato di caoticità, ma anche dare ‘forma’ all’esistenza secondo le supreme idee della ragione, difendendo così la vita dal caos che si presenta non appena la ragione si ritrae. Husserl svilupperà nei suoi ultimi scritti una concezione pratica della fenomenologia, nel senso in cui essa si rivela una riflessione che si conforma in un ‘ethos’, tramite il quale si costituisce una comunità, quella dei ‘funzionari dell’umanità’, ovvero dei filosofi, che vive dello spirito di autonomia ed indipendenza tipico della filosofia, il cui compito non si esaurisce nell’essere un gruppo di persone appartenenti ad una determinata cultura, ma diviene un compito infinito di tensione verso la ‘Verità’. Questo impegno etico, segnala Husserl, che è insieme una nuova concezione della temporalità, in quanto l’#autoresponsabilità del soggetto etico, costituisce la fenomenologia in una filosofia del presente, partendo da una tradizione fondatrice, in un orizzonte di un lavoro infinito da realizzarsi in ogni momento storico.

La fenomenologia ci aiuta ad approfondire il significato della proposta di come il sentimento morale, quale punto di partenza del discorso etico, non solo non è una caduta nel relativismo, proprio dello scetticismo, ma al contrario permette di superarlo fino a riconoscere la sua stessa verità. Ricordiamo che nell’argomentazione di Husserl contro lo psicologismo, inteso come la forma più pericolosa dello scetticismo, ovvero contro quel verdetto di condanna sulla conoscenza e sulla logica che nega la possibilità stessa che esita una verità tanto nella logica come nella morale, occupa un luogo importante la critica a Kant e al razionalismo. Il formalismo kantiano non riconosce il significato ‘situativo’ del sentire e dell’atto del vivere, elementi di un’affettività invece richiesta dalla fenomenologia. Per Kant solo la retta intenzione ha un significato morale mentre sentimenti quali la gioia intimamente vissuta, è estranea al merito; tutt’al più può essere conforme alla morale e può ricondurvisi per ciò che in essa si rispecchia dell’immanente razionalità. Quindi la contraddizione dello scetticismo logico trova così un ‘analogon’ nel controsenso pratico in cui si dibatte ogni proposizione imperativa che ci inviti a considerare illegittima, dal punto di vista razionale, la pretesa racchiusa in un qualsiasi gesto di comando. Per Husserl appare chiaro che solo la filosofia può vincere lo scetticismo in tutte le sue forme, quali lo psicologismo, il naturalismo e insieme il positivismo scientifico in quanto inibitori, nella loro visione unilaterale, di un diverso sforzo di comprensione insito nella filosofia stessa, così come egli fortemente sottolinea proprio nella sua conferenza di Praga. Si tratta del ‘tragico della scienza positiva’, che si esplica nella dispersione, data dalla massiva specializzazione delle scienze naturali.

 II. Deprecato positivismo

L’iperspecializzazione delle scienze, la loro #tecnicizzazione sempre più massiva, si scontra con un sentire più profondo ed inglobante, tipico dell’uomo, che si esprime nell’universo filosofico, portandolo verso la decadenza. Così facendo si deforma il concetto stesso di scienza; la tecnicizzazione e iperspecializzazione portano ad un risultato che, al di là delle sue positive scoperte, che non sono certo deprecate da Husserl, il fenomenologo è teso per lo più contro una superficiale arroganza data dal ‘finto’ potere della ‘macchina’ sull’uomo e non viceversa; lo scetticismo quindi nella sua forma fondamentale, che coltiva una sorta di diffidenza in riferimento alla stessa filosofia, termina per essere l’oggetto della critica, la quale a sua volta motiva il significato radicale del compromesso etico della fenomenologia.

Come sottolinea Ullrich Melle nella sua ‘Introduzione’ alle ‘Vorlesungen ueber Ethik’, Husserl segue inizialmente, nelle sue prime lezioni sull’etica, lo stesso cammino del suo maestro Franz #Brentano e delle sue lezioni sulla filosofia pratica. Anche per Brentano si tratta di chiarire come è possibile una considerazione dei sentimenti nel processo di fondazione etica, senza per questo cadere nel relativismo o nello scetticismo etico. Certamente l’etica tratta del sentimento morale, però non si chiarisce sul sentimento così come fa con il giudizio. Kant, per esempio, sottolinea Brentano, per arrivare alle sue conclusioni sulla morale determina il significato ultimo e la validità della morale stessa nella formalità dei principi, rifiutando tutta la partecipazione del sentimento e dell’esperienza nel processo della conoscenza e della motivazione dell’azione morale. All’altro estremo, l’empirismo riconosce tutta la forza morale propria dei sentimenti; il principio nel quale però essi concludono non supera il livello di generalità di #verità che in verità può darsi con l’induzione e con l’#abitudine.

Husserl argomenterà contro ambedue le posizioni; entrambe per un verso unilaterali, sottolineando però che l’empirismo ha ragione ad iniziare le sue analisi dai sentimenti e nel decidersi per l’esperienza viva nella quale si dà a noi il fenomeno morale; ma è necessario accedere ad un’analisi intenzionale di questa esperienza viva del sentimento per poterlo includere nell’intuizione del valore e non semplicemente interpretarlo come se si trattasse di un dato naturale dell’esperienza interna. Come per la logica anche per l’etica vale affermare che gli empiristi scoprendo l’intenzionalità nella loro analisi dell’esperienza interna, furono però ciechi ravvisando in essa solo il luogo della forma e della genesi in modo naturalistico, non ne intesero perciò il senso del trascendere del concetto di intenzionalità, del concetto stesso e del giudizio; ed è in questo senso che anche Kant interpreta il sentire, come lo stesso empirismo, caratterizzando le sue analisi al modo di una specie di fisiologia naturalista del conoscere umano.

Alla fine però né Kant (nella deduzione trascendentale della prima edizione) né gli empiristi, furono capaci, per Husserl, di esplicare e spiegare le scoperte dell’intenzionalità della coscienza per ritrovare in quella forma la struttura del sentimento, pienamente ‘vittime’ appunto del pregiudizio psicologista che guarda al sentimento solo come ‘dato’ naturale dell’esperienza interna.

Nell’analisi intenzionale del vivente, si evidenziano nella loro originarietà i fenomeni morali come coscienza della situazione discernibile dal punto di vista morale, il che permette ad Husserl di distinguere, classificare e sistematizzare, tutti quegli atti che confermano una ‘fenomenologia della morale’. In questo aspetto più analitico che trascendentale dell’etica fenomenologica si può certamente accettare che Husserl sia superato da Max Scheler.

Come già si è tentato di dire, il punto cruciale dell’etica fenomenologica, si situa però non tanto nell’analisi etico-logica, quanto nel passaggio dall’analisi intenzionale dei valori all’intenzionalità, intesa come responsabilità, e da qui all’etica come coscienza storica e culturale tanto dell’individuo come della società.

In effetti, Husserl stesso ammette che la dimensione formale dell’etica non coincide con l’etica stessa e il filosofo non avrebbe ancora assolto al suo compito quando avesse delineato in modo esaustivo il sistema delle leggi formali della ragione pratica; alla dimensione formale deve affiancarsi dunque una dimensione materiale dell’etica. Infatti le sue lezioni sull’etica del 1914 si concludevano con una quarta parte dedicata alla ‘Pratica formale’ di cui l’ultimo paragrafo si intitola ‘Obiettività delle possibilità pratiche e la loro relatività al soggetto’. In questo paragrafo si tematizza l’assunto della morale in relazione al soggetto dell’azione venendo così ad infrangere una certa forma analogica tra l’analisi intenzionale della morale con l’ambito logico, così come Husserl stesso scrive: « D’altro canto a una soggettività non può essere a priori richiesto nulla che non sia poi in suo potere raggiungere (…)»”, e più avanti aggiunge: Le nostre considerazioni (…) ci mostrano che (…) non è possibile cadere nell’errore di voler pre-delineare con il solito aiuto di un imperativo categorico, privo di contenuto, che cosa sia praticamente richiesto e che cosa sia dunque assolutamente dovuto nella situazione determinata di volta in volta presente. La logica formale con tutte le sue leggi non può metterci nella condizione di dedurre la più piccola verità fattuale. Essa abbraccia (…) solo le verità formali. (…) Lo stesso si può dire dell’assiologia e della pratica formali. (…) Sarebbero ora da definire le classi fondamentali dei valori e dei beni pratici per poi rendere oggetto di indagine le leggi della preferenza. (…) Che cosa dire dunque della valutazione di una persona in quanto essere razionale? (…) Di qui dunque muovono le linee che ci conducono verso l’etica in senso proprio, verso l’etica individuale e sociale. 

Che cosa significa per l’etica questo ampliamento di analisi da parte di Husserl grazie al quale si scopre una nuova funzione della soggettività? Che cosa motiva il cambio di prospettiva nella sua riflessione etica, ovvero il passare da un’analisi fenomenologica costitutiva del valore ad una riflessione sul soggetto che valorizza e che agisce sino a convertirsi in una ‘filosofia del presente’, così come il fenomenologo stesso la reclama alla fine della sua vita? Tentiamo di rispondere a queste domande analizzando il pensiero di Husserl degli anni venti.

III. La forza dell’autoresponsabilità.

La particolare e tragica congiuntura storica presente in Germania nel periodo della prima guerra mondiale entra direttamente a far parte dell’evoluzione del ‘sentire’ etico da parte di Husserl tanto da promuovere una serie di tre lezioni per i soldati che ritornavano dal campo di battaglia. La seconda è intitolata: ‘L’ordine etico del mondo come principio creatore del mondo’ . Punto di partenza della lezione è la ormai nota diagnosi di Husserl in riferimento all’oblio della tradizione filosofica a causa del positivismo. Questa rimozione della filosofia in favore della scienza esatta farà esclamare ad Husserl che l’autogiustificazione farisaica della scienza è quanto mai inopportuna senza contare l’ingiustificata deprecazione da parte della filosofia per parte di coloro che sono educati alle scienze esatte e rigorose del tempo in cui viviamo. Per questo anche la stessa guerra può essere intesa come un tempo di rinnovamento sin dalla fonte di tutti gli ideali di forza, che fluisce verso il popolo stesso conservandone tutta la forza salvatrice. La caratteristica di questa forza della filosofia sta nel suo determinare il sentire della vita: « (…) che può esser definita in funzione di un fine superiore della vita personale (…)» Ed è solo questa teleologia propria della filosofia, ed intrinseca nella stessa soggettività, che si presenta come il fine etico superiore.

Si tratta pertanto di una filosofia (e del sentire di una nuova metafisica) che trasforma eticamente l’umanità, dove la persona diviene libera di agire, libera nel ‘sapere’ libero, facente parte di una società a sua volta libera. Husserl non si inclina quindi verso una critica delle guerra ma critica ampiamente la ‘retorica bellica’ puntando ad una posizione morale universalistica, così come scriveva a Ingarden nel 1917: «(…) l’etica come tale è una forma transpersonale (…) come la stessa logica, tanto che il materiale della nostra posizione etico-politica evidentemente non ne è poi tanto distante» Ma già alla fine della guerra il motivo etico si radicalizza più verso il versante della critica alla cultura e alle sue diverse manifestazioni dove possiamo comprendere l’attitudine radicale della fenomenologia:   (…) come una decisione che mira ad elevare la vita da un mero fatto di scambio e di produzione, attitudine che diviene una nemica mortale del capitalismo e di tutto un modo del tutto egoistico di accumulare dei beni che non hanno a che fare con l’elevazione morale della persona.

Alla fine comunque la valutazione della guerra, da parte di Husserl, non potrebbe essere più negativa. Il fenomenologo sottolinea fortemente come questa metta allo scoperto un’indescrivibile miseria morale, religiosa ed insieme filosofica dell’umanità. Tutto questo trasforma tutti i valori: (…) la scienza, l’arte e tutto ciò che sin ora si poteva considerare un bene spirituale assoluto, in oggetto di apologetica e nazionalista, di mercificazione, (…) uno strumento di potere. L’effetto ideologico di questa trasmutazione di valori è palese: (…). La fraseologia e le argomentazioni politiche, nazionaliste e socialiste hanno potere sulla massa più delle argomentazioni della ‘sapienza umanitaria’.

A questa critica corrisponde per altro, purtroppo, l’entusiasmo percepito da Husserl da parte dei giovani di ritorno della guerra verso questa stessa retorica ed una manipolazione propagandistica degli ideali filosofici e religiosi e nazionalisti che minano l’autonomia del lavoro accademico, che dovrebbe fondarsi in un ideale di un sapere fondamentale ed autentico. Con queste osservazioni, quali segno del tempo storico vissuto, Husserl pensava inoltre di iniziare il primo di una serie di articoli per la rivista giapponese ‘The Kaizo’, alla fine però preferisce tacere cercando di staccarsi dalla polemica, sottolineando in altro modo il sentire tragico della situazione.

Husserl inizia i suoi articoli appellandosi al rinnovamento come unica possibilità di fuoruscita dal tragico e tormentato momento storico. La guerra che dal 1914 ha devastato l’Europa e che dal 1918 non ha fatto che sostituire i mezzi di coercizione militare con quelli più raffinati della tortura psicologica e dell’indigenza economica, non meno depravata dal punto di vista morale, ha rivelato l’intima non verità ed insensatezza di tale cultura. Proprio questa rivelazione però finisce per impedire che essa dispieghi appieno la sua autentica forza. Non è pertanto solo l’eco storica dell’accadere che motiva la riflessione filosofica su di una determinata azione ma la sua interpretazione culturale; infatti una nazione, sottolinea Husserl, un’umanità, vive e opera nella pienezza delle forze soltanto se sorretta nel suo slancio da una fede in se stessa e nella bellezza e bontà della vita della propria cultura.

Verrebbe da chiedersi come sia possibile in verità pensare al rinnovamento di fronte ad una falsità del sentire, ad una stanchezza culturale così profonda; e la filosofia che tipo di competenze avrebbe dovuto avere in un momento storico così cupo? Diagnosticare la crisi per Husserl infatti non è sufficiente bisogna cercare anche una soluzione. Nei manoscritti sulle lezioni etiche degli anni venti, Husserl si pone questo problema ed insieme analizza anche la differenza tra mondo dello spirito e mondo della natura. La distinzione tra le due differenti ‘regioni’, riguardanti ambedue in effetti il ‘mondo della vita’, permette di caratterizzare in maniera rigorosa (in opposizione al mero principio di causalità), il sentire profondo della motivazione quale perno per il regno universale dei fini che non è altro che lo stesso ‘mondo della vita’ nel quale riconosciamo la soggettività nel suo essere attiva da un punto di vista della comunità. Da qui i valori positivi si vanno determinando a partire dall’autocoscienza, nella quale si manifesta la possibilità infinita dell’essere umano non solo come individuo ma come membro di un’unità culturale, dato che in essa si obiettiva l’unità della vita attiva, della quale l’umanità di un’epoca e di una nazione ne diviene una sorta di soggetto. Per Husserl la motivazione morale ultima, la quale accorda al sentimento un’autoresponsabilità radicale, forma parte della fenomenologia stessa che si inscrive in un particolare sentire culturale, davanti al quale il filosofo non può restare indifferente sin tanto che vuole autocomprendersi come ‘funzionario dell’umanità’.

Filosofia ed etica individuale.

 Ma che cosa intende Husserl con l’uso della parola cultura o meglio di ‘unità culturale’? Per cultura – scrive nel 1923 – non intendo nient’altro che l’insieme delle azioni e operazioni messe in atto da uomini accomunati nelle loro continue attività, operazioni che esistono e perdurano spiritualmente nell’unità della coscienza della comunità e della sua tradizione mantenuta sempre viva. La cultura quindi, che si esprime anche nell’espressione fattiva della creatività del singolo, e che può sempre di nuovo essere fonte di ispirazione fruitivo-creativa, dando così senso ad una continuità storica del farsi della cultura stessa, trascende la singolarità nella comunità pur creando della comunità un’unità di membri legati tra loro, intrecciati da atti sociali complessi, che uniscono spiritualmente una persona all’altra. In quest’ambito appare chiaro che l’etica individuale trova il suo senso in un’etica sociale; così come l’invocato ‘rinnovamento’ dell’uomo si realizza nel considerare l’individuo come parte integrante dell’umanità che diviene così il tema centrale dell’etica stessa.

Questa concezione dell’etica significa che la filosofia morale può esserne solo una parte; mentre la morale regola il comportamento pratico, buono, razionale, dell’uomo in relazione all’altro, l’etica deve essere concepita necessariamente come la scienza della vita attiva, totale, della soggettività razionale, dal punto di vista della ragione, dirigendo unitariamente vita e totalità; pertanto il titolo di ragione deve, per Husserl, comprendere un sentire generale, di conseguenza:«(…) la vita attiva di una comunità di un’intera comunità – quand’anche non fosse comparsa nessuna realtà storica – può assumere la forma unitaria della ragione pratica, la forma di una vita etica»

Per specificare maggiormente e qualificare questo suo sentire etico Husserl, nel terzo dei suoi articoli per il ‘The Kaizo’, si pone il problema, forse più importante dell’intera riflessione, ovvero: che cosa intendiamo quando parliamo di soggetto inteso come ‘persona libera’? Il punto di partenza per una così complessa ma essenziale analisi è la facoltà dell’essere umano, che appartiene alla sua stessa essenza, di avere un’autocoscienza, ovvero un sentire preciso dell’introspezione (inspectio sui) e della facoltà di prendere posizione e di agire; atti personali che si riferiscono riflessivamente alla propria vita e a se stessi; pertanto sembra chiaro che l’essenza stessa dell’uomo si incentri sulle capacità di rappresentazione, pensiero e di avvaloramento, in quanto atti singolari e valutazione dei propri atti, motivazioni e scopi, possibili o reali che siano. L’essere umano può quindi passare da una dimensione particolare ad un’universale, dalla forma dell’assoluto a quella del generale; egli può far precedere ad ogni attività una valutazione e una libertà di scelta che nessun altro essere può esercitare. Di più, l’uomo ha la facoltà di inibire gli effetti delle proprie pulsioni e delle affezioni ‘passive’, di metterle in questione, di esaminarle; esso diviene così, in senso pregnante, soggetto di volontà che non segue il corso degli eventi ma prende da sé (e su di sé) le proprie decisioni.

Una libera volontà che per Husserl si eleva nel momento che il soggetto può far valere questa possibilità nel confronto tra altri atti liberi, dove porre una posizione critica ed esaminare l’intera questione riconfermando un’eventuale presa di posizione, oppure rifiutandola, e questo in un possibile continuo ‘Immer wieder’ che mi permette di liberarmi da catene causali negative e di ‘ri-cominciare’ ogni volta alla luce della ragione. Non posso revocare l’evento gia accaduto ma posso nel corso ulteriore della vita, a seconda dei casi, revocare, rivedere, rivalutare, i miei atti di volontà.

All’essenza della vita umana appartiene inoltre lo svolgersi costantemente nella forma dell’aspirazione:«(…) e alla fine questa assume la forma dell’aspirazione positiva e che perciò è abbinata al conseguimento dei valori positivi». Questa ‘tendenza’ (Streben), che Husserl sembra riprendere dal pensiero fichtiano, è la tipica teleologia dell’intenzionalità, che alla fine non è altro se non la ragione stessa, nella quale l’autoregolazione del soggetto trova la sua genesi pre-riflessiva e il suo pieno significato come responsabilità personale e sociale. Questa caratteristica dell’uomo, conquistata con la descrizione fenomenologica, a partire dal concetto di ‘inspetctio sui’, può essere ampliata sia in riferimento all’auto-riflessione, il che significa ‘auto-referenzialità’ come struttura formale del soggetto, che all’attività libera come principio personale oltreché alla tendenza come sua dinamica materiale e infine alla razionalità come ‘Telos’ universale; tutte queste caratteristiche coniugandosi costituiscono, secondo Husserl, le competenze etiche del soggetto.

Davanti ad un’etica del piacere, della tendenza materiale, si oppone un’etica della ragione, indipendente da tutte le tendenze materiali; l’uomo può così liberarsi da determinazioni eteronome per poter ‘auto-determinarsi’ al fine di evolversi positivamente. Questa capacità etica la si comprende poi come ‘auto- motivazione’, la quale a sua volta si relaziona con la ragione pratica. Una relazione che costituisce la possibilità di assumere l’imperativo categorico di ‘essere un uomo autentico’, nel senso di compiere il ‘meglio possibile’, di vivere una vita della quale si possa essere sempre auto-responsabili; una vita alla luce della ragione pratica il che significa ‘volere il mio dovere’.

In questa forma possiamo arguire che il primo successo della fenomenologia, nello spostare la riflessione sul modo di darsi dei valori e degli atti della volontà al soggetto della valorizzazione e dell’azione, consiste nel riscatto della persona morale, della sua attitudine etica, nel suo essere ‘buona moralmente’. Rimane però da risolvere la questione dell’etica individuale che deve essere in fondo un’etica sociale e culturale, quale lavoro comune che si costituisce in una forza culturale, che incide alla fine nel particolare stesso. A tal fine è necessario, prima di tutto, riconoscere il significato dell’appartenenza di ciascun uomo a una società, dato che ogni circostanza della sua vita, integrata in una vita comunitaria, ha una sua conseguenza, conseguenza che determina così principalmente il suo comportamento etico, che lo caratterizza formalmente. In effetti il fatto di appartenere ad una società, non solo mi permette di valutare gli altri come facenti parte del mio ‘mondo della vita,’ portatori di un valore particolare riconosciuto socialmente, un valore in sé che nulla ha a che fare con l’utile, un puro interesse etico, ma insieme come valore in riferimento alla società stessa, per questo la mia volontà etica deve essere diretta nel fare il possibile perché si realizzino i beni veri, autentici, in ogni circostanza e nell’intera vita in un effettivo impegno di volontà etica. Conseguentemente dovrebbe essere proprio della mia esistenza non solo lo sforzarmi per essere più buono ma arrivare a desiderare che anche l’altro lo sia per far sì che in modo concorde si possa conformare una società buona.

Questo implica però che nella vita sociale si presentino, come del resto succede, dei conflitti; conflitti che Husserl crede di poter sciogliere tramite un mutuo intendimento etico che permetta soluzioni ‘migliori possibili’; e ciò nel costituirsi, alla luce di un tale intendimento, di un’organizzazione etica della vita attiva, nella quale le persone siano una di fronte all’altra, in continuo rapporto, sino a poter parlare di una ‘comunità della volontà’ che abbia un mutuo comune intendimento volontario. Per giungere alla conformazione di questa comunità dobbiamo sì pensare all’importanza del punto di vista personale, ma evitare una ristrettezza che non permetterebbe di procurare che i valori della società siano un obiettivo comune di coloro che la formano.

In effetti l’appartenere ad una società non solo mi permette di apprezzare l’altro come parte integrante della mia stessa ‘Lebenswelt’ (fornito quindi di un particolare valore), ma anche come, insieme a me, facente parte dello stesso valore sociale libero da ogni utilitarismo, valido quindi come ‘valore in sé’; per questo è importante per me che anche l’altro realizzi la sua vita il più correttamente possibile con un forte impegno di volontà etica.

A questo punto l’intero livello di valore dato dal singolo dipende da quello della comunità e correlativamente la stessa comunità ha un valore che, pure essendo mutevole, ed eventualmente accrescibile in virtù della mutevolezza e dell’accrescimento del valore del singolo, via via accrescendosi dei singoli dotati di valore, abbia: (…) un valore come unità di una comunità di cultura e come ambito di valori fondati che non si risolvono nei singoli valori, ma sono fondati dal lavoro dei singoli, in tutti i valori legati alla loro singolarità e a questi conferiscano un valore più elevato, anzi incomparabilmente più elevato.

La relazione di fondazione è così completa. Il fondato si costituisce a partire dall’atto del quale è fondamento, e la nuova realtà fondata non è semplicemente un risultato addizionale, sommatorio, di una serie di attitudini valori o azioni. La società acquisisce un sentire nuovo ed esplicitamente distinto dal mero integrarsi e conformarsi alla regola. L’importante significato che qui si vuole sottolineare è che la società non è semplicemente un insieme di singoli individui (così come la vita e l’agire comuni non sono un mero collettivo di vite e di azioni individuali), ma ogni singolo essere, ogni singola vita, sono ‘attraversati’ da un’unità di vita. Sebbene questa stessa unità rimanga fondata sulla singola vita, trascendendo il mondo circostante di ognuno di noi, e costituendosi in relazione costante con questo stesso mondo, la società emerge quindi come relazione. Resta pertanto chiaro lo specifico di una società fondata nel modo d’essere di differenti persone, nei loro progetti e nelle loro attitudini; ed anche il modo di essere della comunità, come costituita e fondata a partire dalle persone stesse, influisce a sua volta sul singolo, e ciò caratterizza il senso dell’appartenenza sociale. Si  apre così una relazione biunivoca tra il singolo, eticamente orientato e la comunità stessa, che orientandosi eticamente su se stessa, in quanto comunità etica, si orienta sul singolo che ne è parte integrante. Inoltre è essenziale che tutte queste riflessioni si ‘socializzino’, che producano dei ‘movimenti sociali’ e che motivi e azioni sociali, corrispondenti al compromesso etico degli associati, siano orientati alla conformazione e rinnovamento della società autenticamente etica costituita perché: « (…) una direzione della volontà che è tale in quanto propria della comunità stessa, e non è mera somma delle volontà dei singoli che la fondano».

In questo complesso intreccio relazionale si inserisce così quel rinnovamento etico individuale, insieme a quello culturale, fondantesi sulla persona. In questo modo via via progredisce sia lo sviluppo culturale della società come di chi la compone. Il significato etico della comunità influisce in modo sostanziale nel comportamento dell’individuo, perciò l’eticità di un popolo deve essere preoccupazione della persona se questa nel suo proprio comportamento tiene ad una certa autenticità. Si tratta infatti, come abbiamo visto, di descrivere come una società passi dall’ essere una ‘mera comunità di vita’ per convertirsi in una ‘comunità di persone’, è per tanto necessario che la persona non solo abbia attitudine etica ma che si dia in essa un’idea della necessità di una cultura eticamente costituita. A partire da questa intenzionalità fondazionale della società etica si ha il compito formale di rinnovamento della comunità verso l’idea di un autentica umanità giusta ed equa razionalmente nei diversi ambiti della vita. La scienza sociale come forma culturale deve essere quindi intimamente relazionata con la filosofia quale organo di riflessione proposto al destino etico di una società.

L’atteggiamento da assumere al fine di ottenere questa società e cultura etica passa attraverso la mediazione dell’educazione. La consolidazione di una cultura etica in un popolo porta a confrontare una comunità che si identifichi con l’idea di ragione e con valorizzazioni ad essa corrispondenti. Deve quindi esserci coscienza di scopi comuni, del patrimonio comune da incrementare di una volontà totale della quale tutti si sanno ‘liberi’ funzionari. In una nota al secondo articolo per il ‘The Kaizo’ Husserl scrive: «Vi è un legame universale di volontà che producono l’unità della volontà, senza che vi sia un’organizzazione imperialista» ed in nota alla pagina aggiunge: « (…) Qui potremmo parlare anche di una unità comunista della volontà in opposizione ad una imperialista» Più avanti egli chiarirà l’uso di questi termini, che sono in verità estranei alla terminologia husserliana, riferendosi all’autorità del filosofo all’interno della cultura antica. Se la comunità filosofica era per così dire comunista ciò non significa che l’idea di comunista fosse maneggiata per una particolare volontà sociale inglobante, ma bensì allora si intendeva la comunità corrispondente dei sacerdoti o dei filosofi dominati da una volontà unitaria.

Ricapitolando

Alla fine la proposta di Husserl sembra essere per tanto una società fondata e guidata, per l’idea di filosofia e per il senso delle teleologia e dell’etica, dalla responsabilità. In questo tipo di società non solo si protegge la libertà della persona, ma la si arricchisce grazie al carattere etico della società stessa nella quale si promuovono i valori di una cultura ogni volta più umana. Questo è il significato pieno della cultura filosofica di una comunità in continuo progresso dove si sviluppa uno spirito etico comune che dà vigore all’idea etica di comunità e al carattere di un’idea teleologica di comunitaria. Questa forma di argomentazione si orienta dunque a mostrare come il patto etico del soggetto, fondato sulla autoriflessione, è proprietà intrinseca dell’intenzionalità quale responsabilità, capacità di autonomia e di autodeterminazione per ‘un imperativo categorico’ del ragionante. Per Husserl non sembra possibile separare autoresponsabilità e responsabilità storica e culturale, per ciò la possibilità del singolo di essere responsabile dei fini dell’umanità schiude l’orizzonte del singolo direttamente verso un compito storico in relazione con la cultura del ‘suo proprio popolo’ che è in personale relazione con l’altro. Questo aspetto della riflessione si accentua molto chiaramente in un testo del 1924, dove il fenomenologo lo ripete e lo chiarisce, così scrive:

Io posso assumere e ricercare un destino sociale e lo posso compiere in diversi modi, per questo destino io sono responsabile. Come la comunità, da un lato, non è una mera ‘serie’ di individui che si raggruppano insieme, ma al contrario una unificazione di questi individui per opera dell’intenzionalità interpersonale, un’unità fondata grazie alla vita, all’azione sociale, di uno nei confronti dell’altro, così come anche di uno contro l’altro, allo stesso modo l’autoresponsabilità, la volontà di autoresponsabilità, la riflessione razionale del senso e delle vie possibili di questa autoresponsabilità, per una comunità, non è una mera somma di varie autoresponsabilità (…), ma al contrario di nuovo una unificazione che tiene uniti intenzionalmente, una con l’altra, l’autoresponsabilità individuale e fonda tra queste un’unità interna[

La citazione appartiene al testo che tanto impressionerà Habermas nel momento di proporre la trasformazione del suo iniziale modello filosofico; ovvero dalla filosofia della coscienza alla teoria dell’azione comunicativa, a partire dall’analisi del ‘mondo della vita’ e dell’intersoggettività in Husserl. Husserl – scrive Habermas – conclude la sua riflessione guardando alla vita intenzionale come in continua universale relazione con la verità, (…) verso l’esigenza pregevole di una autoresponsabilità assoluta dell’umanità socializzata; Husserl non dubita nel designare questa problematica come etica e propone uno sviluppo razionale di questa tematica.

Di fatto la stessa intenzionalità, intesa come tendenza verso la ragione e verso la verità, che si dà nella sua ‘struttura teleologica universale’, è la stessa ragione pratica. Rimane però aperta la domanda di come si dia nella soggettività il fenomeno stesso dell’intersoggettività, a partire dal quale appunto si apre e si costituisce originariamente la ‘regione’ dell’etico, come Husserl scrive sempre nel 1924: La domanda è – parlando idealmente- come può una pluralità di persone (…) in una possibile relazione di comprensione, oppure attraverso relazioni personali, uniti tra loro in collettività, realizzarsi in una vita di assoluta responsabilità e condurre tale vita comunitaria, fatta di una comunità di volontà, dirigendosi verso questa responsabilità; (…) una tale premessa ci conduce verso la necessità di ricercare l’origine di questa idea, ovvero di un’idea di scienza critica ed ideale che si origini in ogni persona insieme al compito di conformarsi all’idea teleologica di comunità

 

J. Russ, L’etica contemporanea, Il Mulino, Bologna 1997, p.99

I. Kant, Prefazione alla Fondazione della metafisica dei costumi (1785), Laterza, Bari, 1993

J. Habermas, Etica del discorso, Laterza, Roma 2004,

J. Rawls, La giustizia come equità. Saggi (1951-1969), Liguori, Napoli 1995,

H. Jonas, La filosofia alle soglie del Duemila. Una diagnosi e una prognosi, Il Nuovo Melangolo, Bologna 1994

E. Husserl, An den Praesidenten der Internationalen Philosophen-Kongresses in Aufsaetz und Vortraege (1922-1937), Kluwer Acad. Publ., Dordrecht 1989, Hua XXVII, p.240

E. Husserl, Die Krisis der Europaeischen Wissenschaftten und die traszendentale Phaenomenologischen Reduktion, M. Nijhoff, Den Haag 1959, Hua VI, p.100.

E. Husserl, Einleitung in die Ethik. Vorlesungen Sommersemester 1920 und 1924. Kluwer Acad. Publ., Dordrecht 2004, Hua XXXVII

E. Husserl, Vorlesungen ueber Ethik und Wertlehre. (1908-1914), Kluwer Acad. Publ., Den Haag 1988 Hua XXVIII, p.29

E. Husserl, Aufsätze und Vorträge (1922-1937), Kluwer Acad. Publ., Den Haag 1989.Hua XXVII

U. Melle, Einleitug des Herausgeber, in Hua XXVIII, op.cit., p. XX

E. Husserl, ‘ Phaenomenologische Aufklaerung del Doppelseitigkeit der Formalen Logik als Formalen Apophantik und Formaler Ontologie’ in Formale und Transzendentale Logik, M. Nijhoff, Den Haag, 1974, Hua XVII, op. cit., p.100 e sgg.

M. Scheler, Il Formalismo nell‘etica e l‘etica materiale dei valori, Fratelli Bocca, Milano, 1944

. A. Bianchi, Etica husserliana, FrancoAngeli, Milano 1999

E. Husserl, Briefe an Roman Ingarden, a cura di R. Ingarden, M. Nijhoff, Den Haag, 1968, p. XXXI,

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Guillermo Hoyo Vàsquez, Intentionalitaet als Verantvortung. Geschichtsteleologie und Teleologie der Intentionalitaet bei Husserl., M. Nijhoff, Den Haag, 1975, Phae 67.

I. A. Bianchi, ‘Autocoscienza e libertà: le tesi husserliane sulla persona quali fondamento dell’agire etico’, in Etica e persona, Atti convegno, Verona, aprile 2003, FrancoAngeli Milano 2004, (pp.111-133)

E. Husserl, ‘Meditation ueber die Idee eines Individuellen und Gemeinschaftslebens in Absoluter Selbstverantwortung’, in Erste Philosphie (1923/1924), M. Nijhoff, Den Haag 1949, Hua VIII, pp. 197-198

Habermas, Vorstudien und Ergaenzungen zur Theorie des kommunikatives Handelns. Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1984, p.44

 

Misura e limite: sull’utile e sull’inutile, una riflessione con Bert Hellinger

Misura e limite: sull’utile e sull’inutile, una riflessione con Bert Hellinger

INUTILE

Tutto ciò che non porta grandi benefici

Tutto quello che ha poco senso

Tutte le grandi aspettative senza risultato

Tutto ciò che è fatto con troppa ‘pompamagna’

Sogni senza azione

Tutto ciò che non voglio ammettere

Tutto ciò che è troppo rapido, improvviso

Volare troppo lato

Essere auto- referenziali

Preoccuparsi troppo

UTILE

Tutto quello che è al servizio della vita

Azioni per superare le resistenze finché l’obiettivo non viene raggiunto

Azioni che ad una prospettiva a lungo termine sono di aiuto alla vita di molti

Le cose giuste che sono essenziali e hanno il respiro lungo

Ringraziare è utile  e porta al successo

Utile è attendere un risultato con pazienza e costanza

Utile è avere basi solide, i piedi per terra

Guardare alle proprie riserve con lo sguardo lucido e con fiducia

Puntare il piede sul passo successivo

Puntare lo sguardo su di una meta visibile e realizzabile

Utile l’amore per il dettaglio, la precisone, è sempre utile

UTILE E’ PASSO DOPO PASSO

Riflessione sulla vita di Bert Hellinger

Riflessioni SULLA VITA di Bert Hellinger “La vita non è solo una maestra severa…”

Questa riflessione sulla vita di Bert Hellinger ci apre ad una visione diversa della vita: somiglia ad un invito a diventare genitore di noi stessi, a credere in noi e nelle nostre capacità, ad avere uno sguardo benevolo e compassionevole sulle nostre cadute e difficoltà, ad accettare la nostra vulnerabilità e accompagnarci nella vita senza per questo risparmiarci le difficoltà che ci ritroveremo ad affrontare. Spogliarci dalle certezze ci espone al mondo, ci forza ad uscire dal nostro guscio di sicurezza che troppo spesso si trasforma in prigione, precludendoci ad un autentico processo di fioritura personale.

“La vita ti disillude perché tu smetta di vivere di illusioni e veda la realtà.

La vita ti distrugge tutto ciò che è superfluo, fino a che rimanga solo ciò che è importante.

La vita non ti lascia in pace affinché tu smetta di combatterla e accetti ciò che è.

La vita ti toglie ciò che hai, fino a che non smetti di lamentarti e inizi a ringraziare.

La vita ti manda persone conflittuali affinché tu guarisca e smetta di proiettare fuori ciò che hai dentro.

La vita lascia che tu cada una e un’altra volta fino a che ti decidi ad imparare la lezione.

La vita ti porta fuori strada e ti presenta incroci fino a che non smetti di voler controllare e fluisci come un fiume.

La vita ti pone nemici sul cammino fino a che non smetti di “reagire”.

La vita ti spaventa tutte le volte necessarie a perdere la paura e a riacquistare la fede.

La vita ti toglie il vero amore, non te lo concede né te lo permette, fino a che non smetti di volerlo comprare con fronzoli

La vita ti allontana dalle persone che ami fino a che non comprendi che non siamo questo corpo ma l’anima che lo contiene.

La vita ride di te molte volte, fino a che non smetti di prenderti tanto sul serio e impari a ridere di te stesso. La vita ti frantuma in tanti pezzi quanti sono necessari affinché da lì penetri la luce.

La vita ti ripete lo stesso messaggio con schiaffi e urla finché non ascolti. La vita ti invia fulmini e tempeste affinché tu possa svegliarti. La vita ti umilia e ti sconfigge fino a che non decidi di far morire il tuo Ego.

La vita ti nega i beni e la grandezza fino a che non smetti di volere beni e grandezza e inizi a servire.

La vita ti taglia le ali e ti pota le radici, fino a che non avrai più bisogno né di ali né di radici, ma solo di sparire nella forma e volare dall’essere che sei.

La vita ti nega i miracoli fino a che non comprendi che tutto è un miracolo.

La vita ti accorcia il tempo affinché tu impari a vivere.

La vita ti ridicolizza fino a diventare nulla, fino a diventare nessuno, così diventi tutto.

La vita non ti da ciò che vuoi, ma ciò di cui hai bisogno per evolvere. La vita ti fa male, ti ferisce, ti tormenta, fino a quando non lasci andare i tuoi capricci e godi del respirare. La vita ti nasconde tesori fino a che non inizi il tuo viaggio e non esci a cercarli. La vita ti nega Dio, fino a che non lo vedi in tutti e in tutto. La vita ti chiede, ti toglie, ti taglia, ti spezza, ti delude, ti rompe … fino a che in te rimanga solo AMORE”

Continenza affettiva: riflessioni su vari tipi di rabbia

Leggere i testi inerenti all’importante lavoro terapeutico di Anton Bert #Hellinger, uno tra i più grandi terapeuti europei, morto pochi anni fa, ci fa scoprire sempre importanti intuizioni; osservazioni #fenomenologiche, non critiche né giudicanti, figlie di infiniti fili teoretici tessuti con la profonda conoscenza dell’animo umano e di molto del sapere psicoumanistico del ventesimo secolo. Spesso Bert durante i suoi corsi ci diceva con umiltà: “ … io ho osservato questo…: e di solito funziona così..”. Nessuna imposizione teoretica, ma di fronte a questa affermazione, che potrebbe sembrare naif, si manifesta al contrario una fonte di grande capacità intuitiva e osservativa alla luce di un metodo di lavoro filosofico importante come quello fenomenologico, ovvero un’osservazione attenta, una descrizione chiara, una ricerca teoretica della verità non giudicante e molto complessa che, nel caso di Bert Hellinger si rifà al pensiero di Martin Heidegger (…).

Quanto sopra lo rivedo nella descrizione dei vari tipi di #rabbia che le persone manifestano e vivono, spesso non consapevoli, della vera natura e forza di questa #emozione fondamentale. Hellinger nel suo testo Ordini dell’amore. Un manuale per la riuscita delle relazioni (6°.ed. 2021) ci indica sei tipi di rabbia. Esiste una rabbia relativa a i fatti concreti, una rabbia adeguata che mi permette di agire appropriatamente ad un sopruso reale, una rabbia che svanisce non appena ha raggiunto il suo scopo. Secondo tipo; una rabbia cattiva come sostituto dell’azione, laddove mi accorgo di non aver ricevuto o meglio preso ciò che avrei potuto o dovuto prendere. Spesso usiamo questa rabbia ai danni degli altri e non vogliamo ammettere la verità a noi stessi, ci difendiamo arrabbiandoci, questa ci paralizza, dura a lungo ci indebolisce. Dare e prendere sono un dedicato meccanismo che coinvolge tutte le relazioni umane, capita che ci venga dato talmente tanto che non possiamo ricambiare, per esempio i genitori che ci danno al vita, una forza, un debito tale che non potremmo mai davvero ricambiare, un potere che sopportiamo difficilmente, cosi spesso ci difendiamo da loro, da questo enorme dono, arrabbiandoci, rimproveriamo i genitori ( e a volte  i nostro figli). La rabbia diventa sostituto del saper prendere con amore e ringraziare di un così grande dono, riproverò e depressione, due facce della stessa medaglia.  Poi abbiamo una rabbia verso le persone alle quali abbiamo causato un grave danno, lo sappiamo ma non lo vogliamo ammettere, anche questa rabbia paralizza, rende deboli, inutile e dannosa. Quinta, una rabbia non nostra, quella che assumiamo al posto di altri, una sorta di traslazione nevrotica della rabbia altrui su di un altro soggetto. Se un sistema famigliare si adira e reprime questa rabbia, il membro più debole assume su di sé questa deleteria emozione, spesso il più debole è un bambino, la madre che si arrabbia con il padre ma reprime questo sentimento porta il figlio ad arrabbiarsi per lei, il più debole se ne carica, la prova e la patisce, ne subisce le conseguenze, una rabbia acquisita che crea aggressori fuori di senno che creano #vittime, capri espiatori, questo non li rende forti ma deboli, impotenti e inutili. Ed infine arriva una rabbia che è destrezza e #virtù, difficile da immaginare ma scrive Hellinger : ‘’(…) una capacità di farsi valere, sveglia, raccolta e diretta verso ciò che cambia le cose” (Vd. cit, pg.175, Ordini dell’amore), priva di emozioni secondarie, che reca danno solo se davvero necessario, un’energia pura frutto di continua disciplina ed esercizio. Chi conosce questo tipo di rabbia la possiede come una forza in modo naturale e la esercita solo se necessario senza frivolezze ma tagliente e diretta, come una lama, nell’ equilibrio sistemico che soggiace alle differenti coscienze, questa rabbia si chiama a volte coraggio e sapere strategico, #Ulisse la conosceva bene!

Strumenti da adottare per essere vincenti

Breve decalogo per essere vincenti: focus su #compromesso #collaborazione #versatilità

Provare ad applicare le regole sotto indicate cambia ogni relazione, soprattutto quelle lavorative...provare per credere

  • Parlare troppo con il ns interlocutore non risolve nulla, così non lo incontriamo ma vuotiamo un contenitore emozionale
  • Attenzione vigile rivolta all’esterno
  • Fermiamoci
  • Piccole domande gentili per indagare
  • Consapevolezza della situazione reale
  • Con calma lasciamo emergere il tema reale e la persona
  • Fare pause equilibrate
  • No a troppe definizioni creano confusione e indeboliscono
  • Non rispondete subito
  • Ascoltate bene

Fenomenologia in Bert Hellinger. La ‘magia’ dell’ascolto

                                                                                                                              “Tutto inizia individuando una prospettiva”1. Bert Hellinger

ABBASTANZA

Abbastanza: pagina 413 del testo di Bert Hellinger L’amore dello spirito, leggiamo: Comprendiamo veramente solo ciò che sperimentiamo in prima persona …. E ci rendiamo subito conto, tramite le nostre sensazione se una cosa può funzionare….di conseguenza in questo libro non ho spiegato e mostrato tutto delle costellazioni famigliari spirituali, ma coloro che hanno seguito interiormente, soprattutto aprendosi a tutto così com’è, hanno appreso abbastanza per sperimentare…assecondando i movimenti dello spirito così come sono.

Di questa parte velata che si apre poco a poco in Hellinger, ci si rende conto nel tempo, nulla è a caso, tutto è sostenuto dalla ricerca, dal metodo, dallo studio e nulla che non sia con lo spirito e nella fiducia dei suoi movimenti 2 . Questa riflessione, che vorrei condividere, nasce proprio dal mio interrogarmi su una sorta di ‘mescolanza’ o unificazione di filosofia e metodo e sui possibili risvolti del suo pensiero più maturo, insieme all’uso di espressioni complesse che si svelano e dipanano anch’esse strato per strato3, un’intricata matassa; lo stesso Bert ci dice apertamente di aver proceduto nel suo percorso seguendo una delle leggi fenomenologiche più interessanti, ovvero orientarsi solo su ciò si mostra nei limiti in cui si mostra, e di aver scritto parte dei suoi testi dopo lunghe meditazioni, quasi arrivassero da un’altra dimensione,4 nota a molti altri grandi ricercatori e sperimentatori (si pensi a Jung) che è quella di essere un ‘canale’, con apertura di cuore, completa libertà di mente, connesso alla parte più profonda della coscienza, parte dei suoi scritti sono di fatto sistemi da scoprire lentamente, sentieri, itinerari; un pensiero costantemente “in cammino” di heideggheriana memoria.

Se è ascoltandolo, guardando, restando dentro i movimenti dell’ampio e irraggiungibile ‘campo’ energetico guidato da Hellinger, con sapienza, che ho/abbiamo appreso ‘il mestiere’ , dove sembrerebbe che le basi teoretiche definite, siano dedotte da osservazione, addirittura senza obiettivi, presto ci accorgeremo che non basta, prima di tutto abbiamo una definizione del metodo teoretico che Bert chiama fenomenologico, ovvero si presuppone che la realtà si mostri se la si lascia agire su di sé, questo tramite un atteggiamento aperto e disinteressato; traspare cosi una ‘verita’ inaspettata, un movimento valido nel qui ed ora dell’azione terapeutica.

Anche il linguaggio di Bert, che sembra diventare più criptico nel tempo, richiede una sorta di ‘abbandono’; dipanato o meno, agisce su di me/noi immediatamente, risuona senza indagarlo, l’invito è di lasciamolo ‘semplicemente’ agire. Proviamo quindi, facciamo esperienza, sbagliamo, se accade va bene…., e poi capiremo se sia o meno un guadagno (alla luce del fatto che non esiste mai nulla di sbagliato né di giuso quando siamo guidati dallo spirito) consapevoli che penetrare un linguaggio con un altro linguaggio sarà sempre parziale, frammentato a vote singolare. Questo è un ‘gioco’5 che invita a confrontarsi con possibilità che esulano dai normali standard filosofici, logici e linguistici.

1 Bert Hellinger, Il lungo cammino, 2005, pg. 77

2 Bert Hellinger più volte dichiara: “ durante la rappresentazione i rappresentanti percepiscono realmente ciò che avviene in quella famiglia. E questo mi basta per il mio lavoro” in Amore dello spirito, 2008, pg.426

3 Bert Hellinger, Mistica naturale, 2008

4 Bert Hellinger, La mia vita le mie opere, 2018, pg. 110 e ssg. Anche in, Il lungo cammino, pg. 139 e sgg.

 

Possibilità che mettono a prova le nostre abilità di pensiero di ascolto e accoglienza del nuovo che si manifesta. Cosa dobbiamo abbandonare? La presunzione di trovare una soluzione, la soluzione non è importante, importante è il movimento necessario per andare verso la risoluzione, il movimento si innesca e lo spirito conduce. Una sorta di ripristino autonomo del campo del cliente, dove l’intero sistema è coinvolto; diamo il via al processo e questo si compirà da se nel modo migliore possibile per quel contesto, la fiducia nello spirito è totale- La forze del costellatore sta nel saper innescare il processo e poi ritirarsi nella fiducia Un atteggiamento filosofico per eccellenza che nasce da quel concetto di ‘Gelasseheit’ che traduciamo appunto con ‘abbandono’ nel senso di uno stare aperti, senza attese, detto altrimenti ‘lasciamo essere l’essere che si possa manifestare tramite l’esser-ci nella sua essenza, ovvero il corpo della persona, quel esser-ci che fa la differenza ontologica dell’intero processo. Accade così un vero cambio antropologico, la persona che non si avvalora necessariamente nel fare ma nella forza dell’ascolto guidato dall’attenzione aperta all’essere, allo spirito, cosa lo rende possibile? L’atteggiamento fenomenologico, il restare al margine in modalità aperta, riconoscendo l’essenza è tutto cio che ci viene richiesto, riconoscendo l’essenza, come scrive Hellinger, so cosa devo fare, e questo è abbastanza.

Nel tedesco corrente “Gelassenheit significa anche serenità, tranquillità. Si tratta pero di un termine ricco di una grande pregnanza storica in quanto costituisce un vocabolo chiave nella tradizione mistica, sia cattolica che protestante, e riveste un ruolo essenziale in Meister Eckart 6. La “Gelassenheit” mistica indica in generale il “sich lassen”, l’abbandonarsi a Dio attraverso l’annullamento delle passioni e dei desideri. Nell’uso che ne fa Heidegger, il termine e ricondotto alla sua radice, il verbo “lassen”, situato in opposizione semantica al “wollen”, il volere; in una antitesi precisa al nietzschiano “Wille zur Macht”, volontà di potenza. Da una parte infatti il volere e l’attitudine centrale della soggettività rappresentativa dominante nell’età moderna, mentre il “lassen” indica un rapporto con le cose che conduce all’incontro con libertà, ovvero significa lasciar-essere l’ente; lasciarsi coinvolgere da esso, esporsi a questo incontro ed arrischiarsi7. L’esistenza è quindi il modo d’essere dell’umano, grazie alla sua fondazione nella libertà. Questa esperienza può essere ben qualificata come “diretta” e “passiva”, questi due elementi sono simultaneamente presenti e complementari; come comunicare tutto ciò attraverso il lavoro costellativo?

Bert Hellinger scrive, come abbiamo visto, ogni suo testo come un cammino su molteplici piani, con significati celati e rivelati insieme; tutti libri esperienziali, dopo averli letti li devi vivere se vuoi davvero fare il salto nella dimensione più vicina alla ‘autenticità de metodo costellativo, cosi come alcuni testi filosofici vanno compresi vivendone il contenuto; anche i testi più filosofici di Bert, ci propongono esperienze, abbandonarsi a queste esperienze di ascolto e pratica insieme, restare ‘accesi’, presenti, liberi, è una delle conquiste dell’essere in sintonia con Hellinger e il suo pensiero.

5 Per Eraclito, il gioco è una metafora attraverso cui rendere evidente l’assenza di un telos, ovvero di un fine ultimo verso cui tutte le cose tendono, e dunque il carattere contingente della realtà, o come diranno filosofi del 900 vicini a Hellinger nel gioco si riscontra la caratteristica di atemporalità, assenza di finalità esterna, distanza, riconciliazione con la vita.

6 Il maestro domenicano, Eckart, insegna che l’anima e Dio sono una cosa sola. Questa paradossale verità la comprende però solt anto l’uomo interiore, ovvero l’uomo completamente distaccato, che ha evangelicamente rinunciato a sé stesso e ha così scoperto l’ essenza dell’anima, il suo “fondo”, ove essa diventa spirito, così come Dio è spirito. Si apre allora per lui, “uomo nobile”, già qui nel tempo la luce abbagliante dell’eternità, e già qui nel molteplice la dimensione beatificante dell’Uno, in Meister Eckart, L’anima e Dio son o una cosa sola, 2020

7 La domanda principale che Martin Heidegger si pone è che cos’è dunque l’essere, diverso dall’esser-ci che è la persona. in Martin Heidegger, Essere e tempo, 1998

 

NUOVE VISIONI

Ricordo che quando Bert lavorava era tutto così intenso che non potevi staccare e gli appunti erano, alla fine delle giornate, briciole residue per soddisfare la paura di non poter raccogliere tutto; artifici della mente nella consapevolezza che ciò che si manifestava, ciò che accadeva, (parafrasando Hellinger nella sua intervista con Gabriele Ten Hoeven),8 il modo di procede delle costellazioni famigliari, nei suoi vari sviluppi, era metodologicamente nuovo e soprattutto apriva una nuova visone del mondo; una visione che mette in ombra molte delle supposizioni fondamentali della scienza e della psicologia contemporanea.

Se esiste un metodo lo si può quindi imparare e investigare; è il metodo della percezione fenomenologica dell’essere ciò che Husserl, padre della fenomenologia, definì come intuizione filosofica, ovvero l’esercizio del superamento della scienza verso un’evidenza di ciò che si manifesta intuitivamente, in quanto svelamento della ‘vera essenza delle cose’. Ma è con il pensiero di Heidegger (che accompagna Bert sin dai suoi studi di teologia e filosofia), che appare l’essere immersi nell’essere che ci circonda e, come dirà Hellinger, ci prende al suo servizio, e si manifesta attraverso di noi, siamo quindi suoi strumenti? Canali di un messaggio che ci raggiunge e si manifesta tramite noi. L’atteggiamento fenomenologico non considera la verità un ‘oggetto’ ma un movimento, e noi tutti passiamo da sentirci detentori della ‘verità’ (come direbbe la scienza), a strumento di una forza della quale non possiamo disporre ma della quale siamo a disposizione, uno meraviglioso strumento. Qual è la sfida? Riconoscere in Hellinger la costruzione di un diverso paradigma ‘terapeutico’ e di vita, un vero cambio antropologico che investe tutti noi. Passare dal plus valore del fare come atto di volontà, dal giudizio, all’essere inteso quale fiducia nell’ascolto, nel mostrarsi della realtà scoprendone le infinite prospettive delle quali tutti noi facciamo parte.

IL FILOSOFO

Teologo, pedagogista, studioso, conoscitore in prima persona di molte scuole terapeutiche e di terapeuti famosi che hanno influenzato i canoni del suo lavoro, il filosofo, Anton/Bert Hellinger si ispira, al pensiero di Heidegger, Aristotele, del teologo Meister Eckhart, alla psicologia del profondo, leggendo con cura a attenzione i suoi scritti possiamo individuarne i temi e i termini. Ritornando a Heidegger e premesso che in questo contesto non è possibile parlare esaustivamente, ci basti per ora sapere che è stato tra i grandi filosofi tedeschi del ‘900, teologo prima, filosofo poi, incontrando il padre della fenomenologia Edmund Husserl, si apre alla ricerca fenomenologica, in “Essere e Tempo” 9, opera molto complessa che riecheggia spesso negli scritti di Bert, troviamo due affermazioni di Heidegger: più in alto della realtà effettuale (Wirklichkeit) sta la possibilità. La comprensione della fenomenologia sta nel concepire la realtà come possibilità. Quindi il metodo fenomenologico così inteso non si arena sulla realtà effettuale ma è nella pratica dell’astensione al giudizio (attraverso l’epochè), che consente di cogliere l’essenza dei fenomeni.

Questo cosa vuol dire? Che questa pratica non coincide con l’introspezione (basata su una ingenua separazione fra io e mondo), ma è un modo di re-imparare a vedere il mondo, una ritrovata capacità di provare stupore di fronte al mondo: non giudichiamo, restiamo al bordo dello spazio di manifestazione dei fenomeni, lasciando di fatto spazio ad un altro tipo di manifestazione dell’essere che diventa così ‘reale’ come precipitato ultimo nell’esser-ci (come direbbe Heidegger), ovvero l’individuo; tradotto: i clienti, gli individui, che abbiamo davanti a noi durante una costellazione, lasciati liberi da giudizi interpretativi e da vizi teoretici, divengono la manifestazione ultima e reale (il precipitato ultimo) di tutto il loro bagaglio generazionale che si manifesta nel qui ed ora durante il lavoro costellativo.

8 Bert Hellinger, Il lungo cammino, 2005, pg,123 e sgg

9 Martin Heidegger, Essere e tempo, 1998

 

È necessario, al fine di cogliere il cuore della questione, intraprendere un’altra deviazione che metta in chiaro come Heidegger/Hellinger usino ancora diversamente l’espressione “fenomenologia”; dobbiamo andare alla matrice concettuale del termine di origine greca, φαινομενολογία (logos del phenomene) ‘’fenomenologia” ovvero “portare qualcosa alla luce del giorno” ossia “alla luce, alla chiarezza”, detto altrimenti: il manifestarsi del fenomeno cosi come è, come appare (das sich – an -ihm-selbst -zeigende), ciò che può essere visto e percepito sulla scorta del suo apparire a noi; sicché l’espressione: fenomenologico diventa anche un modo d’essere ed insieme un punto d’incontro, dove ciò che appare è colto da noi. L’esistenza a questo punto, quella che cogliamo, per essere davvero colta in profondità, va osservata con sguardo limpido al fine del suo manifestarsi, in maniera imparziale (come in costellazione) con le strutture dell’esistenza stessa, così come esse si manifestano, senza alterazioni o aggiunte, senza inclinazioni e vizzi terapeutici, emozionali eccessivi, chiare in presenza. Perché questo accada deve cambiare il nostro atteggiamento naturale, come sempre ci istruisce Bert. Come arrivarci? Nell’introduzione del testo ‘Viaggio interiore’ Hellinger scrive che il viaggio interiore è sinonimo di meditazione e il termine meditazione descrive la meta di questo viaggio, guardare in raccoglimento qualche cosa di nascosto che ci attrae anche se continua a restare invisibile E lì che conduce il nostro viaggio. Nelle parole possiamo cogliere la suggestione del pensiero di Aristotele; ‘’lo svelamento del nascosto”10, inteso come possibilità nell’esser condotto da una coscienza spirituale, dell’essere pensato, dell’essere pensiero di pensiero, ovvero da quella realtà che pensa sé stessa. Tutto ciò che è stato creato, scrive Bert (tutti noi che siamo pensati in un adesso eterno) è stato creato da qualche cosa di eterno prima ancora di esistere11. Parole che descrivo immagini che si sottraggono alla nostra conoscenza, cosa interessa dunque? L’inizio di qualsiasi movimento.

INIZIO

Come possiamo avere un’intuizione chiara dell’inizio? Questione complessa, squisitamente metafisica. Aristotele aiuta, lo chiama primo motore (primum movens), e lo indentifica con un essere (non un ente, niente corpo) necessariamente esistente che si identifica con il bene, un atto che pensando mette già in tutto in movimento (esistere, vivere, esserci, sono tutti termini legati al movimento che è la vita) anche ciò che ancora ‘non esiste’, come Hellinger scrive da pg. 138 nel suo Il lungo cammino, noi siamo pensati costantemente, con questa visione del mondo è difficile mantenere le tradizionali distinzioni, tutte le categorie, compreso il giudizio buoni e cattivi, non avrebbero più senso naturalmente; in questo movimento tutti ci muoviamo in un eterno adesso, sempre legato al tempo (vita e morte) ed eterni insieme (e tutti servono al tutto nelle modalità che gli compete). In ‘Verso nuovi spazi’, scritto breve ma complesso che ci introduce alle costellazioni mediali. Bert ci dice che il nostro spirito muovendosi in spazi diversi dal nostro Io, ci porta con se in una vastità dove tutto esiste contemporaneamente e lo fa se ci apriamo ad esso, con fiducia, senza attese, semplicemente restando concentrati ed aperti; se come Heidegger ci ricorda l’uomo è costantemente immerso nelle temporalità, inchiodato ad un presente costante, inteso come unica realtà possibile, questo inizio senza inizio, questo ‘viaggio dello spirito’ (il possibile) diventa la vita nel suo eterno fluire (il reale), la vita che passa in ogni umano, che scorre di generazione in generazione, quella forza universale che Aristotele definisce come Anima.

IN CAMMINO

Cosa possiamo imparare con Bert da tutto questo? Cosa ci chiede? Di porre un’attenzione costante al momento presente, nel quale si incontrano gli influssi del passato e le tensioni verso il futuro; slegati dal costante blocco nella tensione verso, nel voler sempre dare un nome alle cose le blocchiamo alla loro definizione presente, ne blocchiamo lo sviluppo. Siamo in un ‘continuum consapevole’ che ci tiene in contato con nostro ‘Da-sein’, l’esser qui ed ora. L’esperienza diventa così un flusso continuo;

10 Aristotele, Metafisica, Libro XII,7.1072, 1984

11 Bert Hellinger, Verso nuovi spazi,2013, pg 14

 

se restiamo nell’attenzione sostenendo il processo di consapevolezza, se operiamo consapevoli, intenzionalmente, agiamo sul campo e siamo nel campo sempre, in cammino e insieme sempre limitati. Di quale campo stiamo parlando? Di quello che Bert chiama campo spirituale12; e l’esempio del ‘nuovo’ campo spirituale per eccellenza, che permette nuove prospettive, che superano i limiti imposti dai vari campi spirituali ed è costituito proprio dalle costellazioni mediali e spirituali, un campo piu ampio. Solo cosi, immettendo nuove prospettive spirituali, possiamo cambiare i campi spirituali forti e creare nuovi spazi.13

ASCOLTO

Ma all’ascolto di cosa? E perché è un cambio di prospettiva così importante? un vero cambio culturale. In ‘mistica naturale’, Hellinger, la parola ‘naturale’ è associata alla parola mistica, questo la libera dal contesto religioso al quale di solito si lega, una mistica umana ed accessibile, appunto naturale, perché è nella natura dell’umano. Un luogo di comunione nel quale procede insieme, su un prezioso cammino. Bert di fatto ci conduce attraverso tappe importanti verso una nuova consapevolezza che ci apre ad uno spazio di raccoglimento e ascolto in un ‘ritorno alle cose’ vorrei dire alle ‘cose stesse’, alla loro essenza, in questa modalità non giudicante che fa sorge l’intuizione non più ad appannaggio di pochi, ma di chiunque si ponga nell’ascolto, con fiducia.14 Umili restiamo fermi, ascoltiamo, attenti a ciò che l’ispirazione ci manda e ci fidiamo che quel messaggio sia ‘il messaggio’ giusto per quel momento, passiamo quindi dal fare allo stare, attendere e ascoltare, passiamo dal potere all’abbandono di velleità di essere noi a fare la differenza con le nostre azioni, passaggio complesso per la nostra cultura occidentale che guarda all’ascolto come inattività e non come la più alta forma di ‘attività’, ma che ascolto dobbiamo operare? Su che sentieri ci conduce? ci conduce su sentieri di contemplazione. Quando Bert ci invita a seguirlo in questo cammino verso il nostro essere più profondo, ci indica (come per ogni cammino) delle tappe; prima tappa riguarda la percezione immediata del nostro pensare ed agire, segue la conoscenza spirituale nel quotidiano, poi l’incontro con le nostre paure profonde, e l’invito a porci in basso, il più basso possibile, in pratica ci indica la via per scendere dal nostro ego ed geocentrismo verso una nuova liberta; certo l’ ego si ribella ad una pratica che ci definisce addirittura ‘pensiero di pensiero’, siamo abituati che il fare, il volere, l’azione continua sono espressioni dell’individualità senziente, tutto questo si trasforma in ascolto fiducioso, apertura verso una dimensione data da una continuità consapevole, che rimane in contatto con il nostro esser-ci, il nostre essere qui umano. Di fatto l’esperienza per Heidegger come per Bert è un flusso continuo che possiamo focalizzare nell’attenzione del nostro processo di consapevolezza declinando la nostra intenzionalità, ovvero l’orientamento attentivo, questo atteggiamento è apertura del campo, che permette l’integrazione per esempio di qualunque conflitto, dove è il sentire, l’attesa vigile e presente, ad agire, una pillola quantica importante. Ma come si accede al ‘campo’? come possiamo immaginare il campo? Come un ponte che unisce tutte le ‘cose’ (die Sache) qualunque ne sia la natura materiale o immateriale, interna o esterna, volendo troviamo qui il linguaggio filosofico, velato ma presente, delle teorie sub-atomiche, in Mistica naturale, dove l’atto di osservare qualcosa è un atto creativo, diventa realtà la possibilità che viene osservata, il nostro sguardo mette in luce qualche cosa che era già li, nel buio

  • Idem, 43
  • Rupert Sheldrake, biologo e saggista britannico, nei suoi scritti: A New Science of Life (1981) e The Presence of the Past (1988), elabora la teoria dei campi morfogenetici. Sheldrake individua la presenza di una forza invisibile presente nel sistema ma non identificata con uno dei suoi componenti, bensì col sistema stesso. Inoltre questo “campo morfico”, responsabile dell’organizzazione, della struttura e della forma del sistema, avrebbe una sua memoria, determinata, questa si, dal contributo di ciascun membro. Ricordiamo che Scheldrake conobbe Bert, e tenne una conferenza importantissima sul tema in un Camp, la moglie di Sheldrake è diventata a sua volta una costellatrice
  • Fare esperienza del linguaggio non significa sovraintendere ad un’attività, ma implica un atteggiamento passivo, di ascolto, poiché il linguaggio non deve essere pensato dalla prospettiva dell’uomo, ma è il linguaggio stesso a fare dono di sé. Cfr. Martin Heidegger, In cammino verso il linguaggio, 2015

 

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Durante le sessioni di lavoro Bert non permetteva di chiudere gli occhi, di deviare, ‘guarda ….’, guarda avanti, guarda oltre. Quello sguardo era ed è la porta che permette, sintonizzandosi sulla nostra percezione sensibile, l’aprirsi ad una visione che non ci permette più di distogliere gli occhi, né il cuore, dall’essenziale, ecco il cambio antropologico sostenuto nello spazio fenomenologico, che Bert mette in scena, rende visibile, all’esser umano (o meglio riscoprire) la meravigliosa possibilità di connettersi con quell’immateriale che chiamiamo ‘spirito’. Opportunità che come ci racconta nel suo Viaggio interiore, vista da fuori potrebbe sembrare impossibile ed invece non è così. Chi ha fatto almeno un Camp con Bert e Sophie Hellinger capisce/intuisce che questo stato di presenza costante, ampia la percezione della vita e rende più leggeri e accorti. Un’esperienza che non ha confini linguistici o generazionali, quella di ‘restare in presenza’. Questa presenza, nel qui ed ora (da-sein), in questo attimo intenso e concentrato, ci mantiene nel campo, ovvero nel contatto effettivo con le sensazioni, sentimenti, la realtà ed insieme con qualche cosa di eterno, attimi solo attimi ma di fondamentale importanza che ci porta subito al punto.

Phd Bianchi Irene Angela